La filiera segna 179 miliardi di fatturato e conta 60mila imprese, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export all’anno. Le startup, anche in questo campo, fanno la differenza con soluzioni digitali utili a venditori e consumatori
Open innovation nel settore alimentare: se ne sente parlare sempre più spesso ma sappiamo davvero a che cosa ci si riferisce? Quali sono gli attori protagonisti? E l’AI e il mondo digitale quanto incidono oggi nella filiera agroalimentare? In questa nuova puntata di Food startup, la nuova rubrica del martedì di StartupItalia dedicata al settore per eccellenza del Made in Italy proveremo a rispondere a queste domande indagando sul concetto di “spazio digitale aperto” applicato al comparto del Food. Come sempre, spazio alle startup che ogni giorno innovano in questo settore cercando di elevare il tasso di digitalizzazione in un comparto che corrisponde a un terzo del PIL del nostro Paese. Ma partiamo, come di consueto, dai dati.
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Filiera da 179 miliardi
Con 179 miliardi di fatturato, 60mila imprese, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export all’anno, la filiera del food italiano ha un valore pari al 31,8% di quello del PIL. A fornirci questa sintesi è il primo Rapporto Federalimentare-Censis, che ha calcolato il valore economico e sociale del comparto. L’industria alimentare, con la sua attività, contribuisce anche alla creazione di un elevato valore sociale ed è al primo posto nelle graduatorie dei settori manifatturieri italiani per fatturato, al secondo posto per numero di imprese, per addetti e anche per l’export in valore.
In dieci anni, il suo fatturato ha registrato un incremento del 24,7% in termini reali, il numero di addetti è cresciuto del 12,2% e il valore delle esportazioni in termini reali del 60,3%. Eppure, l’industria alimentare italiana non è solo un colosso che genera prodotti e occupazione, ma ha un’anima radicata nel nostro tempo, incarna valori e genera soluzioni che si materializzano in prodotti che rispondono alla molteplicità di bisogni, materiali e immateriali, degli italiani. Per questo, fare innovazione nel comparto Food in Italia significa, da un lato, non dimenticare le nostre radici e, anzi, tramandarle alle future generazioni; dall’altro avere la capacità di saper rispondere ai bisogni in continuo cambiamento dei mercati. Adottare questo approccio, per certi lati conservativo e per altri profondamente innovativo, non è certamente facile. Ecco che arriva in aiuto l’Open innovation, per lo sviluppo del proprio business, la crescita e la contaminazione reciproca che nasce dal confronto diretto con startup, PMI, Università, scuole ed enti pubblici.
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Fiducia nell’Open innovation
Secondo quanto emerge dal primo report quantitativo globale sull’Open Innovation nel settore agroalimentare pubblicato da Eatable Adventures, nelle aziende agroalimentari cresce la fiducia nell’Open Innovation: circa 8 su 10 si affidano alla collaborazione con partner esterni per innovare la propria realtà. Cresce anche la fiducia nelle startup, sebbene il ruolo guida resti in capo a Università e poli tecnologici (93%) e alle collaborazioni con figure esterne (71%). Il 90% delle aziende intervistate afferma di avere intenzione di investire o collaborare con un partner esterno nei prossimi 3 anni e l’85% lo farà già entro il prossimo anno. Se, da una parte, le fonti interne restano ancora una risorsa di valore per l’innovazione (89%) dall’altra la collaborazione tra i diversi attori dell’ecosistema è già considerata un forte fattore di crescita. Non a caso, infatti, il 78% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare fonti esterne per portare innovazione all’interno della propria azienda. Crescente è il ruolo delle startup: tra scouting di nuove realtà innovative virtuose (50%), investimenti diretti in startup (25%) e loro incubazione (17%), si fanno sempre più strada nuove forme di collaborazione tra aziende consolidate e realtà emergenti, all’insegna di un impatto significativo sull’intera catena del valore. L’attenzione si sta spostando sempre più verso le nuove tecnologie (57%) e verso l’efficientamento dei processi (53%). Rilevante è anche l’attenzione da parte del 46% delle imprese verso la creazione di modelli di business innovativi. «Implementare strategie di Open Innovation nel settore alimentare non solo migliora l’efficienza dell’ecosistema e comporta un minor impatto a livello ambientale, ma aumenta anche la redditività delle imprese, riducendo i costi operativi e sfruttando la crescente domanda globale di alimenti sani e sostenibili», ha commentato José Luis Cabañero, fondatore e CEO di Eatable Adventures.
Una sfida difficile
Tra i più conosciuti acceleratori italiani in materia di food-tech, Eatable Adventures identifica e sostiene le startup alimentari più innovative e dirompenti del mondo alimentare aiutandole a crescere sul mercato globale. «Il nostro è un polo di eccellenza sull’Agrifood con radici a Verona ma di respiro nazionale su progetti dirompenti che spesso nascono all’estero ma che vivono un forte radicamento territoriale – spiega a StartupItalia Alberto Barbari, Program Director di Eatable Adventures – A Verona, per esempio, l’industria vitivinicola è molto forte, così come lo sono anche le tradizioni culinarie. Pertanto, la nostra idea è quella di accrescere le competenze dei team che acceleriamo per irrobustire e implementare l’innovazione nel settore».
Alla call di Eatable Adventures hanno risposto più di 155 team. «Ne selezioneremo 8-10 in base alla qualità e all’esperienza dei componenti e delle proposte per costruire percorsi ad hoc personalizzati – conclude Alberto -. Innovare in questo comparto è oggi una necessità più che mai incombente, anche alla luce delle sfide a cui è sottoposta la filiera». Intanto, tra le startup che già sono attive in questo settore ci sono realtà come Maiora Solutions, realtà innovativa specializzata nello sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale, e Welly, che si occupa di ristorazione nella blockchain.
Cosa fa Maiora Solutions
Con Resmart, strumento di AI dedicato al mondo della ristorazione, Maiora Solutions è tra le startup selezionate per partecipare a un programma di accelerazione all’interno del Centro d’Innovazione di Innovit a San Francisco gestito da Fondazione Giacomo Brodolini e dall’acceleratore Entopan Innovation. E non è la prima volta che l’impresa si sposta all’estero. Maiora Solutions ha già partecipato ad Accelerate in Israele e al Tel Aviv Innovation Tour. «Il nostro obiettivo è sviluppare ulteriormente Resmart per renderlo sempre più un punto di riferimento per le aziende che operano nell’ambito del Food Tech, poiché è stato sviluppato proprio per ottimizzare i menù e i prezzi delle catene di ristorazione – commenta Emilio Zunino, socio fondatore della startup milanese – A San Francisco puntiamo a migliorarlo ulteriormente con l’obiettivo di presentare Resmart a potenziali investitori: da questo punto di vista la Silicon Valley è tutt’oggi il più importante polo al mondo per gli investimenti tech e gli Stati Uniti rappresentano il nostro mercato di riferimento per il settore».
In particolar modo, Maiora Solutions ha messo a punto uno strumento di analisi di dati interni ed esterni per catene di ristorazione. Ce lo ha spiegato nel dettaglio il co-founder Andrea Torassa. «Per fare qualche esempio, forniamo dati relativi al meteo e ai grandi eventi come concerti e occasioni speciali fino ai prezzi delle concorrenza che influenzano le variabili di consumo del cliente finale – spiega – Adesso puntiamo ad allenare i nostri algoritmi nutrendoli con dati esterni per imparare che cosa sta succedendo attorno a un certo punto vendita fornendo informazioni di mercato in tempo reale».
Se il tempo sarà brutto, ad esempio, si potranno contare più consegne a domicilio, così come in occasione delle partite di calcio o di Festival attesi. «Al cliente forniamo l’accesso alla piattaforma sia da smartphone che da PC, dove può monitorare in tempo reale i dati più rilevanti per lui. Può anche consultare le offerte dei concorrenti, il listino prezzi. I dati vengono, poi, raccolti in modo centralizzato», conclude Torassa. Adesso la startup punta a espandersi in Europa e negli USA, mercato molto interessante per il team di Maiora Solutions.
Un fast food su blockchain
Attivo nel settore della ristorazione su blockchain è Welly, un fast food che sfrutta delle crypto e della blockchain per proporre un menù salutare che punta sulla consapevolezza della provenienza dei prodotti per il cliente. Ha messo a punto un modello di ristorazione che si concentra sulla vendita di pollo e insalate in collaborazione con Shiba Inu, una criptovaluta decentralizzata. Basato su DAO, un sistema che informa i consumatori sulla provenienza dei prodotti tramite blockchain, il menù proposto da Welly è incentrato sul pollo abbinato a certi prodotti presenti nella cucina mediterranea.
«Abbiamo previsto un menù equilibrato e più ristretto che può rispondere meglio alla domanda di tracciabilità dei prodotti», afferma Paolo Bellucci del team. L’idea di lanciare un fast food tracciabile su blockchain è nata a seguito del lancio di una collezione NFT di successo, dalla quale è scaturita la collaborazione con Shiba Inu che oggi supporta il progetto. Il team di Welly fa sapere che aprirà il primo store a Napoli a dicembre e inaugurerà il primo franchising entro la fine dell’anno.