Per la rubrica “Italiani dell’altro mondo” intervista a Simone Bianco, Principal Investigator e Director of Computational Biology di Altos Labs. Si tratta di una biotech con 3 miliardi di investimenti. «Vogliamo che le persone restino in salute invece che reagire alle malattie»
«Per uno scienziato Elon Musk ha senz’altro meno appeal di un Premio Nobel». Se poi i Nobel sono quattro, tutti seduti nel board of directors della startup per cui lavori, potremmo dire non esserci partita. Tra questi, ad esempio, Jennifer Doudna, che ha vinto grazie al lavoro sull’editing genetico Crispr nel 2020. Simone Bianco, employee numero 27 di Altos Labs con sede a San Francisco, è Principal Investigator e Director of Computational Biology in quella che lui preferisce definire una venture, non una startup. Nel corso dell’intervista gli abbiamo chiesto di Musk e dei suoi piani per salvare l’umanità, anche con Neuralink, ma la discussione ha rapidamente virato verso altre figure, più specializzate nella materia in questione. Altos Labs, dunque. Si tratta di una biotech con sede in California e all’atto di nascita un investimento da 3 miliardi di dollari. «Difficile considerala una startup con una cifra simile. Il nostro obiettivo parte da una considerazione: e se morissimo a 80, 90 anni, ma con le cellule in salute?». Nella nostra rubrica Italiani dell’altro mondo ci siamo già occupati di longevità e di aziende tecnologiche al lavoro per migliorare la qualità di vita di persone che, pur vivendo molto più a lungo rispetto a qualche decennio fa, incorrono spesso in malattie gravi che peggiorano l’esistenza. «Sono nell’industria dal 2014 e non tornerei mai in accademia: qui c’è una attitudine alla ricerca in cui la parola fondamentale è collaborazione».
Dalla fisica alla biologia
Nato a Taranto nel 1978, Simone Bianco non ha mai fatto il ricercatore in Italia. Si è laureato all’Università Statale di Pisa in fisica delle alte energie per poi specializzarsi in fisica statistica. La prima svolta nella sua carriera è arrivata grazie a una sorta di passaparola. «Prima della laurea avevo dato la tesi a un mio amico del dipartimento di matematica, che ha sua volta l’aveva fatta leggere a un professore attivo in Texas. Mi ha proposto di raggiungerlo per un dottorato». Siamo nei primi anni Duemila, in un America pre social network e subito dopo l’attentato dell’11 settembre. «All’epoca il Texas era l’esasperazione dell’America first». Simone Bianco si è stabilito a Danton, poco lontano da Dallas, dove per qualche anno si è occupato di fisica teorica, con focus sui nano materiali. Al dottorato ha aggiunto due post-doc e, al termine di quel percorso, è arrivata un’altra opportunità. «Ho trovato lavoro in un istituto in Virginia, dove mi sono occupato di problemi di carattere biologico, nello specifico sulle malattie infettive. Cercavo di capire come si diffondono».
Così gli abbiamo chiesto se questa esperienza sia risultata in qualche modo utile durante la pandemia. «In realtà lo è stata anche prima. Nel 2014 lavoravo in IBM Ricerca e l’azienda mi hanno messo a capo della task force per l’Ebola. Ho parlato al Congresso degli Stati Uniti e ho avuto confronti con i presidenti di Nigeria e Sierra Leone. Allo stesso modo durante l’emergenza coronavirus: IBM mi ha nominato lead epidemiologist, riferivo direttamente al Ceo. Ho lavorato su una piattaforma per aiutare le aziende a capire, basandosi sui dati, quanto fosse o meno sicuro ritornare a lavorare in ufficio». Ma come è stato il passaggio dalla fisica teorica alla biologia? «Credo sia più interessante della fisica classica. E poi ci sono tali complessità che l’approccio del fisico diventa prezioso».
Prima di IBM Simone Bianco aveva però fatto un’altra importante esperienza, trasferendosi a San Francisco. «Nel 2010 sono entrato come ricercatore all’ospedale dell’Università della California. Sono passato dai virus al lavoro sulle cellule, occupandomi ad esempio del cancro. In quel momento ho poi cominciato a sviluppare quello che faccio oggi, ossia un approccio computazionale alla biologia sintetica. Si tratta di una branca della biologia che si occupa di ingegnerizzare sistemi biologici affinché facciano cose che altrimenti non farebbero». Come una cellula che, invece di invecchiare, si mantiene in salute. Di IBM abbiamo già parlato, ma non ci siamo soffermati su un elemento che ci rimanda alle vere super star per un ricercatore di una biotech. «Con IBM parliamo di una compagnia basata sulla ricerca. Vanta Premi Nobel, gente che ha fatto la storia della tecnologia. Quando a cinque porte dal tuo ufficio siede Tom Zimmermam, colui che ha inventato la realtà virtuale, al lavoro fondamentalmente ti diverti».
La sfida con Altos Labs
Altos Labs è arrivata al termine di questo percorso che ha visto Simone Bianco formarsi come ricercatore negli Stati Uniti, facendo poi il salto in una Big Tech. Fondata nel 2022, con sede a San Francisco, è una biotech tra i cui investitori parrebbe ci sia Jeff Bezos, il fondatore di Amazon («su questo no comment», ha precisato Simone Bianco). Come venture l’azienda si occupa di un elemento che non riguarda ancora un vero e proprio business. «Per il momento facciamo scienza, e poi svilupperemo prodotti per diventare una drug company. Vogliamo creare una nuova medicina per far sì che le persone restino in salute invece che reagire alle malattie. Grazie all’investimento iniziale possiamo permetterci di fare ricerca ancora per molti anni». Non esistono ancora elementi per capire se a due anni dalla fondazione ci stiano o meno riuscendo, ma per Simone Bianco il suo attuale mestiere è parecchio stimolante. «Altos mi ha dato gli strumenti per far ricerca a lunghissimo termine e di impatto. Il mio incarico è pensare a qualcosa che possa cambiare il volto della medicina». Ovviamente non da solo: l’azienda conta centinaia di ricercatori.
In questa frontiera scientifica che ruolo gioca l’AI? «Da quando Bing di Microsoft ha integrato GPT-4 non ho smesso di usarlo, ogni giorno. OpenAI e i large language model sono sorprendenti. La capacità di sintetizzare ogni dato che hanno ingerito è eccezionale. Ma dal mio punto di vista devo ancora capire come questo possa essere utile per l’avanzamento della ricerca». Secondo Simone Bianco su quel fronte siamo ancora indietro. «L’unica cosa che questi modelli fanno è predire la prossima parola. Ma questo non significa fare conoscenza». Questo perché lavorano su dati che è l’umanità ad aver prodotto. Sulla carta molto potrebbe cambiare se fornissimo ai software altri tipi di materiali, di carattere biologico ad esempio, con scenari bioetici ancora da sondare. «Bisognerebbe capire come sviluppare software con integrate altre sorgenti di dati, magari di natura genomica».