“Stiamo costruendo uno spirito aziendale con cui farci conoscere e ricordare”, dice a StartupItalia Lindsay Ross, responsabile globale delle risorse umane dell’unicorno austriaco
Fiducia e lavoro di squadra sono due degli elementi su cui sta nascendo l’esempio virtuoso di Bitpanda, il primo unicorno austriaco, fondato nel 2014 e artefice di una crescita vorticosa in particolare negli ultimi tre anni, quando con l’impennata delle criptovalute sono arrivati finanziamenti in serie (più 500 milioni di euro in sei round) e la valutazione è schizzata sopra i 4 miliardi di dollari. Oltre agli straordinari risultati conseguiti finora, però, la startup nata a Vienna per consentire a chiunque di investire in metalli, titoli azionari e monete digitali sta offrendo un modello innovativo per supportare l’attività dei suoi dipendenti, premiati con un modello ibrido che supera la fredda divisione del lavoro tra ufficio e casa, poiché parte di un processo più ampio che mette il dipendente al centro e l’azienda di lato. A unirli è il filo basato sulla chiarezza degli accordi tra le parti, che crea quella fiducia da cui scaturiscono compattezza, lealtà e produttività.
La necessità di sperimentare nuove formule
Una conferma del nuovo corso intrapreso da Bitpanda è il clima disteso che si respira nella nuova sede di Vienna, edificio in vetro di 5 piani che sorge nel distretto finanziario di fronte al quartier generale di OMV, la principale azienda petrolifera austriaca. Varcando la porta d’ingresso, su cui spicca il tabellone sul quale scorrono in tempo reale i valori di titoli e criptovalute, ci si trova tra pareti colorate, ragazzi in abiti casual (in 8 ore ho visto due cravatte, ma erano ospiti al party per l’inaugurazione della struttura) e ambiente informale dove si percepisce familiarità tra giovani provenienti da quasi 50 paesi diversi. Salendo con gli ascensori che sono un inno alla street art, con adesivi e graffiti simbolo della rottura rispetto al passato di cui Bitpanda si fa portatore, arriviamo da Lindsay Ross, responsabile globale delle Risorse Umane. Che non è più un ruolo di gestione, perché nell’era della trasformazione del lavoro c’è molto da fare e altrettanto da sperimentare.
“Rispetto alle mie precedenti esperienze in MessageBird, PVH, Adyen e Tommy Hilfinger qui è tutt’altra storia, perché lavorare con la tecnologia è diverso quanto unico. In particolare in Bitpanda, dove si lavora con ritmi serrati per scalare su più mercati. Non è l’azienda dove si lavora dalle 9 del mattino alle 5 del pomeriggio, qui si chiede molto ai dipendenti, per questo pensiamo continuamente a nuovi servizi, opportunità o formule che possono facilitare la vita del nostro team”. Provare a rompere gli schemi tradizionali e testare nuovi approcci è quindi un obbligo più che una possibilità. “Sono arrivata qui la scorsa estate e ho notato che tutti lavoravamo in maniera vorticosa e senza mai staccare, così ho pensato che prendersi una pausa fosse la cosa più giusta da fare per ripartire con un carico di energia”. Da qui, convincendo i tre fondatori Eric Demuth, Paul Klanschek e Christian Trummer, è stata fissata in calendario la settimana di break, definita ‘pausa di ricarica’, totalmente retribuita. Due volte all’anno, tutto il team (eccetto il servizio di assistenza per i clienti, che va in ferie a rotazione durante il resto dell’anno) ha l’opportunità di fermarsi e dimenticarsi di email, riunioni, Slack e la quotidiana pressione di spingere sull’acceleratore per la crescita dell’azienda.
Il modello Bitpanda: flessibilità, libertà e autonomia
“Tutto si muove velocemente e tanti rischiano di restare vittima di fomo, così anche quando si va in ferie si finisce spesso per connettersi, aprire le chat interne o controllare che tutto proceda bene. Con la settimana di pausa, invece, lo stacco è totale e nessuno deve preoccuparsi di restare in contatto con chi è operativo, perché siamo tutti a riposo”, spiega Ross. I due break settimanali distribuiti nel corso dei dodici mesi sono una delle iniziative che Bitpanda ha stabilito per supportare i dipendenti, che possono scegliere quando andare in ferie senza perdere un centesimo dello stipendio concordato, oppure trasferirsi in un qualunque posto nel mondo in cui vivere e lavorare per un massimo di 60 giorni all’anno (che è un po’ come poter realizzare il sogno di una vita, a patto di lavorare per almeno l’80% del tempo giornaliero nella stessa finestra temporale del resto del team).
“Queste possibilità rientrano in una visione generale che parte da un presupposto: non esiste una formula vincente e valida per tutti, perché ogni persona ha le sue esigenze. Qui abbiamo centinaia di lavoratori (nella sede viennese sono circa 600, ndr) che arrivano da aziende diverse, paesi differenti, che hanno una famiglia e che vivono da soli. Impossibile, dunque, trovare un approccio generico, serve diversificare andare incontro alle varie necessità personali. Crediamo che offrire la massima libertà e autonomia all’insegna della flessibilità sia la formula più giusta ed efficace per trovare un equilibrio”.
Conciliare lavoro e vita famigliare è un altro aspetto preminente per un’azienda che punta a entrare costantemente in nuovi mercati. Ed è pure necessario per guadagnarsi la fiducia dei dipendenti, così da attirare i migliori talenti e riuscire a mantenerli sul medio e lungo periodo. “Teniamo molto alle famiglie e alla possibilità che i nostri dipendenti possano costruirne una. Questo vale per tutti, senza distinzioni di genere e per genitori naturali, surrogati e adottivi, a prescindere dall’orientameno sessuale e dalla struttura famigliare. Per i neogenitori c’è un congedo parentale di 20 settimane per il primo anno di vita del bambino, completamente retribuito. Una formula che si integra con quanto previsto dalle norme governative, che tra l’altro consente al partner di gestire meglio il rientro nel mondo del lavoro”. La possibilità di godersi i piccoli non è limitata ai primi mesi di vita, perché il lavoro agile che guarda ai risultati e non alle ore trascorse davanti al monitor del computer consente ampia libertà di movimento: “I dipendenti sono liberi di uscire e rientrare quando vogliono, non c’è un orario rigido da rispettare, perciò se desiderano o devono andare a prendere il figlio che esce da scuola, oppure preferiscono pranzare a casa e poi tornare in ufficio possono farlo in totale autonomia”.
L’importanza di creare uno spirito aziendale
Sostenere i dipendenti per metterli nelle condizioni migliori affinché possano focalizzarsi al meglio sui rispettivi progetti è la filosofia di Ross e Bitpanda. Una ambizione che passa necessariamente dal poter contare su persone in grado di reggere forti dosi di stress. “La cosa più importante per noi è avere le persone giuste, ma non a tutti piace lavorare in ambienti che vanno molto veloci. Non a tutti piace dover rispondere a una chiamata alle 7 del mattino, oppure alle 7 di sera. Per questo bisogna essere molto chiari con le persone, spiegare bene cosa fa l’azienda e che tipo di accordi si firmano. Trasparenza e chiarezza portano libertà e fiducia, in una relazione in cui ognuno sa che dall’altra parte si fa il massimo per raggiungere i rispettivi obiettivi”.
Gran parte delle novità dedicate ai dipendenti parte del modello ibrido che prevede la ripartizione del 50% tra lavoro da remoto e tempo speso in uno degli hub aziendali – che oltre a Vienna si trovano a Barcellona (con oltre 100 dipendenti), Londra, Amsterdam, Berlino, Bucarest, Dublino, Cracovia, Londra, Madrid, Zurigo e Milano (in Italia Bitpanda è arrivata nel settembre del 2021 e nel primo anno di attività ha attirato circa 100.000 dei complessivi 4 milioni di clienti, con gli uffici meneghini che ospitano 6 persone, destinate a superare la decina entro fine anno) – nascono dalle richieste degli stessi lavoratori e i successi esperimenti pilota.
“Ascoltare i propri collaboratori è la prima regola, per questo passiamo da sondaggi e altre iniziative per coinvolgere i dipendenti e sentire le loro impressioni. Non è solo importante offrire nuove opportunità, ma anche migliorare ciò che c’è già”, continua Ross, consapevole che di lavoro da fare ce n’è ancora molto. “Non promettiamo di soddisfare tutti i dipendenti al 100% e di avere sempre la soluzione corretta per tutti, ma possiamo promettere che stiamo facendo e continueremo a fare il nostro meglio per provare ad accontentare tutti con la giusta soluzione per ognuno di loro. Del resto, al di là dei risultati e dei profitti, è anche in questo modo che si crea uno spirito aziendale con cui farsi conoscere e ricordare”.