«Il mercato è enorme. Aprire 2mila nidi entro i prossimi 5/7 anni è un obiettivo sfidante. E rappresenterebbe comunque una piccola fetta». Francesco Cardoletti, Head of Ventures di Mamazen che abbiamo già intervistato sul magazine, ci ha inquadrato lo scenario che ha di fronte Dino, startup lanciata dallo studio torinese con l’obiettivo di aumentare il livello dell’offerta attraverso una rete di micronidi e nidi famiglia specie nelle zone dove l’assenza di strutture adeguate può mettere in difficoltà una famiglia che ha appena avuto un figlio.
A guidare questa società early stage, che punta ad avviare le strutture pilota nei primi mesi del 2026, ci sono Elisa Fogu e Stefano Piffieri. Ma partiamo dai numeri prima di analizzare come questa startup vuole proporre una soluzione.
Nidi in Italia: i numeri del problema
Uno dei problemi più gravi che l’Italia sta affrontando e affronterà nei prossimi anni (decenni?) è la denatalità. Secondo i dati di Openpolis, nel 2024 infatti i nuovi nati erano circa 370mila, ovvero 10mila in meno rispetto al 2023, con una riduzione del 2,6% in un solo anno. Se confrontato rispetto al 2008 il crollo è di oltre 200mila nati. Non esiste un unico fattore che ha provocato questo inverno demografico. E quel che è peggio è che per quelle famiglie che scelgono comunque di fare figli i primi anni di vita richiedono sacrifici non soltanto economici, ma anche organizzativi. In mancanza di nonni a disposizione per prendersi cura dei nipoti, l’aiuto dei nidi non sempre è adeguato.

L’obiettivo europeo è 33%, ovvero ci devono essere 33 posti nido ogni 100 bambini con età inferiore ai 3 anni. Alcune regioni fanno molto meglio sempre secondo i dati di Openpolis: Umbria (46,5%), Emilia-Romagna (43,1%) e Valle d’Aosta (43%); altre hanno una situazione critica: Calabria (15,7%), Sicilia (13,9%) e Campania (13,2%). Al netto degli aiuti – bonus nido e altri sostegni regionali o comunali – c’è poi il nodo dei costi per la retta.
«Dino sarà una rete di micronidi», ci ha spiegato il co-founder Pifferi, classe 1993. Dopo una esperienza nell’unicorno turco Getir, per il quale ha seguito le attività in Italia dal lancio all’abbandono del mercato, ha in seguito lavorato in EY per poi infine avvicinarsi all’imprenditoria. «Dino funzionerà come una rete di imprese in franchising. Persone con la propria azienda in autonomia che riceveranno supporto per tutte quelle attività che non riguardano il core business di un nido, ossia la cura dei bambini».

Gli obiettivi della startup Dino
Burocrazia, ricerca di nuovi clienti, pratiche. Come per molti altri settori, anche l’apertura di un asilo nido in Italia non è facile. «Occorrono dai tre ai sei mesi, un ping pong con attori territoriali come ATS e comuni per permessi e autorizzazioni – è intervenuto Cardoletti -. La burocrazia è un punto critico che vogliamo snellire tramite il digitale». Al momento la startup è in una fase di esplorazione del mercato e di dialogo con i soggetti coinvolti, in primis le maestre e i maestri.

«Un altro problema che riguarda gli asili nido è rappresentato dalle condizioni lavorative delle persone. Stipendi bassi, come 1200 euro al mese. Il nostro obiettivo è fornire trattamenti economici migliori». Al momento la startup Dino non si è ancora sbilanciata sulle cifre e deve ancora capire a quanto ammonterà l’investimento complessivo per aprire una rete di migliaia di micronidi e nidi famiglia in Italia. «Ogni startup di Mamazen – ha aggiunto Cardoletti – riceve 150mila euro come stanziamento per la fase pilota. Serve a capire le metriche, la sostenibilità del business». A seguire ci sarà il piano di investimento.
La soluzione dei micronidi o dei nidi famiglia – formati pensati per accogliere un numero ridotti di bambini – è funzionale alla riduzione dei costi. Nei 2mila nidi che Dino vuole aprire saranno accolti circa 20mila bambini. «Ci evitiamo i costi di affitto di strutture grandi – ha detto Pifferi -. In alcuni casi possiamo affidarci alle case delle persone, in altri costruiremo da zero le strutture mediante partnership». Il modello di rifermento è quello tedesco e austriaco, dove soluzioni di questo tipo sono ormai diffuse.

Al momento non si conosce una mappa di dove Dino deciderà di aprire la propria rete, ma come ci ha spiegato il co-founder spazio verrà dato soprattutto alle aree meno servite. «Faccio l’esempio del Piemonte: ci sono 400 comuni coperti su 1100. C’è una lunga lista di centri abitati, piccoli, senza strutture. E aprire lì nidi con 40 posti sarebbe insostenibile dal punto di vista economico. La soluzione è dunque puntare sul micro».