«Non conta quel che guardi. Conta quello che vedi». Poeta e filosofo americano dell’800, precursore dell’ambientalismo e della nonviolenza, Henry David Thoreau non poteva immaginare che la sua celebre frase d’ispirazione assumesse significati inediti in questo XXI secolo, in cui le tecnologie sono impegnate a replicare le funzioni di uno degli organi più complessi, l’occhio umano, mentre “interpretare” in tempi rapidissimi l’immagine è diventata una sfida cruciale in molti campi, dai sistemi di sicurezza e di difesa alle auto a guida autonoma.

Intervista alla CEO di Eye2Drive
«Esistono già telecamere molto più definite dell’occhio umano. Ma è la flessibilità di un organo guidato dal cervello che è ancora lontana dall’essere replicata», spiega Monica Vatteroni, laurea in ingegneria microelettronica a Pisa, PhD in Fisica all’Università di Trento, fondatrice e Ceo di Eye2Drive, startup con base a Marina di Carrara. Dopo un percorso accademico d’eccellenza ed esperienze all’estero, da Lione a Cambridge con un passaggio a Silicon Valley, ha tenacemente perseguito il sogno di una tecnologia capace di “vedere” meglio delle altre, combinando nel frattempo le difficoltà di una startupper femminile a quelle di una madre di famiglia.

Cos’ha di particolare il vostro sensore?
Sappiamo che l’occhio umano impiega pochissimo ad adattarsi a condizioni di luce variabile, passando per esempio da una situazione di semioscurità a luce intensa. Riuscire a fare altrettanto è un grosso problema per le attuali telecamere, perché questa rielaborazione della visibilità si traduce in un’immensa mole di dati da interpretare rapidissimamente. Ci sono aziende che stanno complicando questo procedimento aumentando i dati e le capacità del sensore, perdendo una cosa fondamentale: oltre ai costi aumentano i tempi di reazione. Noi invece abbiamo trovato il modo di semplificare questo procedimento e oggi lavoriamo pure a un sensore particolare, capace di vedere anche in mare, dove le condizioni create da riflessi sono proibitive, che per di più è integrabile con l’Intelligenza artificiale: dunque l’addestramento di questa AI a condizioni diverse promette di rendere in futuro sempre più efficiente la capacità di adattamento.
Da dove è iniziata la tua avventura?
Se mi guardo indietro, direi da quel professore di matematica che a fine liceo mentre io ero in bilico fra economia e matematica mi disse di pensare invece a ingegneria e fisica. È stato così che mi sono appassionata all’ingegneria elettronica, microelettronica soprattutto. E sono arrivata a fare la tesi con un relatore come Benedetto Vigna, oggi amministratore delegato di Ferrari, all’attivo duecento brevetti fra i quali i Mems, dispositivi microelettromeccanici. Ho iniziato nel 2002 a Trento lavorando per una startup dell’ attuale Fondazione Bruno Kessler, NeuriCam, precursore dei sensori neuromorfici che integrano occhio e cervello.

E l’idea di questo nuovo sensore?
Più tardi all’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore di Sant’Anna a Pisa ho realizzato i primi sensori specializzati in attività biomediche. Lavorando nel gruppo di endoscopia, alla prima operazione chirurgica sono rimasta stupita: possibile che non si accorgessero che non si vedeva niente? Il chirurgo ripeteva “datemi visione migliore” e loro continuavano ad aggiustare la telecamera, costantemente accecata. È lì che mi è venuta l’idea di migliorare i sensori, adattandoli in tempo reale alla luce.
Un’idea perfezionata con esperienze all’estero…
Sì, prima a Lione, con un progetto avviato con una borsa di studio Maria Curie, poi interrotto con l’arrivo del mio secondo figlio. Andavo a Lione con la bambina piccola e i miei genitori per una settimana al mese, in un appartamento di 19 metri quadri, mentre mio marito restava a casa da solo. Nel frattempo sono stata chiamata a Cambridge, lavoro part time da casa e ben pagato. Era una startup nel settore supercomputer di nuova generazione, dovevo curare brevetti e proprietà intellettuale. Ma a fine 2020 ho capito che dovevo mettere la testa al 100% sulla mia Eye2Drive. È quel che ha fatto pure Carmen, la mia socia, che ha avuto figli a pochi giorni dai miei.

Da donna hai affrontato problemi particolari nel fare impresa?
Non mi sono mai sentita discriminata. Ma ho avuto esperienze spiacevoli, come il sentirsi dire ‘ti ho dato opportunità nonostante fossi donna’ da un personaggio che avevamo coinvolto malgrado avessi avuto all’inizio brutte sensazioni. Avrei dovuto fidarmi di più del mio istinto.
E l’esperienza a Silicon Valley?
Lo scorso dicembre, sono stata travolta dalla sua velocità che mi è piaciuta. Soffro tanto l’atteggiamento italiano medio, tra lentezza e burocrazia. Mi piace la dinamicità, mentre In Italia si tende a non fare per la paura di fallire, si preferisce dar poco a tanti piuttosto che rischiare e scommettere su un cavallo vincente, spingere chi già c’è.
Cos’è oggi Eye2Drive?
Oggi ho un team, sei assunti e sei part time e sono felice. Nessuna azienda ti darà mai quello che ti offre una startup, un’esperienza a 360 gradi che ti impone di uscire dal guscio, metterti alla prova con sfide nuove. L’imprenditore non è un manager, affronti una sfida globale, con gioie e dolori in cui vedi e senti tutto. Compresi i mal di pancia. Stiamo sviluppando l’azienda, progettiamo un brevetto che rinnova proprietà intellettuali dell’azienda e rende i nostri sensori applicabili a più casi, uno pure all’interno di un grande progetto della Difesa. Abbiamo proposto un piccolo progetto a “Solvers Wanted”, la piattaforma con cui Leonardo cerca costantemente nuove tecnologie per nuovi problemi.

Alla fine, tre parole chiave della tua avventura?
La prima è ‘Resilienza’. Ci ho creduto, indipendentemente da quanto mi è successo. La seconda è ‘Serendipity’: quante cose accadute per caso, mentre eravamo alla ricerca, come quando a mi è capitato casualmente di parlare della mia azienda a cena. Con una persona che inaspettatamente mi dice: vi do una mano io. E non era la prima volta che trovavo per caso la persona giusta al momento giusto.
E la terza?
La terza infine è ‘Fantasia’. Saper cambiare strada. A me per esempio sarebbe piaciuto entrare all’Università ma solo dopo ho capito che non faceva per me. Fantasia è pure saper andare oltre a quanto proposto. Nel nostro settore vedo rimpastare le stesse cose, senza saper andare fuori dagli schemi, come tentiamo di fare noi con Eye2Drive.