«Per crescere, l’ecosistema ha bisogno di casi di successo. Ma non credo che la soluzione sia fare le cose in fretta. In Italia oggi il numero degli investimenti è corretto e rispecchia lo stato del settore. C’è bisogno di tempo, poi vedremo i frutti di questo lavoro». Andrea Peroni è portfolio manager di Zest, il nuovo attore nato dalla fusione tra Digital Magics e LVenture Group.
In questa nuova puntata del lunedì dedicata all’incontro con un protagonista dell’ecosistema VC e degli investimenti, parliamo di capitale paziente in un mondo che, tra dazi e guerre, ci vorrebbe sempre con il piede sull’acceleratore. E invece non è mai troppo tardi per pianificare e ragionare sul medio-lungo periodo, per capire quali siano davvero le migliori startup su cui investire, senza farsi trascinare ogni volta dall’hype di turno.

Una tesi sul Venture Capital
Peroni, classe 1997, ha avuto un percorso che lui stesso definisce «lineare». Studi in economia in Cattolica, a Milano, con un’esperienza negli USA, a Minneapolis, dove ha avuto modo di comprendere un primo grande gap rispetto al contesto oltreoceano. «La connessione diretta tra università e imprenditoria è più marcata, anche nelle città meno associate a startup e innovazione». I talenti vanno scovati il prima possibile, e infatti in Digital Magics — dove Peroni ha iniziato la sua carriera negli investimenti dopo una breve parentesi in consulenza — l’approccio era proprio quello: puntare sulle fasi molto early stage, con un acceleratore che si fa quasi co-founder per scommettere su un’idea che può dare soddisfazioni.
«La passione per il Venture Capital l’ho avuta fin dai tempi dell’università. Ho dedicato pure la tesi al Corporate Venture Capital». Materia popolare, per caso? «Il VC è presente in vari corsi, tra finanza e innovazione. Ma cinque anni fa, sul Corporate Venture Capital non c’era quasi letteratura scientifica». È così che ha setacciato il settore, a caccia di best practice, per seguire i pattern. In quel periodo ha cominciato a conoscere il suo futuro posto di lavoro, uno dei nomi di riferimento dell’ecosistema italiano fin dagli esordi.

Accelerare i “piccoli”
«Digital Magics, quando sono entrato, era un classico incubatore. Ma rispetto ad altri mi attirava perché c’era un rapporto stretto con le società, intercettate nei primi momenti di vita. In qualità di primi investitori c’era qualcosa di diverso». Per la crescita successiva ha giocato un ruolo fondamentale CDP Venture Capital, con la rete nazionale degli acceleratori che ha contribuito a comporre una geografia meno milanocentrica, capace di dare dignità e contorni a distretti, tecnologie, eccellenze, territori.
La fusione tra Digital Magics e LVenture, nel 2024, ha accelerato il passo. Oggi Zest gestisce sette acceleratori verticali e 2 joint venture con Intesa Sanpaolo e Tinexta. In questo nuovo soggetto, Andrea Peroni segue i processi di investimento con focus su aziende pre-seed e seed e, successivamente, sulla gestione del portafoglio. «Ho gestito circa 30 investimenti e faccio parte del comitato investimenti di Apside».
Nel 2024 a fronte di un investimento di Zest di 4 milioni di euro, le startup di portafoglio hanno raccolto più di 87 milioni di euro, «C’è un effetto leva di oltre 22x: per ogni euro investito da Zest le società mediamente raccolgono più di 22 euro da terzi. Per noi significa un forte riconoscimento da parte del mercato». Tra i risultati del 2024 ricordiamo le tre exit (Futura, Cardo AI e Fitprime), con un valore complessivo di 6,4 milioni di euro e un ritorno medio di oltre 13 volte sull’investito.

Come emerso dal report sul primo semestre 2025, presentato a SIOS25 Summer lo scorso giugno a Torino, il numero dei round è tornato a crescere, così come il volume dei capitali. Ma siamo ancora in una fase di inseguimento rispetto ad altri comparti. Come ci ha spiegato Peroni, il tema dei dazi — che preoccupa l’economia nel suo complesso — al momento non è in cima alle priorità delle società early stage, ma senz’altro resta complesso raccogliere fondi oggi.
Capitali pazienti
Il che, come ci ha spiegato l’esperto, non è per forza un problema. «Tra gli effetti rilevati dell’attuale situazione economica e geopolitica misuriamo tempi più lunghi per le raccolte». E non per questioni burocratiche. «Semplicemente perché si prendono decisioni più accurate. L’asset class del Venture Capital deve ancora dimostrare di saper generare ritorni attrattivi. Servono casi di successo con una dimensione internazionale e meno locale».

Sono le storie che ci piace raccontare. Ma anche i fallimenti portano il loro contributo. «Lato founder sta aumentando la qualità in termini di capacità imprenditoriale legata al mondo delle startup. E poi c’è maggiore capacità di dialogo con gli investitori. Sanno gestirne meglio le aspettative. Molti si rimettono in gioco dopo aver fallito, e questo favorisce un grande turnover dei talenti».
In un mondo che corre, anche la tecnologia va veloce. Ma gli investimenti in Venture Capital necessitano di maggiore cautela, per non disperdere capitali che non sono certo infiniti. «Sono confidente del fatto che nei prossimi anni ci sarà uno sviluppo maggiore. Serve pazienza».