Continua il nostro viaggio alla scoperta degli attori dell’ecosistema VC. L’ospite di questa puntata ha lanciato 360 Capital. Poi ha cofondato Panakès Partner, fondo che gestisce 250 milioni nell’ambito delle Life science
È un po’ come il settore deeptech nel mare magnum delle innovazioni digitali. Composto da tecnologie estremamente complesse, come quel quantum internet di cui vi abbiamo parlato in questo articolo. Così nel gigantesco calderone della salute troviamo le Life science, le Scienze della vita: è qui che startup medtech e biotech lavorano su ricerca e sviluppo per puntare agli obiettivi più ambiziosi. «Life science sono le nuove molecole per curare tumori, l’Alzheimer, per consentire ai medici di diagnosticare in tempo le malattie». Scenari che, abituati all’immediatezza del digitale, potrebbero sembrare davvero molto in là nel tempo. E invece si definiscono investendoci oggi. Diana Saraceni, cofounder della società di VC Panakès Partners con sede a Milano, ci spiega quali sono i tempi dell’innovazione in ambito health, come si documenta una venture capitalist attiva in un segmento così complesso, e come approccia i ciclici hype – anche la salute ha la sua ChatGPT? – senza farsi confondere da valutazioni astronomiche e unicorni gonfiati.
La carriera di Diana Saraceni
Da tempo su StartupItalia stiamo raccogliendo le testimonianze di rappresentanti del mondo VC per capire l’altra fetta dell’ecosistema, quella che raccoglie soldi dagli investitori con l’obiettivo di farli fruttare con exit e quotazioni nel medio periodo. Diana Saraceni non ha fatto altro nella sua carriera. «Sono un ingegnere di background». Forma mentis scientifica che ha applicato alla materia delle startup. Ha cominciato 23 anni fa, in uno dei tornanti cruciali per il digitale. Lo scoppio della bolla delle dot.com non ha fatto fallire internet: ha semplicemente fatto pulizia tra la fuffa e le società promettenti che oggi chiamiamo Big Tech.
«I fondamentali erano molto chiari anche all’epoca. Attorno alle startup c’era un’attenzione senza precedenti. Poi ci sono state senz’altro cattive interpretazioni». Una lezione che oggi vale ancor di più, in un segmento così specializzato e incentrato sulle competenze come quello della salute. Prima di cofondare Panakès Partners con Fabrizio Landi e Alessio Beverina, Diana Saraceni aveva dato vita a un altro importante attore VC: 360 Capital. Era il 2001. «Ho iniziato subito a occuparmi di investimenti in realtà medtech e Life science».
In oltre 20 anni di esperienza, la venture capitalist si sente più preparata di ogni founder e Ceo che invia un pitch deck al fondo? «No: il nostro lavoro è complementare a quello di un imprenditore. Il VC ha dalla sua la visione sul settore degli investimenti. Conosce quel che ha funzionato in passato, le storie di successo. Il fondatore sa moltissimo del suo business plan». Avendo 250 milioni di euro sotto gestione, Panakès Partners non può permettersi certo di affidarsi soltanto al fiuto dei soci. È un lavoro di squadra, che raggruppa un network di esperti da tutto il mondo.
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VC delle Life science
«Mi alimento con informazioni come gli articoli della stampa di settore: Nature, The Lancet. Sono alla base della nostra conoscenza del comparto». Eppure non basta quando si deve decidere di guidare un’operazione di aumento di capitale su una startup che lavora nella medicina di precisione o con gli organi su chip. «Per ogni ambito della medicina ci appoggiamo a un network di key opinion leader. Medici, scienziati, esperti dell’accademia. Per il tumore al polmone, ad esempio, consultiamo persone che lavorano negli USA e in Svizzera».
“Il lavoro del venture capitalist è complementare a quello di un imprenditore”
Di recente Panakès Partners ha annunciato il final closing a 175 milioni di euro del suo secondo Fondo Purple (il primo, nel 2016, aveva raccolto circa 80 milioni). «Il nostro più grande successo? Quasi tutte le società che abbiamo in portafoglio hanno raccolto round successivi da investitori internazionali. Là dove noi abbiamo messo 4 altri hanno messo 40». A differenza di altri fondi che si focalizzano su una fase specifica della vita delle startup in cui investono, Panakès è, come dice Saraceni, «agnostico». Investe in seed come in late stage.
Tempi lunghi, ma non troppo
Ma quali sono i tempi di attesa dell’innovazione nelle Life science? Brevetti, test, verifiche, autorizzazioni, commercializzazione sono fasi lunghe, che spingono molto in là il momento in cui da un’idea si arriva al fatturato vero e proprio. «Ci sono storie di tecnologie che prima di fatturare possono essere vendute – controbatte Diana Saraceni -. Tante biotech non fatturano, ma sono già quotate in Borsa e valgono miliardi». Se paragonato al mondo delle app potrebbe sembrare una bolla, ma così non è. «Il nostro ambito dà grande valore alla tecnologia. E infatti sono molte le exit precliniche. Il successo di una startup biotech non è correlato al fatturato e alla profittabilità».
“Tante biotech non fatturano, ma sono già quotate in Borsa e valgono miliardi”
Con la salute non si scherza
Ciò non significa che si possa sfuggire alla prova dei fatti. Uno dei casi più eclatanti di ex unicorni falliti e finiti in tribunale ha riguardato Theranos, ex gioiello USA di Elizabeth Holmes portato in palmo di mano da figure come Bill Clinton e osannato come una sorta di nuova Apple del settore salute. La storia del macchinario che si pensava effettuasse numerose analisi del sangue prelevandone una sola goccia si è scontrata con una condanna a 37 anni di detenzione per frode nei confronti degli investitori (mentre Holmes non è stata giudicata colpevole per frode nei confronti dei pazienti). Come ci si protegge da casi simili se perfino le figure più potenti del mondo commettono simili errori?
«Noi spendiamo tantissime energie per fare la due diligence. Per capire ogni pezzo della tesi di investimento. Ma la verità è che c’è sempre un pezzetto di trust. La cosa più importante sono i founder e le loro referenze». Il caso Theranos odierno riguarda l’exchange crypto FTX, il cui founder Sam Bankman-Fried è stato arrestato. E anche in questo caso dietro ci sono investitori di rilievo come Sequoia Capital. Ce la si cava con la proverbiale frase secondo cui anche i migliori sbagliano?
Hype buona, hype cattiva
«Di fronte a fasi di hype attorno a un tema o a una startup bisogna mantenere la freddezza». Non perché per forza di cose l’attenzione mediatica attorno a un argomento sia una cosa negativa di per sé. «Per le società del settore è un bene perché raccolgono più facilmente. Per fare un esempio: negli ultimi anni la maggior parte dei business plan che arrivavano contenevano la parola Covid 19. L’importante è non farsi influenzare pagando valutazioni eccessivamente alte. Perché sennò non fai ritorno». Esiste dunque un tema alla ChatGPT di cui si sta parlando molto nel settore Life science? «Paragonabile per eco mediatica no. Ma c’è molta attenzione su temi come Gene therapies, Robotica, così come AI for drug discovery e medicina di precisione». Come detto all’inizio: tecnologie di frontiera difficili da capire. Ma che definiranno la salute del domani.