Anche gli unicorni si azzoppano. Qualche settimana fa TechCrunch ha titolato “Losing the horn”. Ma è davvero così? Su StartupItalia al via un confronto con i VC sui campioni mondiali dell’innovazione. Intervista al presidente del Club degli Investitori, Giancarlo Rocchietti
Unicorni scornati è il nostro speciale sullo stato di salute degli unicorni e quindi sulle aziende valutate almeno 1 miliardo di dollari. Pochi mesi fa TechCrunch ha pubblicato un articolo dal titolo assai eloquente: “Losing the horn”. «Gli ultimi anni sono stati su un ottovolante per il branco di unicorni del mondo delle startup. Due anni fa abbiamo visto un numero record di aziende superare il traguardo della valutazione di 1 miliardo di dollari. Ma quello slancio si è rallentato fino a ridursi lo scorso anno e le condizioni di mercato di questo 2023 sembrano destinate a invertire la rotta», ha scritto Rebecca Szkutak. Noi siamo partiti da una semplice domanda: che fase storica è per gli unicorni in Italia e nel mondo? Un modo per comprendere lo stato di salute dei grandi player tra rischi, cautele, opportunità.
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“Non è tutto oro quel che luccica” recita un noto proverbio. Nel caso degli unicorni, spesso è proprio così. In questo nuovo appuntamento del nostro speciale Unicorni Scornati abbiamo approfondito il tema con Giancarlo Rocchietti, presidente del Club degli Investitori, una community che raggruppa oltre 300 imprenditori, manager e professionisti che investono in startup, scaleup e PMI innovative fondate da italiani. Nel Club, con sede a Torino, Giancarlo Rocchietti e il suo team studiano annualmente oltre mille proposte e investono da 100mila a 1,5 milioni di euro in circa venti aziende l’anno.
I settori di maggiore interesse sono Digital, FinTech, MedTech, BioTech, DeepTech, FoodTech e PropTech. Imprenditore, business angel e ingegnere elettronico, Rocchietti è stato anche presidente dell’agenzia Sviluppo Italia Piemonte e Presidente di Piemontech, il primo fondo locale per lo sviluppo degli investimenti seed in Italia. Di investimenti e unicorni ne ha da raccontare e noi abbiamo approfittato di questa opportunità per chiedergli il suo punto di vista a livello globale.
Giancarlo Rocchietti, Club degli Investitori
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Presidente, quanti unicorni ci sono oggi in Europa? Quale è il quadro?
Sicuramente è un momento difficile a livello globale. In Italia si contano solo due realtà che nell’ultimo anno sono diventate unicorni: Scalapay e Satispay. In Europa, a luglio 2022 c’erano 151 unicorni – valutati almeno 1 miliardo di euro – di cui 44 solo nel Regno Unito. Segue la Germania con 29, la Francia con 25, la Svezia e la Spagna, che rispettivamente contano 8 unicorni. Fanalino di coda l’Italia. Il valore totale europeo degli unicorni supera i 500 miliardi di euro. Se analizziamo, ad esempio, la Francia, questa conta un unicorno ogni 1000 startup. In Italia ci sono 2 unicorni ogni 20mila startup.
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Ma perché diventare unicorni è così difficile?
Lato investitori, non si investe tanto nei round seed quanto nei round più alti. L’attualità, però, ci dice che di round B e C oggi se ne contano il 50% in meno rispetto a qualche tempo fa. Questo accade perché dopo il round A manca un lead investor forte e, spesso, il gruppo di investimento non è coeso. D’altro canto, il sistema imprenditoriale deve essere in grado di assorbire una quantità elevata di unicorni, cosa che, spesso, non avviene. E così queste realtà finiscono per “perdere il corno”. Non si può parlare di una “bolla” ma, senz’altro, di una “sopravvalutazione”. Pensiamo a Klarna, diventato unicorno più di dieci anni fa: quanto raccoglierebbe oggi? In realtà il mercato è molto affollato e i soldi ci sono ma siamo in una fase di rivalutazione. Con la pandemia ci si aspettava che il mercato del venture capital si fermasse, invece abbiamo investito su realtà che fino a quel momento non erano state prese in considerazione. Successivamente – ed è quanto sta accadendo attualmente – c’è stata una rivalutazione generale.
Cosa manca all’Italia per “fare il salto” tanto atteso?
Di imprenditori davvero bravi in Italia se ne contano pochi e, come dicevo, gli investimenti si concentrano in round più alti di quelli che vengono spesso proposti. Ma l’Italia sta andando in controtendenza: nel nostro Paese le valutazioni non scenderanno e questa fase di “sgonfiamento” a livello globale porterà tanti vantaggi. Inoltre, il mercato del venture capital è stato scoperto recentemente e questo offre ottime opportunità per recuperare. Teniamo presente che il modello “Zuckerberg”, del giovane genio che si lancia, fa strada e diventa uno dei più grandi imprenditori mondiali in pochi anni, in Italia non si può fare. L’età media europea dei grandi imprenditori, a livello europeo, è 40 anni.
Quali sono le sue previsioni per quest’anno?
Credo che il 2023 sarà un anno di crescita. Il 2022 lo è stato. Penso che questo hype terrà. Teniamo sempre presente, però, che misurare il numero di unicorni presenti su un determinato territorio non è un sistema di valutazione dell’ecosistema. Si deve guardare sempre al valore occupazionale di una determinata realtà. Ci sono imprese che prima di essere quotate in Borsa contavano 1000 dipendenti, dopo la quotazione sono diventati 2000: questo è un buon metro. Se lavoriamo in questa direzione, con investimenti in crescita continua al ritmo attuale, l’Italia potrebbe dare alla luce 15 unicorni nei prossimi cinque anni (noi potremmo, potenzialmente, raggiungere un unicorno per ciascuno 1.000 start-up, come la Francia). I prossimi due anni saranno centrali nella riduzione del gap.
Quali sono, secondo lei, le realtà più promettenti?
Mi viene in mente Newcleo, che lavora nel settore dell’energia nucleare e in queste ultime settimane ha comunicato un aumento di capitali di un miliardo. Ma ce ne sono anche altre: Roboze, Genenta, Yolo, Soldo, Moneyfarm, D-Orbit, MMÌ, Credimi, Prima, Musixmatch, Casavo, Everli, Planet Smart City, Enthera. Il Club è molto interessato alle realtà delle Life Science, del digitale e del Quantum Computing, dell’hitech, dell’environment e del green: sono settori che guidano il nostro presente e che guideranno il nostro futuro.
Quali consigli si sente di dare ad aspiranti unicorni?
Anzitutto non avere fretta e fare analisi di mercato molto approfondite prima di proporsi. Partire subito in chiave di internazionalizzazione e non ragionare pensando: “Prima vedo come va in Italia poi mi butto all’estero”. Non funziona così. Alla prima esperienza da startupper, un grande imprenditore quasi sicuramente non lo diventerai, ma ti servirà per capire dove hai sbagliato e per migliorarti. La cultura del fallimento è un altro grande tema sul quale in questo Paese c’è ancora tanto da fare. I bravi founder devono, inoltre, sfruttare al meglio le possibilità date loro dagli investitori: centrale è il network. Ad esempio, nel Deeptech ci sono tanti grant europei ma l’Italia ha una scarsa capacità di attrarli, così come accade nel Fintech, che è un altro dei settori che in questo Paese ha preso un duro colpo.