Questa nuova rubrica “2100 – Cronache dal nuovo tempo” ci parla dal domani. Cioè per Fabio Lalli, nuova firma dal futuro di StartupItalia, il 2100 è il presente e quindi inevitabilmente il nostro oggi per lui è già ieri. Ecco, proprio nel 2100 funziona (quasi) tutto. Ma cosa abbiamo lasciato indietro? Se l’intelligenza artificiale ha tutte le risposte, che fine fa la meraviglia?
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Un mattino come tanti, forse troppo
La stanza ha già regolato temperatura, luci e profumi. Il vetro che separa interno ed esterno non riflette più: è una finestra sul tempo. Fuori, la città si muove in silenzio. Non c’è fretta. Non c’è traffico. Tutto è calibrato per accadere nel momento migliore. È una conquista. Eppure, a volte mi chiedo: è ancora vita, se non ha attrito? Non è una fine. È un inizio diverso. Abbiamo costruito un ecosistema cognitivo che riduce l’errore, anticipa il desiderio, previene il conflitto. Le intelligenze artificiali ci aiutano a scegliere, a comprendere, a decidere. Abbiamo più tempo, più salute, più equilibrio. Viviamo più a lungo, sbagliamo meno, soffriamo diversamente. Ma a forza di non inciampare, forse abbiamo dimenticato cosa si prova a cercare nel buio.
I bambini fanno meno domande
Troppe meno. Molti di loro hanno imparato che la risposta arriva prima della domanda. L’assistente cognitivo intercetta un’intenzione, completa un pensiero, suggerisce un contenuto. È comodo. È brillante. Ma c’è chi si ferma, chi osserva, chi rimane in silenzio. E forse, proprio in quei silenzi, si nasconde qualcosa di prezioso: la possibilità di non sapere. Per secoli, la domanda «perché?» ha costruito il mondo. L’hanno pronunciata i bambini sotto le coperte, gli scienziati nei laboratori, i filosofi nelle piazze. Era il motore invisibile della conoscenza. Poi è successo qualcosa. Intorno alla metà del XXI secolo, le richieste di chiarimento cominciarono a diminuire. Le risposte, sempre più rapide e precise, erano già lì. Bastava chiedere all’AI.

Dal sapere al ricevere
Un tempo erano gli adulti a cercare scorciatoie: Google, Wikipedia, Siri. Ma quando l’intelligenza artificiale si integrò con ogni oggetto della casa, anche i più piccoli impararono a delegare. Una domanda veniva formulata e una voce, gentile, esaustiva, algoritmica, rispondeva. Nel 2100 non c’è più bisogno di chiedere. Basta intendere qualcosa e l’intelligenza artificiale completa il pensiero. Gli educatori li chiamano “nativi risolti”: hanno tutte le risposte, ma poche domande. Per molti è un traguardo, per altri una quieta inquietudine. Come si coltiva la meraviglia in un mondo senza misteri? Cercare richiede fatica, frustrazione, tempo. Trovare è comodo, immediato, passivo. In un’epoca in cui l’apprendimento è diventato un flusso ininterrotto di input personalizzati, il rischio è che il sapere diventi solo consumo. «Se l’AI risponde a tutto, a cosa serve imparare?», si chiede Elena, docente in una delle poche scuole analogiche rimaste. «Serve per ricordarci che siamo ancora umani».

Il prezzo dell’efficienza
In nome dell’efficienza, abbiamo ridotto l’errore, ottimizzato i processi, automatizzato l’indecisione. Ma l’errore era anche creazione. Il dubbio era spazio. L’indecisione era libertà. Oggi ogni risposta è perfetta, ma la perfezione ha un prezzo: l’atrofia del desiderio. Non desideriamo ciò che possiamo avere subito. E non interroghiamo ciò che sembra già spiegato. Eppure, non tutto è andato perduto. A volte, anche nell’ambiente più prevedibile, un bambino si volta di colpo, fissa un punto e chiede qualcosa che nessuno si aspettava. Non perché vuole una risposta, ma perché ha visto qualcosa che ancora non capisce. Forse è proprio lì che può nascere una nuova ribellione: quella di un bambino che, guardando l’orizzonte, chiede di nuovo «perché?». Non per avere una risposta. Ma per iniziare un viaggio.

Il futuro non è un giudizio, è un bilancio. Non c’è un colpevole. Non c’è un errore fatale. C’è una somma di scelte coerenti, razionali, funzionali. Ma ogni sistema, anche il più evoluto, ha bisogno di essere interrogato. E ogni abitudine, anche quella che ci protegge, merita di essere attraversata da una domanda.