Meno di due settimane fa i titoli tecnologici in Borsa erano crollati con la notizia di DeepSeek, l’AI di una startup cinese la cui app era diventata la più scaricata negli Stati Uniti. Nelle ultime ore su TechCrunch è stata pubblicata un’altra notizia che rende l’idea di una democratizzazione in atto: un team di ricercatori di Stanford e dell’Università di Washington è riuscito ad addestrare s1, una AI che, in quanto a performance, sarebbe equiparabile ai software di OpenAI e DeepSeek. L’aspetto notevole è che il risultato sia stato possibile investendo appena 50 dollari.
Cosa ci dice l’AI di Stanford sulla democratizzazione del settore?
Come ha scritto Matteo Flora su StartupItalia «oggi è possibile eseguire modelli linguistici avanzati su un semplice smartphone, personalizzare un’Intelligenza artificiale su misura in poche ore con un normale laptop e generare modelli multimodali in tempi impensabili per i grandi laboratori di ricerca». Il nuovo software sviluppato dai ricercatori è disponibile su GitHub.
Rispetto al caso DeepSeek finora è rimasta soltanto l’accusa da parte della Casa Bianca: secondo Washington la società cinese avrebbe allenato la propria Intelligenza artificiale tramite la tecnica della distillazione, ossia prelevando conoscenza da un modello più potente, nello specifico quello di OpenAI. Si tratta di un furto, come ha detto David Sacks, membro del team di Trump incaricato di occuparsi del settore?
Nel caso di s1 il team ha detto di aver utilizzato la medesima tecnica, basandosi però sul Gemini 2.0 Flash Thinking Experimental di Google, a cui la Big Tech dà accesso gratuito. La via dell’open source sembra ad oggi quella con maggiori prospettive. Di certo il comparto continua a necessitare di investimenti cospicui, ma quello a cui si potrebbe andare incontro è un mercato in cui l’Intelligenza artificiale diventerà sempre di più una commodity.