Non bastavano centinaia di milioni di occhi elettronici diversamente intelligenti che, ormai, quotidianamente ci scrutano in ogni dove dalla terra rendendo ogni giorno più difficile rivendicare un vero diritto alla privacy e, con esso, il grappolo di diritti fondamentali e libertà dei quali è fiero difensore. Ora, a leggere le notizie che rimbalzano dalle colonne del New York Times, dobbiamo cominciare a preoccuparci anche di migliaia di occhi elettronici egualmente indiscreti che presto potrebbero far capolino nel firmamento, giusto tra una stella e l’altra. La startup americana Albedo Space ha, infatti, raccolto 100 milioni di dollari per progettare e costruire una flotta di satelliti che dal 2025 scruteranno il mondo, persone comprese, ventiquattro ore su ventiquattro, dallo spazio a una distanza dalla terra inferiore rispetto a quella delle orbite già oggi solcate da migliaia di altri satelliti.
I satelliti di Albedo Space
E da quell’altezza, a quanto pare, sarà possibile – almeno tecnologicamente – sgretolare il muro della riservatezza perché poco o niente resterà indistinguibile. Numeri di targa, volti delle persone e, probabilmente, anche dettagli più piccoli. Il rimedio più sicuro per la difesa della nostra privacy, forse, diventerà il sano e vecchio ombrello, da usare rigorosamente anche nei giorni di sole!
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Scherzi a parte – anche perché lo scenario è inquietante e fa passare la voglia di ridere – benché il rischio di una sorveglianza di massa dallo spazio esista ormai da tempo, ciò che preoccupa della nuova possibile avventura spaziale è la verosimile apertura all’accesso ai nuovi satelliti a un pubblico enormemente più vasto e, probabilmente, la progressiva diminuzione dei costi almeno direttamente proporzionata all’aumento dell’offerta di servizi e soluzioni utili a osservare dall’alto ciò che accade sulla terra.
Senza dire – ma solo perché ovvio – che la stessa evoluzione tecnologica, inesorabilmente, pone e porrà sfide sempre più complicate per la difesa della privacy rispetto al rischio di invasioni provenienti dallo spazio. Albedo Space, infatti, mira ad acquisire e distribuire immagini ottiche con una risoluzione tale da poter visualizzare persone, luoghi e oggetti con una precisione superiore a quella attualmente possibile con le tecnologie in circolazione.
Topher Haddad, CEO di Albedo Space, ha già messo le mani avanti e provato a rassicurare il mondo e gli alfieri della privacy, dichiarando, in una recente intervista che «Siamo profondamente consapevoli delle implicazioni per la privacy» e rassicurando tutti sul fatto che la società valuterà i nuovi clienti di volta in volta, adotterà le misure di sicurezza adeguate per prevenire eventuali abusi, e si assicurerà che i termini e le condizioni contrattuali prevedano misure punitive per le violazioni delle policy aziendali.
Basterà? Per carità, come di consueto, guai a dimenticarsi che i benefici attesi da questa nuova generazione di satelliti e dai servizi che essa abiliterà sono enormi e riguardano una serie di ambiti strategici per il futuro dell’umanità: sicurezza, difesa, emergenze climatiche, disastri naturali, solo per citarne alcuni.
Però, al tempo stesso è innegabile che la messa in orbita dei nuovi satelliti, la loro accensione e la messa a disposizione dei relativi servizi a clienti pubblici e privati curiosi di poter scrutare il mondo dalle stelle pone in termini di protezione dei dati personali e privacy sfide enormi che dobbiamo prepararci a affrontare, lavorando, innanzitutto, sulla progettazione dei dispositivi in questione e, quindi, sulle caratteristiche dei servizi che verranno forniti dalla Albedo Space e alle tante altre società che, verosimilmente, presto le si affiancheranno nella corsa.
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Difficile pensare che torneremo a fissare le stelle senza addosso la sensazione di essere osservati e, questa, rappresenta, di per sé una limitazione enorme della libertà delle persone con la quale non possiamo e non potremo non fare i conti.
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