Prosegue il nostro speciale in vista delle elezioni europee. Dopo le interviste a Francesco Cerruti (Italian Tech Alliance) e Giorgio Ciron (Innovup), affrontiamo la materia dell’innovazione con un tecnico, per capire come certi temi saranno affrontati dai nuovi Parlamento e Commissione che si formeranno dopo il voto dell’8 e 9 giugno. Ernesto Belisario è tra i soci fondatori dello Studio Legale E-Lex e docente a contratto presso l’Università di Pisa di Law and Ethics of AIs. «Credo che la legislatura in corso sia stata epocale. Ma già qualcosa si era visto nella precedente, con l’approvazione della GDPR». Belisario sarà tra gli speaker a SIOS24 Summer, il 20 giugno, a Roma.
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Pochi mesi fa l’UE ha approvato l’AI Act. L’Europa smetterà di legiferare sulla materia?
Siamo assolutamente all’inizio di un percorso. Questi sono i tempi delle democrazie. Non c’è dubbio che alcuni soggetti possano aver tempi più veloci. Se vuoi fare norme ascoltando le categorie sono richiesti anni. E non credo neppure sia problematico il tempo che l’UE ha impiegato ad arrivarci. Negli USA, ad esempio, sono partiti in ritardo e non ci sarà tempo per chiudere con un testo prima delle presidenziali. Ma seguiranno il nostro modello.
Quali sono i prossimi passaggi per l’AI Act?
Una norma così complessa non può essere applicata dal giorno zero. Bisogna distiungere tra vigenza e la piena applicabilità: la norma entra in vigore, dopo di che ci sono disposizioni applicabili dopo sei mesi, come i divieti. Penso a tutte le tecnologie con rischio inaccettabile. Questo perché tutte le aziende devono adeguarsi al regolamento. Se devo riorganizzare una soluzione ho bisogno di tempo. A giugno avremo la piena vigenza dell’AI Act e poi ci sarà una roadmap di 2 anni per la piena applicabilità.
Le istituzioni UE non sono le uniche realtà che devono operare dunque.
Il legislatore finora è stato molto attivo. Adesso tocca agli altri fare i compiti a casa alla luce dell’AI Act. Mi riferisco a tre categorie di soggetti in particolare: istituzioni, provider di soluzioni di AI e i deployer, ovvero gli utilizzatori di questi sistemi. Si apre la sfida dell’attuazione per tutti i soggetti.
Intanto chissà quante novità arriveranno nei prossimi mesi e anni. Non c’è il rischio che Bruxelles produca solo regole?
Anzitutto l’AI act tratta una parte importante, ma non è trasversale. È ovvio che anche il Parlamento continuerà a occuparsi di altri aspetti dell’intelligenza artificiale. Magari interverrà con revisioni. Sarà richiesta la manutenzione del testo. Credo che la parte di enforcement e di applicazione sarà decisiva.
L’UE dovrà dunque ancora darsi da fare sul tema?
È importante capire che la prossima Commissione dovrà attuare tutto questo. Nel momento in cui il team del super allineamento di OpenAI si dimette, con alcuni componenti che si lamentano pubblicamente, è realistico pensare che in un quadro di AI vigente le istituzioni europee intervengano per chiedere chiarimenti e capire cosa sta succedendo.
Uno dei casi recenti più importanti legato a diritti e AI ha riguardato l’assistente vocale di OpenAI, Sky. L’attrice Scarlett Johansonn ha evidenziato che la voce del sistema è molto simile alla sua.
L’addestramento dei contenuti non è soddisfacente forse neppure per OpenAI. Gestire le richieste di opt-out è complicato. La stessa azienda di Altman è al corrente della situazione. Stanno lavorando su un media manager per capire quali sono i contenuti in base ai titolari di diritti. Lavorano anche sul fronte delle licenze. In Italia la commissione guidata da Padre Paolo Benanti ha proposto l’equo compenso, per rendere appunto equo e non parassitario l’utilizzo di certi contenuti per generare business.
Negli ultimi anni abbiamo assistito anche a multe importanti nei confronti delle Big Tech. L’Europa dovrebbe seguire questa strada?
Credo che questa legislatura sia stata epocale. Ha segnato un cambio di passo nella regolazione e nella strategia. Si era già registrato tra 2014 e 2019 con la GDPR. Quello che abbiamo visto come attivismo da parte della Commissione è solo l’inizio. Assisteremo sempre di più a un’evoluzione della cittadinanza digitale. Se davvero gli USA adotteranno una norma simile a quella europea sarà interessante. Il GDPR, per tornarci sopra, è stato copiato dalla California. Di solito si dice che gli USA inventano, l’Europa regola e la Cina copia. In realtà oggi L’Ue può condizionare i modelli di business degli operatori.