In Israele il rapporto di collaborazione tra Università, imprese ed esercito ha creato un’eccellenza unica al mondo, finanziata da capitali di rischio internazionali
Che la Silicon Wadi israeliana sia diventata la Silicon Valley della cybersecurity forse non c’è da meravigliarsi. Le ragioni che hanno portato Israele a diventare l’hub mondiale della ricerca in tema di cybersecurity sono storiche, geografiche, sociali e culturali.
Una nazione che ha sempre dovuto difendere con le armi i propri cittadini non poteva non adattarsi ai nuovi scenari che la cyberwar tra le grandi potenze sta producendo.
Ma la capacità di sviluppare tale eccellenza militare-industriale che perfino gli Usa gli invidiano dipende da un modello di cooperazione aziendale che ha le sue fondamenta nell’Università. Il resto lo fanno la capacità imprenditoriale di un paese certo non ricco di materie prime, lo spirito di frontiera del suo popolo, la capacità di monetizzare la conoscenza prodotta grazie agli spin-off universitari e alla nascita di startup finanziate da aziende di capitali di rischio locali e internazionali (ce ne sono circa 70 attive in Israele).
Silicon Wadi vuol dire Silicon Valley
A ben guardare quello israeliano è lo stesso modello che ha reso vincente la Silicon Valley californiana: l’osmosi tra Università, impresa, comunità tecnica e finanziaria, con la benedizione dei governi locali.
E proprio il rapporto con gli Usa è molto forte, sia perché ne rappresenta il principale mercato di riferimento, sia per gli stretti legami con le università americane, in particolare con la Stanford University, sia perché è proprio da lì che vengono i capitali di molti fondi si investimento (220 operano in Israele). Al punto che Steve Morgan, fondatore e CEO di Cybersecurity Ventures ha potuto affermare in una intervista che “Sand Hill Road è la Wall Street dei finanziatori-cyber della Silicon Wadi israeliana”.
Cybersecurity: la top ten delle startup israeliane
Nel 2015 ben sedici aziende israeliane di cybersecurity erano nella top list di Cybsersecurity Ventures e nel 2016 erano arrivate a ventisei. Aziende come Argus, CyberArk, Cato Networks, Cybereason eccetera, che solo qualche anno fa erano delle semplici startup e dopo massicci investimenti di capitali – mezzo miliardo di dollari solo nel 2015 – adesso giocano da protagoniste nel mercato di riferimento. Un mercato dove tra le più note possiamo annoverare le “storiche” Check Point (firewall security) e Adallom (cloud security), guarda caso fondate da ex membri della Unit 8200.
E proprio quella Unit 8200, unità d’elité dell’esercito, che spesso fa la differenza, come in altri settori ad elevata tecnologia guidati dalla ricerca militare, proprio laddove l’innovazione è una necessità vitale e non semplicemente un business. Per questo molti ritengono alla base della crescita delle sue esportazioni – da 3 a 6 miliardi di dollari in pochi anni – ci sia proprio l’esperienza militare della cyberintelligence Unit 8200 all’interno della Israel Defense Force (IDF).
I militari e la sicurezza informatica
E Infatti Israele è una nazione dove ogni cittadino deve rispettare una chiamata alle armi obbligatoria in un contesto dove i legami tra industria IT e apparato militare sono strettissimi.
In maniera grossolana la dinamica è questa: l’esercito individua le menti migliori tra gli studenti universitari e quando arriva il momento giusto li infila in speciali unità dedicate a ricerca sviluppo e applicazione di tecnologie digitali. Tecnologie fondamentali in uno scenario di cyberwarfare che adesso diventa sempre più tattica convenzionale e sempre meno strategia. Finito il percorso militare, gli stessi ex-studenti si trasformano in imprenditori di se stessi o diventano la preda dei migliori head hunters del settore.
Ovviamente non si deve tralasciare l’importanza del ruolo dell’Università che formano i futuri cybersoldier che diventano startupper e Cto di aziende famose ovunque. L’ateneo Ben Gurion ha infatti tra i propri partner proprio la Unit 8200 cui è legata da particolari protocolli di scambio, di ricerche e di ricercatori, e lo stesso vale per il Cyber Research Center dell’Università di Tel Aviv. che a giugno ospiterà la settima Conferenza Internazionale sulla cybersecurity.