Là dove è nato, a Recanati, gli sterminati spazi hanno ispirato il genio di Giacomo Leopardi, che in giovinezza ha scritto una delle liriche più belle di sempre, L’infinito. Da ragazzo Francesco Tombesi, che sempre nelle Marche è cresciuto, pensava che nella vita avrebbe fatto tutt’altro, visti gli studi di ragioneria alle superiori. «Ma alla fine ho deciso che avrei contato le stelle invece dei soldi». Ha trascorso 13 anni negli Stati Uniti, lavorando per la NASA a Washington. A poche settimane da SIOS24 Florence, il 2 ottobre a Firenze dedicato al tema Intelligenze spaziali, torniamo a parlare di uno delle materie più affascinanti. «Grazie all’uso dell’AI in astrofisica e astronomia credo che ci saranno belle sorprese in quanto a scoperte». Questa è una nuova puntata della rubrica “Italiani dell’altro mondo”.
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Chi è Francesco Tombesi
Nato a Recanati nel 1982, Francesco Tombesi in realtà ha sempre avuto la passione per le stelle e l’osservazione del cielo. «Dopo le superiori ho iniziato a studiare Astronomia e Astrofisica a Bologna, era il 2001». Massimo dei voti in triennale e in magistrale, con un dottorato all’estero a Baltimora, Stati Uniti, dove è stato intercettato dalla NASA e da là non si è mosso per molti anni. Ma qual è il suo mestiere e in cosa si è specializzato?
«Ora mi occupo di ricerca astrofisica delle alte energia, astrofisica extra galattica e studio i buchi neri super massicci al centro delle galassie. Potenzialmente in futuro potrà avere applicazioni, ora è curiosity driven». Non sentitevi disorientati, il bello deve ancora venire. «Studiando le galassie si è visto che alcune sono estremamente attive. Nel tempo si è capito che tutte hanno al centro un grande buco nero. E non si sa ancora perché».
Come si pubblica su Nature?
Tombesi è un ricercatore che ha fatto esperienza alla NASA, ma nel 2017 ha deciso di tornare in Italia grazie a un bando per il rientro dei cervelli. Oggi è un professore all’Università Roma Tor Vergata dove insegna Astrofisica. «Vogliamo scoprire una nuova fisica. Dal 2019 abbiamo visto per la prima volta un buco nero. Io utilizzo raggi X molto energetici, emessi vicino all’orizzonte degli eventi dei buchi neri».
Quasi 10 anni fa, quando lavorava ancora in America, ha raggiunto uno di quei traguardi che segnano una carriera. La pubblicazione su Nature, tra le riviste scientifiche più autorevoli e riconosciute. «Il nostro è un mestiere in cui è importante confrontarsi. L’articolo di Nature è nato discutendo con colleghi durante la pausa caffè. Avevano acquistato una macchinetta italiana e mentre stavo facendo un espresso abbiamo iniziato a parlare con i colleghi».
Che cosa sono i buchi neri?
Ma torniamo ai buchi neri. Come vengono sfruttati nel suo mestiere? «Testiamo la relatività generale e la fisica, usiamo in sostanza i buchi neri come laboratori per la nuova fisica». Ci sembra di sapere qualcosa a riguardo, ma forse a questo punto è meglio tornare alle basi. Cos’è un buco nero? «Di quel che succede nei buchi neri non sappiamo nulla. Il metodo scientifico attuale non ci consente di capirlo. Noi oggi osserviamo, sapendo che la relatività generale non è una teoria ultima».
Qualche ipotesi? «C’è la teorie delle stringhe: sono oggetti che possono far uscire informazioni? Potrebbero anche essere portali verso altri universi. La teoria del multiverso, che è molto da fantascienza e non è stata provata, avanza lo scenario di buchi neri come passaggi». Secondo Tombesi siamo di fronte a una sorta di «vaso di Pandora» per la scienza.
Astrofisica e AI
Quali sono i settori di maggiore interesse oggi nell’astrofisica? «Studiamo i buchi neri per capire la fisica ed elaborare una teoria più profonda. Ci occupiamo dell’universo primordiale, ovvero muovere lo sguardo fino a poche centinaia di milioni di anni dal Big Bang, quando c’erano condizioni ed energie estreme. E poi c’è un altro aspetto che mi interessa: le leggi che conosciamo oggi non sono in grado di spiegare l’emergenza della vita».
Serie, libri e film sulla fantascienza hanno influenzato il nostro immaginario su forme di vita extraterrestri. Qual è l’opinione dell’esperto a riguardo? «Conosciamo tremila pianeti, alcuni nelle fasce abitabili. La NASA costruirà un satellite dedicato: Habitable Worlds Observatory». Con l’AI, utilizzata sempre di più in astrofisica per elaborare grandi quantità di dati, l’esplorazione continua, in più direzioni. «Non cerchiamo qualcosa in particolare. La cosa più realistica da aspettarsi sarebbe trovare tracce. Se riuscissimo a captare segnali o mandarli significherebbe che saremmo entrambi a livelli tecnologici avanzati. L’universo sarebbe comunque uno spreco se ci fossimo soltanto noi».