Arrestato dai carabinieri del Ros dopo 30 anni di latitanza. Il boss di Cosa Nostra era ricoverato in una clinica per terapie. Essenziale, per la sua cattura, il ruolo svolto da diversi software avveniristici
La tecnologia è nemica della mafia. Lo aveva capito Bernardo Provenzano, che per tutta la durata della sua latitanza si era tenuto lontano da SMS e telefonate, continuando a comandare tramite «pizzini»: testi scritti a mano, talvolta in italiano incerto, su foglietti di carta che i galoppini appallottolavano e recapitavano a chi di dovere.
Dopo 30 anni di latitanza, catturato dai #Carabinieri il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Si trovava all’interno di una struttura sanitaria dove si era recato per sottoporsi a terapie cliniche pic.twitter.com/4oO4xNCIjf
— Arma dei Carabinieri (@_Carabinieri_) January 16, 2023
Trojan, software di invecchiamento e cimici
La tecnologia, di contro, può essere un’ottima alleata per le forze dell’ordine, che ormai possono disporre di sistemi sempre più sofisticati per intercettare le chiamate in entrata e in uscita delle utenze poste sotto sorveglianza e su cimici sempre più piccole ma potenti, capaci di captare anche i sussurri. Negli USA, soprattutto per scovare le piantagioni indoor di cannabis, si utilizzano pure i thermal imager: visori in grado di trapassare le pareti di case e abitazioni restituendo le sagome delle fonti di calore. E poi naturalmente ci sono i trojan, malware una volta tanto al servizio del bene, che la polizia inocula negli smartphone e nei PC di chi è sotto indagine in modo da ascoltarne le chiamate e leggerne il contenuto dei dati salvati o trasmessi.
L’arresto di Matteo Messina Denaro, avvenuto a 30 anni esatti da quello di Totò Riina, che fu catturato il 15 gennaio del 1993, sempre a Palermo, si interseca anche con un uso accurato di diverse tecnologie a iniziare dai software per l’invecchiamento. Perché anche gli identikit devono invecchiare come i ricercati o rischiano di essere inattendibili.
Il Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Lamberto Giannini esprime le congratulazioni all’Arma dei @_Carabinieri_ e alla Procura della Repubblica Palermo per lo storico arresto di #MatteoMessinaDenaro. Una grande vittoria per tutte le forze dell’ordine https://t.co/2KQm7IYm09
— Polizia di Stato (@poliziadistato) January 16, 2023
Nel 2023, con il dilagare sugli smartphone di tutti di software gratis come FaceApp, può far sorridere tutto questo, ma al tempo i programmi utilizzati dalle forze dell’ordine per invecchiare digitalmente la sola immagine a disposizione di Matteo Messina Denaro erano unici nel loro genere e, anziché basarsi su algoritmi che lavorassero “di fantasia” agivano su parametri fisiognomici ben determinati in modo da fornire ritratti realistici.
Chi è Matteo Messina Denaro
Matteo Messina Denaro si era fatto ricoverare col nome falso di Andrea Bonafede, nato il 23 ottobre 1963 e stamattina aveva l’appuntamento per il ciclo di chemioterapia. Lo si è appreso in ambienti sanitari della clinica Maddalena di Palermo dove era in cura per un tumore. Nella scheda di accettazione della clinica è scritto “Prestazioni multiple – infusione di sostanze chemioterapiche per tumore”.
Dietro quell’identità fasulla, probabilmente una delle tante usate dal boss, si celava però uno dei criminali più pericolosi e ricercati al mondo. Conosciuto anche col nome di battaglia Diabolik, U siccu (il secco), o anche semplicemente Alessio, come si firmava nei pizzini ritrovati dagli investigatori nel covo di Binnu Provenzano, a Montagna dei Cavalli, il boss di Cosa Nostra era rimasto primula rossa per 30 anni.
Di lui gli inquirenti sapevano ben poco e molto della sua carriera criminale andrà ricostruita nel processo. Nato nel 1962 a Castelvetrano, in provincia di Trapani e col destino segnato: il papà Francesco, don Ciccio, era il capo mandamento della zona: dopo anni di ricerche, l’uomo fu trovato solo nel 1998 – stroncato da un infarto – nelle campagne vicino al paese. Da allora ha comandato Matteo. Prima nella provincia di Trapani, poi in Sicilia. Fedelissimo di Totò Riina, dopo l’arresto del boss si è messo agli ordini di Provenzano, padrino con cui scambiava pizzini pieni di rispetto e di affetto. Matteo Messina Denaro è ritenuto responsabile di un numero imprecisato di esecuzioni e tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo – rapito per costringere il padre Santino a ritrattare le rivelazioni sulla strage di Capaci e poi strangolato e sciolto nell’acido dopo 779 giorni di prigionia.
Chi sono gli altri 4 super latitanti
Come riporta l’ANSA, con l’arresto di Matteo Messina Denaro si assottiglia l’elenco dei latitanti di massima pericolosità del “programma speciale di ricerca” del gruppo Interforze. Ancora in fuga: Attilio Cubeddu (Cosa Nostra), nato il 2 marzo 1947 a Arzana (Nuoro) e ricercato dal 1997 per non aver fatto rientro, al termine di un permesso, nella Casa Circondariale di Badu è Carros (Nuoro), ove era ristretto per sequestro di persona, omicidio e lesioni gravissime.
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Seguono Giovanni Motisi (Anonima Sequestri), nato il primo gennaio 1959 a Palermo, ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso ed altro, dal 2002 per strage ed altro, Renato Cinquegranella (Camorra), nato il 15 maggio 1949 a Napoli, ricercato dal 2002 per associazione per delinquere di tipo mafioso, concorso in omicidio, detenzione e porto illegale di armi, estorsione ed altro e Pasquale Bonavota (‘ndrangheta), nato il 10 gennaio 1974 a Vibo Valentia, ricercato dal 2018 per “associazione di tipo mafioso” e “omicidio aggravato in concorso”.