La storia, sin qui passata in sordina in Italia, la dice lunga su quanto vale la privacy negli USA sebbene, sfortunatamente, non ci sia ragione per ritenere che da questa parte dell’oceano valga di più: ClearviewAI, la società newyorkese famosa in tutto il mondo per aver pescato a strascico online decine di miliardi di immagini di volti di miliardi di persone, averne estratto le impronte biometriche e averle messe in vendite nell’ambito di un servizio di riconoscimento facciale ha appena raggiunto un accordo per chiudere dodici class action proposte nei suoi confronti da chi lamentava una violazione della propria privacy.
L’accusa all’origine dell’azione di classe era la stessa che nel marzo del 2022 aveva indotto il Garante per la protezione dei dati personali italiano a infliggere alla società una sanzione da 20 milioni di euro e ordinarle la cessazione di ogni trattamento di dati personali raccolti in Italia: aver trattato dati biometrici nell’ambito di un servizio commerciale senza il consenso degli interessati né altra valida base giuridica.
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Probabilmente una delle più gravi tra le violazioni della privacy immaginabili. Ora, però, a quanto pare finirà tutto in un pugno di dollari. Il Giudice, infatti, preso atto che potenzialmente l’intera popolazione americana potrebbe partecipare alla class action perché potenzialmente i volti di tutte le oltre 330 milioni di persone che vivono negli USA potrebbero essere finiti nei database della società e che la società, già provata dalle spese legali sin qui sostenute per difendersi in Tribunale, non dispone delle risorse necessarie a risarcire l’intera classe ha deciso di approvare l’accordo transattivo che, nella sostanza, imporrà a Clearview di indennizzare con il 23% del proprio valore tutti coloro che aderiranno alla classe dimostrando che il loro volto è stato illecitamente utilizzato.
Questo non appena ClearviewAI o le sue azioni finiranno in tutto o in parte in vendita. Gli avvocati – che dal canto loro si sono garantiti una lauta parcella destinata a sfiorare i 20 milioni di dollari – stimano il valore del risarcimento, sulla base del valore stimato di ClearviewAI, in circa 52 milioni di dollari, cifra che benché possa apparire significativa, diventerebbe completamente insignificante se destinata effettivamente a essere distribuita per le centinaia di milioni di persone che vivono negli Stati Uniti e i cui dati biometrici sono stati verosimilmente trattati illecitamente dalla società.
Se, dunque, si considera la somma che, effettivamente, potrebbe finire nelle tasche del singolo interessato che ha visto la sua privacy finire nel tritacarne di ClearviewAI, la conclusione è che il prezzo dell’accordo o, meglio, quello del perdono è risibile, tanto risibile da rendere impossibile non domandarsi se davvero il valore della privacy di una persona o anche semplicemente quello dei suoi dati biometrici che ne rappresentano uno degli elementi più significativi possa essere valutato così poco.
Sejal Zota, uno degli avvocati che rappresenta i querelanti in una causa californiana contro Clearview, ha affermato pubblicamente che l’accordo “legittima” l’operato della società. “Non affronta la radice del problema”, ha detto Zota. “Clearview può continuare la sua pratica di raccogliere e vendere i volti delle persone senza il loro consenso e usarli per addestrare la sua tecnologia di intelligenza artificiale”.
È il caso di dire: oltre il danno, la beffa. Poi, per carità, guai a non considerare che, alla fine, l’importo che ClearviewAI dovrà versare ai partecipanti alle azioni di classe è superiore a quello della più severa delle sanzioni sin qui inflittale dalle Autorità europee.
Ma l’idea che qualcuno possa gestire un servizio capace di polverizzare in pochi click la privacy di una qualsiasi dei miliardi di persone che vivono in giro per il mondo e, magari, complice un errore, distruggere la sua vita e poi ottenere un perdono, semplicemente privandosi di parte dei denari sin qui illegittimamente accumulati è davvero difficile da digerire.
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