L’analisi bisettimanale, curata dalla startup innovativa Storyword, sui temi che hanno tenuto banco sulla stampa estera durante i 14 giorni appena trascorsi
Il conflitto in Medio Oriente ha nuovamente posto TikTok al centro di un acceso dibattito riguardo alla capacità dell’app cinese di influenzare l’opinione pubblica. I critici sostengono che la popolarità dei video a favore della Palestina su TikTok sia un potente strumento di propaganda contro Israele: l’hashtag #standwithpalestine ha accumulato, fino alla scorsa settimana, 2,9 miliardi di visualizzazioni, mentre #standwithisrael ne hanno ottenute soltanto 200 milioni. Ma la realtà è molto più complessa. Gli hashtag su TikTok forniscono solo una visione limitata e imperfetta del discorso pubblico. Molti utenti li utilizzano per esprimere critiche o per attirare l’attenzione su contenuti che non sono direttamente collegati al tema principale. È anche vero, sottolinea il Washington Post, che l’algoritmo di TikTok rende difficile comprendere perché alcuni video diventino virali, sollevando preoccupazioni circa la capacità dell’app di sopprimere le cause politiche non gradite. Numerosi creator, sia a favore di Israele che a favore della Palestina, hanno espresso questa preoccupazione come spiegazione del perché i loro video non ricevano il livello di coinvolgimento online auspicato. Recentemente, un gruppo di creator ebrei ha pubblicato una lettera aperta (“Dear TikTok”) chiedendo all’azienda di rafforzare i propri sistemi di sicurezza e moderazione dei contenuti e sottolineando che i loro post hanno visto un coinvolgimento molto basso, inferiore all’1%. TikTok, analogamente a Facebook e YouTube, vieta la diffusione di video o commenti che promuovono Hamas, in linea con le proprie politiche contro gruppi estremisti. L’azienda sostiene di non influenzare le opinioni degli utenti sulla piattaforma in base agli interessi dei governi, compreso quello cinese.
X, un anno di Musk
I media internazionali non vedevano l’ora che arrivasse il primo anniversario di Elon Musk alla guida di X, ex Twitter, per farne un bilancio. E basta leggere i titoli e l’attacco di alcuni articoli per capire che non si tratta di un bilancio positivo. Il New York Times sottolinea i cambiamenti che, nel bene e nel male, hanno stravolto la piattaforma creata da Jack Dorsey: quella che una volta era una fonte di notizie attendibili, oggi richiede un occhio di riguardo per verificarne la veridicità. Sempre il quotidiano newyorkese, afferma che l’arrivo di Musk ha aperto la porta ad una ondata devastante di disinformazione e propaganda, dalla Russia ad Hamas, che ha ulteriormente alimentato la polarizzazione. Il Washington Post, invece, scrive che dei due obiettivi iniziali di Musk, ossia rilanciare il social e renderlo meno “woke”, il miliardario texano sia riuscito a raggiungere solo il secondo. Per quanto riguardo i numeri, è Axios a segnalare che le inserzioni pubblicitarie solo negli Stati Uniti sono diminuite del 60%, mentre Insider Intelligence stima che l’attività pubblicitaria di X frutterà quest’anno 2,9 miliardi di dollari, in calo rispetto ai circa 4,14 miliardi di dollari del 2022. Anche le altre principali piattaforme social network hanno registrato un calo, che tuttavia rimane lontano da quello di X. Rimanendo sui numeri, è il Guardian ad evidenziare che una delle prime mosse di Musk è stato il licenziamento di circa il 50% dei 7.500 dipendenti della piattaforma. Infine, il Financial Times si chiede quanto caos possa sopportare una azienda prima di crollare definitivamente. Per personaggi del genere l’esposizione mediatica è inevitabile, e lo è perché loro stessi diventano il messaggio.
Preparativi in vista di USA2024
Dichiarare il ricorso a strumenti di intelligenza artificiale negli spot elettorali e in quelli pubblicitari nei settori regolamentati. È questa la nuova mossa di Meta in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, in primis quelli americani del prossimo anno, in un’ottica di prevenzione e contrasto alla disinformazione. “Riteniamo che questo approccio ci consentirà di capire meglio i potenziali rischi e adottare le tutele giuste per l’uso dell’intelligenza artificiale negli spot legati a temi potenzialmente sensibili in settori regolamentati”, afferma il colosso di Mark Zuckerberg. La decisione, racconta Reuters, arriva un mese dopo che Meta, la seconda piattaforma più grande al mondo per gli annunci digitali, ha dichiarato che stava espandendo l’accesso degli inserzionisti a strumenti pubblicitari basati sull’intelligenza artificiale. “Mentre continuiamo a testare nuovi strumenti per la creazione di annunci con intelligenza artificiale generativa in Gestione inserzioni, gli inserzionisti che pubblicano campagne che si qualificano come annunci per alloggi, occupazione o credito o questioni sociali, elezioni o politica o correlati a salute, prodotti farmaceutici o servizi finanziari non sono attualmente autorizzati a utilizzare queste funzionalità di intelligenza artificiale generativa”, ha affermato la società in una nota allegata a diverse pagine che spiegano come funzionano gli strumenti.
L’avanzata dei cloni
Gli influencer cinesi, e non solo, noti come key opinion leader (KOL) fanno sempre più ricorso a cloni digitali, realizzati grazie all’intelligenza artificiale, per produrre contenuti. Si tratta di una pratica che solleva diversi dubbi da un punto di vista legale e di autenticità poiché questi cloni vengono utilizzati per aumentare i guadagni. Un esempio è Chen Yiru, influencer taiwanese con milioni di follower su Weibo, che ha trasmesso un live streaming in cui sembrava mangiare zampe di gallina per 15 ore, per poi rivelare in seguito che si trattava di un avatar con uno scopo puramente illustrativo. Nonostante le criticità legali, molti influencer cinesi, soprattutto nell’e-commerce, stanno cavalcando l’onda tendenzialmente per due motivi: da un lato perché, come evidenziato prima, i cloni digitali ti permettono di aumentare vendite e visibilità; dall’altro, perché esistono aziende che creano e vendono queste figure a costi molto contenuti. Questa pratica, spiega il Guardian, causa un enorme danno agli influencer meno noti in quanto diventano meno indispensabili per i brand che preferiscono investire sugli avatar. Non è ancora chiaro quanto questo trend durerà nel tempo, come noto il governo cinese tende a sopprimere qualunque potenziale minaccia al suo potere. E sembra proprio che i cloni digitali abbiano tutte le carte in regola per trasformarsi da venditori a ribelli.
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