Esiste una modificazione biologica negli innamorati dimostrata da diversi studi scientifici, che altera anche i livelli di neurotrasmettitori cerebrali. Una sorta di “sana follia” se il cervello ha sviluppato sin da piccolo mappe cerebrali dell’amore corrette
Quando ci innamoriamo il nostro mondo va sottosopra. Siamo euforici tanto che sembra di camminare a mezzo metro da terra o sconfortati a seconda di come si comporta il partner, il pensiero è costantemente rivolto ad esso e perdiamo interesse in tutte le altre attività quotidiane che non lo riguardano. E se può essere difficile spiegare a parole cosa si prova, c’è chi da anni sta provando a capire da un punto di vista scientifico cosa ci succede. Donatella Marazziti, professoressa di psichiatria presso il Dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa, già venti anni fa dimostrò che esiste una modificazione biologica negli innamorati e in particolare che la serotonina – un neurotrasmettitore che funziona come una sorta di freno inibitore – diminuisce. Notò inoltre che tale riduzione è simile a quella rilevata nelle persone affette da disturbo ossessivo-compulsivo e la associò “a quella particolare modalità di pensiero ‘ossessivo’ focalizzato sul partner che, secondo gli psicologi, sembra la caratteristica più specifica dell’innamoramento” come riporta la Fondazione Brain Research Foundation di Lucca di cui Marazziti è direttore scientifico.
Una “temporanea follia”
Non solo, qualche anno fa con un lavoro pubblicato su CNS spectrums – una rivista dell’Università di Cambridge – intitolato “Decreased lymphocyte dopamine transporter in romantic lovers”, dimostrò anche che nel cervello di chi è innamorato, un altro neurotrasmettitore, la dopamina, aumenta. Dato verificato anche indirettamente da studi di risonanza nucleare magnetica funzionale, che avevano evidenziato come negli innamorati le aree cerebrali che usano la dopamina funzionino di più. “Ci innamoriamo perché abbiamo bassi livelli di serotonina, molta dopamina e ossitocina, che è l’ormone responsabile dei sentimenti positivi, della gioia ed è in grado di ridurre lo stress” ha spiegato Marazziti (che in precedenza aveva già definito l’innamoramento una sorta di “temporanea follia” (chimica)) durante la tappa genovese di “Emotions” un BrainForum itinerante. “Quando siamo innamorati e siamo in coppia ci ammaliamo anche meno rispetto a quando siamo single – continua – forse perché il nostro organismo produce più ossitocina che è una potente sostanza antinfiammatoria. Per lo stesso motivo le donne che hanno livelli più alti dell’ormone si ammalano meno degli uomini”.
Amore “molesto”
L’ossitocina attiva anche il rilascio di dopamina attraverso il circuito della ricompensa – che prevede il rilascio di dopamina ogni qual volta sperimentiamo momenti di piacere e proviamo gratificazione sia di tipo fisico che di tipo psicologico, in modo da rinforzare quello stesso stimolo, rimarcandolo e spingendoci a ripetere l’esperienza. “L’aumento della dopamina è alla base della gioia, dell’aumento di energia, del desiderio di unione psichica e sessuale dell’altro e, in generale, del piacere legato alla relazione” ha spiegato Marazziti.
“Ma dà anche dipendenza e le alterazioni dei neurotrasmettitori potrebbero spiegare come a volte la relazione affettiva possa rappresentare un momento rischioso nella vita di alcuni individui più fragili, al punto da scatenare vere e proprie patologie psichiatriche, o disturbi comportamentali quali lo stalking, l’aggressività auto ed eterodiretta” ha aggiunto la psichiatra che nel suo talk ha parlato proprio delle situazioni estreme in cui l’amore diventa molesto, come la dipendenza affettiva, la gelosia patologica e l’incapacità di accettare la fine di un amore, arrivando fino allo stalking.
La neurobiologia dell’amore
Tutte queste condizioni presentano disequilibri molto marcati di neurotrasmettitori e in generale si verificano in persone che hanno subito traumi da piccoli. “Tutto funziona bene se nasciamo in un ambiente piacevole con genitori premurosi e amorevoli e se nella nostra infanzia non si verificano eventi spiacevoli. In questo caso saremo adulti più resilienti con un cervello sano e solide mappe dell’amore” conclude Marazziti.
La capacità di amare in un modo “sano” dipende quindi dall’infanzia e in particolare da come i genitori modellano il cervello del proprio figlio per una vita fatta di relazioni: in poche parole dalla “neurobiologia dell’amore” come spiega Ruth Feldman, professoressa di Neuroscienze Sociali dello Sviluppo presso il Centro Interdisciplinare (IDC) Herzliya con incarico congiunto presso lo Yale Child Study Center che da anni si occupa del tema. “La neurobiologia dell’amore si fonda su tre principi” racconta durante la stessa tappa di “Emotions”: la sincronia biocomportamentale, definita come la coordinazione della biologia e del comportamento tra madre e bambino durante i momenti di contatto sociale nelle prime settimane di vita, essenziale per la maturazione del cervello sociale (è lo stesso meccanismo che consente agli uccelli di migrare insieme e “danzare” nel cielo senza separarsi mai); la rete di cura umana che attraverso un determinato circuito cerebrale (attivato con la gravidanza, che rende la madri particolarmente sensibili ai pericoli e ai bisogni del proprio figlio) consente ai genitori di prendersi cura, nutrire e fornire un habitat sicuro ai loro bambini; e infine il sistema dell’ossitocina”.
L’ormone dell’amore
In oltre venti anni di studi Ruth Feldman e il suo laboratorio hanno pubblicato diverse ricerche sul sistema dell’ossitocina “un sistema molto antico che si è presumibilmente evoluto circa 500 milioni di anni fa con il compito di aiutare gli organismi a gestire la vita in ecologie difficili” commenta la scienziata che precisa come tale sistemi accompagni tutta la nostra vita: “Con l’evoluzione dei mammiferi, l’ossitocina è diventata parte integrante del controllo della nascita e dell’allattamento – continua – ma è nota anche per coordinare il legame, la socialità e la vita di gruppo. Inoltre protegge dal pericolo differenziando immediatamente chi è ‘amico’ dal ‘nemico’ in base alle sfumature del comportamento sociale”.
L’ossitocina insomma, influenza non poco il comportamento. Feldman e il suo laboratorio, hanno misurato la quantità dell’ormone dalla nascita alla vecchiaia notando che nel corso della vita, durante i periodi di formazione del legame – ad esempio, quando ci innamoriamo o stringiamo un’amicizia intima – la produzione aumenta per cementare il nuovo legame, come accade alla nascita. “L’ossitocina materna viene quindi trasferita al bambino attraverso il latte, il tatto e il comportamento di cura della madre” aggiunge la scienziata. “Lega per sempre madre e figlio, ma riorganizza anche il cervello del bambino su cosa significa essere innamorati e cosa serve per sentirsi al sicuro”.
Al settimo cielo
Nei primi mesi di innamoramento il livello di questo ormone raggiunge un picco rispetto a tutto l’arco della vita: “Quando ti innamori e sembra di camminare a mezzo metro da terra, probabilmente stai camminando su livelli molto alti di ossitocina” commenta Feldman. Al contrario, quando un legame finisce, o il sistema dell’ossitocina è interrotto sia nella madre che nel bambino ciò non consente al bambino di sviluppare solide mappe cerebrali dell’amore.
Le ricerche del laboratorio di Ruth hanno anche dimostrato che l’ossitocina non è collegata solo al parto in sé, ma anche nei padri che si prendono cura dei neonati è stato registrato lo stesso elevato livello di ossitocina, “a indicare che sono biologicamente preparati a legare con i loro bambini” (si parla di questa ricerca del laboratorio di Feldman, anche nella perima puntata della serie “Bebè, viaggio nel primo anni di vita” su Netflix). Infine gli studi hanno dimostrato che l’ossitocina viene rilasciata in seguito a un abbraccio, alla vicinanza fisica e alle interazioni sincrone con chi amiamo. “Un abbraccio di almeno 60 secondi libera una quantità di ossitocina tale da donare benessere per tutta la giornata” conclude Feldman. Abbracciare chi amiamo prima di uscire di casa insomma, è il miglior ansiolitico.
Foto in alto: Fariz Hermawan da Pexels