Negli Stati Uniti c’è un nuovo allarme privacy. A lanciarlo un rapporto intitolato “How TV Watches Us” redatto dal Center for Digital Democracy (CDD) che accusa l’industria televisiva di essere «un vero incubo per la privacy». Il documento punta l’indice contro le Smart TV e suggerisce che le televisioni intelligenti che hanno preso, nelle case degli americani – come d’altra parte nelle nostre – il posto dei “focolari domestici” di un tempo guardino più di quanto sono guardate.
Smart TV ficcanaso?
Le grandi piattaforme come Tubi, Netflix, Amazon Prime non sono più semplicemente canali di intrattenimento ma funzionano come potenti mezzi di raccolta dei dati degli utenti, sfruttando le più avanzate tecnologie di marketing digitale e intelligenza artificiale.
Ad esempio Tubi, si legge nel report, utilizza la sua vasta rete di canali e contenuti per ottenere informazioni dettagliate sui comportamenti di visione, collaborando con broker di dati e aziende tecnologiche. Queste informazioni vengono poi usate per profilare i consumatori e offrire pubblicità altamente personalizzate. Lo sviluppo delle piattaforme streaming FAST (Free Advertiser-Supported Television) rappresenta insomma un cambio di rotta nel panorama digitale.
“Il confine tra guardare la TV e essere guardati dalla TV sta diventando sempre più sfumato”
Se in passato la televisione commerciale era un modello di business lineare in cui gli spot pubblicitari erano programmati per tempo e non personalizzati, oggi la tecnologia consente di sfruttare le potenzialità delle Smart TV per targetizzare gli spettatori in tempo reale, talvolta anche basandosi su dati sensibili, come ad esempio le preferenze politiche. E il boom dell’Intelligenza artificiale generativa certamente non aiuta.
Questa tecnologia permette, infatti, di creare migliaia di varianti personalizzate di uno stesso annuncio pubblicitario in base ai dati raccolti su ogni singolo spettatore. Ad esempio, l’IA può facilitare il posizionamento virtuale di prodotti all’interno di serie TV o film, un concetto noto come product placement dinamico, dove i marchi vengono inseriti in post-produzione in base ai dati dell’utente. Ma questo è solo uno dei tanti esempi di come il confine tra intrattenimento e pubblicità, o, forse, meglio tra guardare la TV e essere guardati dalla TV, stia diventando sempre più sfumato.
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Il ruolo dei produttori di Smart TV
Anche i principali produttori di Smart TV, secondo lo stesso rapporto del Center for Digital Democracy, svolgono un ruolo cruciale in questo “sistema di sorveglianza”. Grandi società come LG e Samsung utilizzano tecnologie integrate di riconoscimento automatico dei contenuti (ACR) che monitorano ciò che appare sullo schermo e raccolgono dati sugli spettatori. Questi dati vengono poi combinati con informazioni ottenute da altri dispositivi connessi in casa per creare un vero e proprio profilo utente completo. Il report di CDD non si limita a descrivere le pratiche dell’industria delle Smart TV, ma fa appello ai legislatori.
Le tecnologie della televisione connessa non sono di per sé pericolose, ma senza adeguate tutele normative, rischiano di minare la privacy del consumatore finale. «I sistemi di autoregolamentazione dell’industria sono altamente inadeguati», sostengono gli autori del rapporto, «milioni di americani sono costretti ad accettare termini contrattuali sleali per accedere alla programmazione video, che minaccia la loro privacy e può anche compromettere le informazioni a cui accedono, inclusa la qualità dei contenuti trasmessi».
Nei giorni scorsi il Center for Digital Democracy ha presentato il rapporto alla Federal Trade Commission degli Stati Uniti nella speranza che faccia qualcosa di concreto perché, scrivono, oggi, acquistare una smart TV equivale a portare un “cavallo di Troia digitale” in casa propria. E difficile credere che quello che succede negli USA davanti al piccolo schermo sia tanto diverso rispetto a quanto accade da questa parte dell’oceano.
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