Si chiama Plantoid la pianta artificiale amica dell’ambiente realizzata dagli esperti italiani di microrobotica. Potrà essere usata per la bonifica dei suoli inquinati, ma anche in operazioni di ricerca e soccorso, in campo chirurgico e per l’esplorazione spaziale.
Ci siamo. Terminato il progetto triennale finanziato dalla Commmissione Europea, la prima pianta robot è pronta per mostrarsi al mondo.
Si chiama Plantoid ed è frutto della ricerca dell’Istituto Italiano di Tecnologia. É l’unico robot capace di accrescersi come fanno gli organismi viventi.
“Il Plantoide è un robot ispirato al comportamento delle radici delle piante” racconta Barbara Mazzolai, coordinatrice del Centro di MicroBioRobotica dell’IIT a Pontedera e del progetto Plantoid. Obiettivo è acquisire le strategie utilizzate dalle piante per sopravvivere, sfruttando al meglio le risorse per essere ancora più efficiente. Siamo di fronte dunque ad nuova generazione di robot, dotati di intelligenza adattiva, capaci di penetrare il terreno in qualsiasi direzione e di ottimizzare il consumo di energia grazie a speciali tecnologie software e hardware.
Cosa c’è dietro al bonsai hi-tech
“La nostra ambizione è quella di mettere insieme la biologia con la tecnologia”, spiega Mazzolai. “Le radici degli alberi si muovono, e proprio il modo in cui camminano nel terreno può insegnarci molto”. Dall’osservazione minuziosa di questi movimenti, il team di lavoro è stato in grado di realizzare un robot simile ad un bonsai hi-tech, che riproduce fedelmente il processo di espansione delle piante.
L’ultima versione del Plantoide presenta un tronco più grande, realizzato grazie ad una stampante 3D. Le foglie, che costituiscono la chioma del tronco, sono “intelligenti”: si aprono e si chiudono in risposta all’umidità dell’aria. Ma sono le radici “smart”, munite di apice mobile, il vero punto di forza. Dopo tre anni di esperimenti sono diventate più numerose e sono in grado di muoversi in maniera sinuosa per aggiunta di materiale a livello dell’apice. Nel robot ovviamente non c’è formazione di nuove cellule. Le punte si accrescono per aggiunta di un filamento particolare di materiale termoplastico.
Robot (presto) autosufficienti
Nello specifico, ognuna di esse è dotata di sensori miniaturizzati che rispondono a stimoli fisici come la gravità, il tatto, la temperatura e l’umidità. Ma anche sensori chimici di potassio, fosforo, azoto e acidità. In questo modo, il robot può analizzare il terreno e orientare le proprie radici in risposta agli stimoli esterni, proprio come fanno le radici vere per superare la pressione e l’attrito del suolo. Un fenomeno definito in biologia con il termine tropismo.
Le caratteristiche uniche delle piante diventano così fonte di ispirazione per le nuove frontiere della robotica. Non ultima, la loro efficienza energetica. Tra gli obiettivi del Progetto Plantoid infatti, c’è anche quello di rendere questi robot pienamente autonomi. Questo grazie all’utilizzo di pannelli solari posti sulle “foglie”, convertendo il vento in energia elettrica e anche alimentando il sistema con i nutrienti che le radici riescono a reperire sottoterra.
A cosa serve un robot plantoide
Da tempo l’Istituto di BioRobotica Sant’Anna esplora la possibilità di realizzare macchine “intelligenti” ispirate alla natura. A partire da PoseiDRONE, il polpo robot capace di deformarsi, gli sviluppi nel campo della Soft Robotics hanno permesso la nascita di robot sempre più complessi, fino all’attuale progetto Plantoid.
Ma come può essere utilizzato un robot plantoide? “La diretta applicazione di questa tecnologia è il monitoraggio ambientale”, sostiene Mazzolai. Il Plantoide nasce infatti, “con l’obiettivo di riconoscere gli inquinanti nel suolo e le alterazioni chimico-fisiche indotte dall’attività antropica e intervenire per ripristinare lo stato di salute dell’ambiente”.
In un prossimo futuro, i Plantoidi potranno comunicare tra loro e monitorare lo stato di terreni e aree verdi, segnalando elementi di sofferenza, come la presenza di un inquinante, l’aumento di umidità o la carenza di un nutriente.
Ma le radici “intelligenti” permettono alla pianta-robot un’alta duttilità di impiego. Oltre alla bonifica ambientale, questi robot potrebbero essere utilizzati in campo chirurgico per dar vita ad una nuova generazione di endoscopi medicali flessibili. Le piante robot potranno essere impiegate anche in operazioni di ricerca e soccorso, per esempio in seguito ad un disastro naturale, per rintracciare giacimenti di petrolio o addirittura, approfittando della loro grande capacità di ancoraggio, si potrebbe pensare di sfruttarle nell’ambito della ricerca spaziale.
Plantoid avanza sinuoso verso il futuro
Quello del “plantoide” è un progetto triennale, nato dalla stretta collaborazione tra l’Istituto Italiano di Tecnologia, che ha coordinato il progetto, l’Università di Firenze, l’Institute for Bioengineering of Catalonia e l’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne.
Conclusi i primi esperimenti, c’è grande attesa per capire quanto i diversi aspetti biologici delle piante possano in effti contribuire in futuro al miglioramento dei robot.