Un Marck Zuckerberg più compassato e, a tratti, in difficoltà, ha concluso la sua audizione con poche certezze e una serie di promesse abbastanza vaghe
La seconda volta davanti al Congresso (stavolta si trattava della Commissione dell’energia e del commercio della Camera dei Rappresentanti) per Mark Zuckerberg non è andata bene come la prima.
Se il fondatore di Facebook infatti, se l’era cavata con pochi danni al Senato, di fronte a una platea che era sembrata ben poco competente in materia di web e social network, alla Camera le cose sono andate un po’ diversamente. Uno Zuckerberg abbastanza compassato, più volte incalzato dai deputati (apparsi più puntigliosi dei loro colleghi senatori), si è trovato più volte in difficoltà a rispondere alle loro domande sulla tutela della privacy degli utenti e l’utilizzo dei dati personali.
Cinque ore con poche certezze e tanti “non so”
Un’audizione durata cinque ore e densa di momenti significativi. Come quando la deputata Democratica della California, Anna Eshoo, ha chiesto al papà di Facebook se non sia il caso di cambiare il modello di business per proteggere la privacy dei propri utenti. La risposta di Zuckerberg? «Non sono sicuro di capire cosa significhi questo».
O come quando il deputato Democratico del New Jersey Frank Pallone ha chiesto a Zuckerberg di impegnarsi a cambiare le impostazioni del social network per minimizzare la possibilità che i dati degli utenti vengano raccolti. Zuckerberg si è rifiutato di farlo, dicendo che si tratta di una questione più complessa, che richiede interventi complessi.
Come in passato, Zuckerberg ha incentrato la sua difesa sul fatto che che gli utenti possiedono i loro dati e quindi hanno il “controllo completo” sulle informazioni che Facebook detiene su di loro. Ma ha dovuto poi cedere alle insistenti domande dei deputati americani, assicurando che il GDPR, il regolamento generale europeo per la protezione dei dati personali, verrà applicato anche negli Stati Uniti.
Anche se ha voluto sottolineare che, «la mia posizione non è che non ci devono essere regole, ma che bisogna fare attenzione alle regole che si introducono».
Rivelazioni e (poche) soluzioni
Insomma, tante risposte elusive, poche certezze, molta confusione. Questa la sintesi della giornata, condita però da alcune rivelazioni.
La prima, quella sul furto di dati del fondatore di Facebook. Zuckerberg ha infatti raccontato che, tra i tanti profili rubati da Cambridge Analytica, c’era anche il suo. La seconda, riguarda il tracciamento degli utenti non iscritti a Facebook. Il CEO di Facebook è stato costretto ad ammettere candidamente che il social network «raccoglie dati di persone che non sono iscritte a Facebook per questioni di sicurezza». Certo non un punto a suo favore. Tanto più che non è stato specificato chi e come sia impegnato a conservare questi dati (potenzialmente cedibili a terzi?).
Terza ammissione: il pixel di Facebook. Si tratta di uno strumento per gli inserzionisti. In pratica, permette ai siti web di misurare l’efficacia della pubblicità su Facebook e, in questo modo, Facebook può prendere visione dei dati di navigazione di quella persona. Ufficialmente, per aumentare l’efficienza dei suoi annunci pubblicitari personalizzati.
È vero dunque che gli utenti sono gli unici possessori dei propri dati su Facebook? Non proprio, visto che si parla non solo dei dati che gli utenti caricano esplicitamente sul social, ma di tutti i dati legati ai loro profili. Ed è qui che la difesa di Zuckerberg sembra vacillare.
Ma forse, a ben pensare, queste rivelazioni non sembrano essere poi così sconvolgenti.
Oggi infatti, mentre il fronte dei critici si fa sempre più nutrito, tutti concordano su un fatto: è necessario fare qualcosa per risolvere la situazione. I democratici (anche per questioni “di parte”) insistono per una regolamentazione di Facebook. Anche i repubblicani si dicono d’accordo. E Zuckerberg promette che al più presto qualcosa cambierà. «Internet sta crescendo per importanza nella vita delle persone in tutto il mondo e penso sia inevitabile che alcune regole diventino necessarie».
Cosa verrà fatto. Difficile a dirsi. Siamo proprio sicuri che i nostri dati, da oggi in avanti, saranno al sicuro? O dovremo abituarci all’idea che la moneta di scambio del futuro saranno proprio i nostri dati? E, se così fosse, non dovevamo essercene già accorti da tempo? La risposta alla prima domanda è “no”. Certamente “sì” invece, la risposta alle altre due. Perché l’univa vera certezza, dopo questa due giorni di audizioni, è che il Congresso non sembra avere davvero chiaro il funzionamento di Facebook. E questo è proprio uno dei motivi per cui non siamo convinti che nei prossimi mesi potrà cambiare molto rispetto alla situazione attuale. Chissà però, se Zuckerberg sarà capace di stupirci ancora una volta.