L’esperto di informatica bresciano si è innestato sotto la cute una serie di microcircuiti con cui paga, entra in casa, sblocca il cellulare, accede a siti web, timbra il cartellino a lavoro e molto altro ancora. È questo il futuro che ci attende? Nell’attesa di scoprirlo, ecco la sua storia
Alcuni lo definirebbero un “cyborg”, per altri è un appassionato di informatica che ha compiuto una scelta molto coraggiosa: farsi impiantare cinque microchip sotto pelle. Mattia Coffetti, 35enne esperto di sicurezza informatica e open source intelligence, di Rodengo Saiano (in provincia di Brescia), ed è stato il primo, in Italia, a farsi impiantare un circuito integrato sottocutaneo. Così, appoggiando il dorso della mano sul POS, può pagare il conto, condividere le sue informazioni anagrafiche, lavorative o sanitarie, autentificare i dati bancari, aprire la porta di casa, e, addirittura, attrarre piccoli metalli e illuminarsi quando si avvicina a una sorgente elettrica.
L’informatica è, da sempre, la sua grande passione: a 13 anni, installava sistemi operativi liberi sui computer degli amici. Con il passare del tempo, il biohacking, il cyberpunk e il transumanesimo, un movimento culturale che sostiene l’utilizzo delle scoperte tecnologiche per migliorare le capacità fisiche e cognitive degli esseri umani, lo hanno attratto sempre di più, fino alla scelta di provare lui stesso che cosa volesse dire convivere con diversi microchip sotto pelle. Lo abbiamo intercettato per farci raccontare la sua incredibile storia.
Mattia, come è nata questa tua passione?
Il mondo dell’hacking e del transumanesimo mi hanno sempre affascinato. Ho avuto il mio primo PC a 8 anni e poi ho conosciuto il biohacking come sperimentazione, ovvero tutto quello che, grazie alla tecnologia, può migliorare la nostra condizione fisica. Ho seguito a lungo la storia di una persona che si era fatta impiantare un sensore nel cervello per risolvere il suo daltonismo. Poi, studiando e informandomi per molto tempo, ho intercettato una community che vendeva questi chip che adesso porto sotto pelle. Ne ho presi 2, poi 3, poi 4, e quando mi sono fatto impiantare quello per pagare è scoppiato l’interesse mediatico.
Effettivamente, la tua è una scelta non solo molto coraggiosa ma anche inusuale..
Si, senza dubbio. Il primo microchip che mi sono fatto impiantare lo utilizzo per scambiare i miei contatti social, come se fosse un biglietto da visita virtuale, sbloccare il mio telefono e la mia cassaforte virtuale, aprire delle porte, timbrare il cartellino. È posizionato tra l’indice e il pollice della mano e si programma come una chiavetta USB. Il secondo è un’autenticazione a due fattori che posso usare come fattore multiplo per accedere a siti web. Ne ho altri due: uno che permette di attrarre piccoli oggetti metallici e un led che si illumina quando mi avvicino a una fonte di elettricità. L’ultimo che mi sono fatto impiantare è quello per pagare.
Una domanda sorge spontanea: che cosa ti ha fatto pensare che era arrivato il momento giusto per farti impiantare questi chip?
Devo dire che il mio spirito pionieristico ha preso il sopravvento sul mio proprio corpo. Una delle mie più grande fobie sono, da sempre, gli aghi e le siringhe. Essermi fatto impiantare questi chip è servito anche a togliermi di dosso un po’ questa paura, anche se il pericolo di infezione o rigetto comunque c’è, ma per fortuna a me, sinora, è andato tutto liscio. Prima di procedere ho comunque seguito una community online che lo faceva da tempo e un bel giorno mi sono deciso. Sono andato da un piercer di fiducia e gli ho chiesto di impiantarmi i chip. La tecnica adottata è, infatti, la stessa che si usa per fare i piercing e non è dolorosa.
A che cosa potrebbero servire in futuro?
Per adesso queste funzionalità legate all’idea di interazione uomo-macchina non sono ancora sviluppate e il tema deve essere sdoganato, ma un domani ci potranno servire anche in campo sanitario: alcuni medici del pronto soccorso, ad esempio, dicono che chip del genere potrebbero essere utili per sapere immediatamente il gruppo sanguigno di un paziente, se soffre di allergie, quali farmaci assume: una sorta di cartella clinica a disposizione immediatamente e 24 ore su 24. Alla fine, anche chi porta ad esempio il pacemaker o altri tipi di dispositivi medici ha impiantato sottopelle un apparecchio tech. E le nuove frontiere della telemedicina sono in continua evoluzione. Inoltre mi affascina molto il potenziamento cognitivo che può derivare dall’utilizzo di queste tecnologie.
Cosa riesci a fare con questi chip?
Oltre condividere i miei profili social, riesco a pagare con il POS, entrare in casa senza bisogno di chiavi, attrarre metalli, illuminare il led, scambiare i miei contatti social, sbloccare il mio telefono e la mia cassaforte virtuale.. Non ci sono rischi per la privacy, dal momento che i microchip non contengono strumenti di geolocalizzazione e si attivano solo se attivati da un’alimentazione esterna come, ad esempio, il cellulare o il POS, e sono io a decidere che cosa scriverci dentro.
Pensi di fartene impiantare altri in futuro?
Si, mi piacerebbe, e se uscisse un trial per provare a farlo da solo mi metterei a disposizione per testarlo. Mi piacerebbe diventare una figura di riferimento per chi desiderasse intraprendere il mio stesso percorso ma non sa come iniziare. Questo è un tema che ancora deve essere sdoganato e spero che in un futuro questa tecnologia venga sempre di più implementata soprattutto in campo medico perché potrebbe veramente fare la differenza.
Quali sono stati i feedback che hai ricevuto da parte della comunità?
Inaspettatamente positivi, alcuni sono straniti ma molti incuriositi. Da parte delle community di hacker che seguo ho ricevuto tanti complimenti perché crede davvero nelle potenzialità di queste invenzioni. La mia resta, comunque, una scelta personale non dettata da alcuna esigenza esterna. Se dovesse diventare un obbligo non so se sarei più disposto a farlo.