Nel mio libro “Geopolitica dell’intelligenza artificiale” (Feltrinelli, 2024), racconto lo sviluppo tecnologico contemporaneo e la sua posta in gioco politica, nella competizione tra Stati Uniti e Cina, attraverso le storie di manager, ingegneri, scienziati e imprenditori.
Anzitutto, dobbiamo considerare che l’attenzione per l’intelligenza artificiale non si svolge nel vuoto, ma va contestualizzata dentro tre grandi tendenze della nostra epoca che ci aiutano a mettere in prospettiva quello che accade.
L’Asia orientale domina la manifattura
La prima ha a che fare con lo spostamento della struttura manifatturiera del nostro pianeta, che da cinquant’anni vede un protagonismo crescente di diversi attori dell’Asia orientale, dal Giappone a Taiwan, dalla Corea del Sud alla Repubblica Popolare Cinese, fino ai paesi dell’ASEAN (Association of South-East Asian Nations) e all’India. Con le nostre lenti occidentali ed europee, tendiamo sempre a sottovalutare questo fattore e a sopravvalutare il nostro rilievo nelle filiere industriali mondiali. Tuttavia, poiché la tecnologia ha una fondamentale dimensione fisica, la struttura della manifattura mondiale è un fattore importante per comprendere le sue direzioni.

L’industria dei semiconduttori e il ruolo cruciale di Taiwan
La seconda tendenza riguarda la storia della digitalizzazione, dentro cui si inserisce l’intelligenza artificiale di cui discutiamo in questo secolo. Tutto è strettamente legato all’industria dei semiconduttori, all’epoca che si è aperta con la realizzazione del transistor presso i Bell Labs nel 1947 ed è stata poi codificata dalle previsioni economiche della cosiddetta “Legge di Moore” a partire dal 1965.
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L’intelligenza artificiale, nella sua struttura attuale legata ai data center, è un mercato di riferimento della microelettronica, così come lo sono stati e lo sono gli armamenti, l’aerospazio, l’elettronica di consumo, i personal computer, gli smartphone, l’automotive e tutto ciò che nel mondo è digitale, in un mondo che è sempre più digitale. I prodotti finali che chiamiamo “intelligenza artificiale” esistono perché c’è il sistema dell’industria dei semiconduttori, con la struttura, con aziende come NVIDIA, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), ASML, e molto altre, e con la capacità di realizzare i prodotti non in un laboratorio, ma a livello industriale e su una scala colossale.

Per capire questo punto e l’importanza dell’imprenditorialità, bisogna considerare anche altre competenze, come l’assemblaggio dell’elettronica, la realizzazione dei server, che hanno contribuito insieme a rendere sempre più centrale, per le capacità delle sue aziende, l’ecosistema elettronico di un luogo politicamente molto sensibile del nostro pianeta, Taiwan. L’isola è un insieme impressionante di storie imprenditoriali, rappresentato da una slide presentata da Jensen Huang durante la conferenza Computex 2024, in cui indica ben 101 partner fondamentali di Taiwan per NVIDIA. Oltre a TSMC (azienda che ormai gode di una certa notorietà), il sistema industriale dell’intelligenza artificiale necessita del contributo di moltissimi partner fondamentali taiwanesi e dei loro lavoratori. D’altra parte, proprio un’azienda taiwanese, Foxconn, ha fornito ad Apple il contributo decisivo per la costruzione di un sistema elettronico in Cina che per scala di investimenti e formazione non ha precedenti della storia dell’umanità.

Il capitalismo politico e la guerra economica
Infine, tutto ciò avviene in un mondo sempre più contestato rispetto al recente passato. Non siamo più negli anni ’90, in cui gli Stati Uniti emergevano come vincitori della guerra fredda. Il cambiamento dei rapporti di forza nell’industria e l’ascesa della Cina hanno portato a un nuovo intreccio tra la politica e l’economia, in uno scenario di “capitalismo politico”. Oltre ai conflitti militari, crescono i conflitti commerciali e tecnologici, soprattutto tra i due contendenti del pianeta, Stati Uniti e Cina, che pur mantenendo centinaia di miliardi di interscambio competono per il primato nelle filiere tecnologiche e condizionano sempre di più i rapporti economici attraverso spinte e spallate politiche.

Assistiamo alla proliferazione di vari strumenti di intervento e di vincolo sull’economia: non solo le politiche industriali, ma anche i dazi, le sanzioni, i controlli sugli investimenti, i controlli sulle esportazioni. Le stesse aziende della struttura industriale dell’intelligenza artificiale sono sottoposte a questi vincoli e a queste spinte, e devono barcamenarsi tra norme e divieti, mentre cercano – come fanno tutte le aziende – di fare profitti. La politicizzazione della tecnologia è evidente negli accordi o nelle operazioni che coinvolgono Paesi di frontiera: attori del Sud-Est asiatico come Malesia e Vietnam, o le monarchie del Golfo che fanno valere la loro disponibilità dei capitali. E soprattutto, a essere intrappolati nelle tensioni politiche sono gli stessi talenti e ricercatori che alimentano, un paper dopo l’altro, una soluzione industriale dopo l’altra, l’avanzamento della tecnologia.
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In questo scenario, la geopolitica dell’intelligenza artificiale può aiutarci a leggere in profondità i rapporti di forza e la dimensione fisica della tecnologia. Per comprendere meglio i suoi protagonisti e le sue prospettive e per inserirla nelle grandi questioni e nei grandi conflitti del nostro tempo.