Ci si innamora dell’avvocata Lidia Poët perché è sempre stata dove voleva stare lei – non dove la voleva il sistema – con la tranquillità di chi si sente al proprio posto, e perché da lì ha aperto la strada alle altre. Lidia Poët, così speciale da ispirare una serie tv di successo (nel 2026, arriverà la terza stagione), è stata la prima donna a essere ammessa – era il 9 agosto 1883 – all’Ordine degli avvocati e procuratori, a Torino. Ma siccome quello era un secolo in cui una donna doveva filare dritta verso il ruolo di regina della casa, il sistema la mise fuori: a tre mesi dall’iscrizione all’Albo, infatti, la Corte d’Appello la annullò, dopo che il procuratore generale del Regno d’Italia l’aveva impugnata. Lidia Poët ricorse in Cassazione, che però confermò l’espulsione. La sentenza chiarì in modo netto che una donna non può esercitare lavvocatura, perché questa è un pubblico ufficio e ai pubblici uffici le donne non erano esplicitamente ammesse. Ma la sentenza espresse pure un concentrato di convinzioni sessiste, come il “carattere virile” dello Stato, la restrizione dei diritti femminili “per ragioni d’ordine morale e sociale”, il rischio che le donne potrebbero indurre “un’avvocatura leggiadra”, la valutazione che le avvocate mancherebbero di adeguate forze intellettuali e morali o si troverebbero ad affrontare contesti non idonei a “oneste fanciulle”. 

Una giovane donna determinata a laurearsi

Eppure Lidia Poët sembrava nata per fare proprio quello, l’avvocata. Secondogenita di una facoltosa famiglia valdese della valle Germanasca, nel torinese, studiò in Svizzera quindi, rientrata in Italia, frequentò il Liceo di Mondovì, puntando all’Università. In tempi in cui, dice lei, le ragazze della sua età si dedicavano al ricamo e ai budini di riso e dalla tutela legale del padre passavano direttamente, sposandosi, a quella del marito, Lidia Poët è determinata a laurearsi e nel 1878 si iscrive all’Università di Torino, facoltà di Giurisprudenza: per la verità, prima sceglie di entrare a Medicina, poi la lascia e, approdata a Giurisprudenza, si ritrova dentro un mare di maschi. Fa parlare di sé molta stampa – anche perché le donne hanno conquistato da pochissimo il diritto di iscriversi all’università -, persino il Corriere della Sera, che annuncia l’ingresso in facoltà di “una signorina di Pinerolo”. Del resto, Lidia Poët non è semplicemente una matricola: è una storia, e lei è determinata a scriversela addosso. La tesi con cui si laurea, “Studio sulla condizione della donna rispetto al diritto costituzionale ed al diritto amministrativo nelle elezioni”, è un manifesto della sua visione: sostiene con forza il diritto di voto e della partecipazione alla vita pubblica delle donne e usa lo studio della legge per dimostrare quanto il sistema sia ingiusto e antiquato per chi nasce femmina. Il giorno della laurea, l’aula è colma di studenti e il senatore Cesare Bertea, anche lui avvocato, nel cui studio la Poët farà poi il praticantato, la ringrazia in nome “dell’umanità e della libertà”. 

La cancellazione dall’Ordine diventa un caso

Ma il sistema non ha simpatia per questa ragazza vispa e resiliente, che probabilmente rischia di diventare un esempio per troppe e di infastidire consuetudini e privilegi maschili secolari e, con la sentenza della Corte di Cassazione del 18 aprile 1884, appunto, la cancella definitivamente dall’Ordine. La decisione diventa una caso, l’Italia intera ne dibatte, i giornali si schierano a suo favore. Ma lei è ormai fuori: continuerà a occuparsi di questioni giuridiche, accanto al fratello, avvocato. Si occuperà molto di bambini e ragazzi, incoraggiando l’istituzione dei tribunali per i minorenni; di donne, per le quali continuerà a rivendicare il diritto di votare e la parità con gli uomini; di detenuti, sostenendone il recupero attraverso il lavoro e promuovendo il moderno diritto penitenziario. Grazie al suo impegno, Lidia Poët divenne una figura importante, di spicco internazionale e tanti dei convegni a cui prese parte dibatterono innovazioni allora assolutamente visionarie che sono diventate conquiste in tempi recenti, vedi il divorzio o l’equiparazione dei figli naturali e quelli legittimi.

Nel 1920 Lidia Poët diventa ufficialmente avvocata

Alla fine, Lidia Poët centrò il sogno di diventare ufficialmente avvocata: nel 1920 entrò definitivamente nell’Ordine degli avvocati, prima italiana della storia a farlo. Aveva 65 anni. L’anno prima, la legge Sacchi aveva abolito l’autorizzazione maritale – ovvero il permesso del marito indispensabile a una donna per compiere qualsiasi atto di natura giuridica – e aveva sancito il diritto delle donne “a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni e a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche che attengono alla difesa dello Stato”. Insomma, da quel momento le donne potevano finalmente fare le avvocate. Le magistrate no, quelle sarebbero arrivate molto, molto tempo dopo: le prime otto donne sono entrate in magistratura solo nel 1965, ma questa è ancora un’altra storia.