«Non arrendersi mai, nonostante tutto. Perché se ci credi davvero, niente è impossibile». Questo è uno dei motti che spingono la giovanissima vicecampionessa nazionale paralimpica, Giada Tognocchi, 25 anni, affetta dalla nascita da una grave malattia neuromuscolare che la costringe su una sedia a rotelle. Giada due anni fa ha rischiato la vita in seguito a un intervento chirurgico. Meno di un anno dopo ha festeggiato il titolo di vicecampionessa italiana ai campionati assoluti italiani paralimpici, medaglia d’argento nella spada e nel fioretto nella categoria C, quella delle disabilità più gravi.
Alcuni lo chiamano “miracolo”, e in effetti la sua storia ha dell’incredibile, ma che si creda o meno nei miracoli, non si può non riconoscere il grande coraggio e forza di volontà di questa giovanissima campionessa che si è giocata il tutto per tutto, e ce l’ha fatta. Nata a Pietrasanta, in provincia di Lucca, Giada sin da piccolina ha dimostrato una tenacia invidiabile, caratteristica che l’ha sempre spronata a battersi per combattere i limiti con cui ha sempre dovuto fare i conti. In un’intervista ci ha raccontato il suo lungo percorso, fatto di tante difficoltà su cui, però, ha sempre prevalso la voglia di vincere.
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Giada, quando è nata questa tua passione?
Ho sempre amato lo sport, ma in Versilia, per una persona costretta su una sedia a rotelle non è per niente facile praticarlo, soprattutto perché mancano le strutture. Il caso ha voluto che a Pisa incontrassi un maestro di scherma che mi propose di provare questa disciplina. Io ne fui subito entusiasta perché ne ero affascinata. Quando dissi ai miei genitori che ci volevo provare, mi guardarono con due occhi sgranati! Ma da quando ho iniziato è stato amore a prima vista.
Quali sono gli ostacoli più grandi che hai incontrato nel tuo percorso?
Il periodo dell’adolescenza non è stato per niente semplice. Sono momenti in cui ti interroghi sul futuro, su cosa vuoi fare, dove vuoi arrivare. La scherma mi ha riempito quel vuoto di cui avevo paura e mi ha dato le risposte che in quel momento cercavo. È stata una sfida su tanti punti di vista, soprattutto fisico e psicologico. Sottoponendo il mio corpo a un continuo stress, la malattia mi presentava sempre nuove difficoltà. Ma sono riuscita a superare i momenti più difficili cercando i dettagli da poter migliorare, senza pormi macro-obiettivi ma facendo sempre un’analisi precisa, un passo alla volta. La prima grande soddisfazione è arrivata con la medaglia di bronzo ai campionati assoluti.
Poi?
Mi sono cimentata in una sfida ulteriore, con l’aggiunta del fioretto. Ma il momento più difficile, a livello psicologico, è arrivato con la pandemia, perché non si sapeva quando ci sarebbero state le gare e per le persone portatrici di handicap prendere il Covid era molto rischioso. A ottobre dello scorso anno, poi, ho subito un intervento chirurgico che ha avuto gravi complicazioni, e sono andata in arresto respiratorio. Ho avuto paura di non poter riuscire a tornare in pedana e non sapevo se il mio fisico avrebbe ancora retto. La convalescenza mi ha lasciato delle conseguenze non da poco, con cui tutt’oggi devo fare i conti e che implicano una facile apnea, pertanto mantenere la concentrazione in assalto è diventato ancora più complicato.
Sinora quali sono state per te le più grandi soddisfazioni?
Devo dire che ho sempre sperato nei grandi traguardi, ma sapevo che le incognite erano tante. La mia prima medaglia, di bronzo, a Busto Arsizio, nel 2018, è quella che ricordo con più affetto perché è stata una vittoria molto sudata. Dopo il Covid, poi, ho iniziato anche con il fioretto, e per me è stata la svolta. Mi ha fatto scattare quella voglia di farlo diventare a tutto tondo quasi un lavoro, come se in me si fosse innescato un circuito che mi ha portato a pretendere sempre di più e a lavorare sempre di più per ottenerlo. Anche a livello personale mi è servito a tirare fuori dei lati più insicuri di me che non conoscevo e a cercare di renderli, al contrario, punti di forza.
Quali altri riconoscimenti sono stati i più significativi per te?
Il bronzo di spada ai primi campionati italiani nel 2019 a Palermo, e post Covid, nel 2022, quando ho totalizzato 2 primi posti alla prima prova nazionale a Fermo. Quello è stato un risultato importante perchè venivo dal grave incidente respiratorio di cui parlavo prima ed è stato l’anno in cui mi sono giocata “il tutto per tutto”. Nel 2023 ero partita forte, con una doppia vittoria alla prima prova nazionale a Siena, poi a Busto Arsizio con i 2 primi posti, nella spada e nel fioretto, e poi i campionati italiani.
Ma le grandi sfide per te non sono finite qui…
Si, ho avuto la mononucleosi e per uno sportivo è un bel gap, ma nonostante tutto sono riuscita a riconfermare il risultato dell’anno precedente. Quest’anno le aspettative sono più alte e mi vedo più proiettata nel fioretto, veloce e istintivo, rispetto alla spada, che è più riflessiva.
Di che cosa hai paura?
La cosa che mi spaventa di più è un peggioramento della mia condizione che possa mettere a repentaglio tutto ciò che sto facendo.
Che cosa ti auguri, invece, per il futuro?
Spero di vincere gli assoluti. Vorrei continuare a lavorare su entrambe le armi e quest’anno punto a piazzarne una per, poi, arrivare allo stesso livello anche con l’altra. Oggi mi alleno solo con normodotati, e questo implica un maggior dispendio di energie anche se, da un altro punto di vista, serve ad abbattere le barriere, che, oltre che fisiche, sono anche sociali. Auspico che si riesca a crescere sul capitolo delle disabilità, a partire dalle scuole. Si dovrebbe insegnare ai bambini a capire che non è una carrozzina, né una protesi, né un ausilio a dare dei limiti, ma che si può fare tutto in maniera diversa. Questo sport mi dà tanto a livello personale e l’idea che i bambini che conosco crescano guardando diversamente la disabilità è un qualcosa che a me è mancato e che mi rende orgogliosa di quello che faccio.