A tu per tu con Janet De Nardis, regista e fondatrice di Roma Web Fest, al cinema con un film che esplora temi contemporanei: «L’AI è di aiuto, però rischia di silenziare i nostri neuroni. Nell’era della transmedialità, è importante preservare l’individualità». L’intervista per Unstoppable Women
Manager, giornalista, regista, sceneggiatrice, autrice e conduttrice, Janet De Nardis nel 2012 ha fondato Roma Web Fest quando di sinergie tra cinema e web in Italia ancora non se ne parlava, anzi c’era molta reticenza sull’argomento. Laureata in architettura, Janet ha lavorato per Rai, Sky, Class News e Class CNBC oltre a varie testate giornalistiche, firmando diversi programmi televisivi. È stata docente all’Università degli studi “La Sapienza” di Roma, nel corso di “Web serie e prodotti multimediali” e per il Master in “Fashion studies” oltre a collaborare con il Master in “Comunicazione digitale” presso la Link University. È stata responsabile della sezione dedicata ai “Filmmakers” presso il CNA Lazio e dello sviluppo web e social (scouting webtalent) per Palomar. Insegna all’Accademia del lusso nel corso “Luxury Branding”, dal 2019 è direttrice Artistica del Digital Media Fest! e, dal 2021, della sezione Digital del Festival dei Tulipani di seta nera. Quest’anno è arrivato al cinema il suo primo lungometraggio. Si chiama “Goodvibes”, è un fanta-thriller prodotto e distribuito da Toed Film e realizzato con il contributo del MIC e della Fondazione Calabria Film Commission, e racconta cinque storie che si intrecciano attorno a un misterioso smartphone che permette di avere la copia del telefono di chiunque. Inserendo il numero si ha accesso a conti correnti, foto, video, email, messaggi, e se si attiva la fotocamera in modalità spia si può osservare in diretta la vita degli altri. Per adesso è fantascienza, ma lo sarà ancora in un futuro prossimo? Abbiamo approfondito il tema proprio con Janet.
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Janet, il tuo film è un fanta-thriller ma quanto è davvero lontano dalla realtà?
“Good Vibes” nasce da una riflessione sul rapporto tra tecnologia ed esseri umani e sull’influenza che gli strumenti tech hanno nel nostro quotidiano, come lo smartphone. Il film vuole suggestionare pensieri e discussioni su come questi strumenti condizionino il nostro modo di pensare e il nostro stile di vita, potenziando alcuni aspetti ma, allo stesso tempo, privandoci di altri. Oggi l’AI è già parte delle nostre vite, ma fino a che punto siamo liberi di scegliere che uso farne? E quanto la nostra privacy è ancora rispettata? Questi sono gli spunti di riflessione che, assieme ad altri, il lungometraggio vuole scuotere nei confronti degli spettatori.
Cosa ne pensi dell’intelligenza artificiale?
Credo che un sistema che è in grado di scrivere un testo sia sicuramente di aiuto per certe professioni, allo stesso tempo, però, silenzia i nostri neuroni. Pensiamo a quanto queste tecnologie possano incidere nella crescita dei ragazzi e dei più piccoli che non hanno ancora gli strumenti adatti per imporsi dei limiti dinanzi alle enormi potenzialità dell’AI. Il tema della privacy, che emerge in modo chiaro dal film, è tra i più discussi del decennio, e questo si riflette anche nelle nostre relazioni interpersonali, ponendo dei limiti alla conoscenza dell’altro. Spesso si cade nell’errore di pensare che “Se non si condivide con la community quello che ci accade, allora mentiamo oppure restiamo nell’anonimato”. Si dovrebbe sempre avere, invece, la capacità di scegliere cosa condividere e con chi. A volte un concetto condiviso può essere anche male interpretato, o non adatto a un certo contesto. Questo è un tema che credo meriti una riflessione come quello del cyberbullismo, anche questo affrontato nel film, di cui si parla sempre troppo poco.
Nel 2012 hai fondato il Roma Web Fest. Avevi già capito l’importanza della sinergia tra cinema e web?
In quel periodo, in Italia si è aperto un filone che prima non era considerato. Le istituzioni inizialmente erano molto reticenti e non volevano parlare di “cinema” e “web” assieme: i prodotti non erano considerati di grande valore e neppure classificabili in un settore di mercato. Ma io ero convinta che quella sinergia, invece, sarebbe diventata il futuro. E così è stato. Abbiamo vissuto una vera e propria rivoluzione nel product placement, nel racconto delle aziende e delle storie e l’industria cinematografica si è accorta che le web serie stavano prendendo sempre più piede ed erano sempre più seguite.
Poi che cosa è successo?
Si è passati ad altri prodotti, tanto diversi, fino ad arrivare alla realtà virtuale, verso nuove sperimentazioni che mettono al centro la tecnologia. Personalmente, ritengo che tutto sia nelle nostre mani: abbiamo inventato realtà che sino a pochi anni fa erano incredibili e che ci permettono di osservare la vita in modo diverso, di trasformare le cose. Da poco ho condotto un programma in cui si è parlato delle ultime innovazioni in termini di AI e di quanto queste tecnologie si intreccino intrinsecamente a una matrice filosofica, a livello concettuale e di pensiero, per non parlare delle future potenzialità che potrebbe avere. La filosofia è un altro tema centrale: ci conduce alla scoperta di nuovi mondi in un approccio critico che ci permette di vedere la realtà da nuove prospettive.
Secondo te, il cinema che direzione prenderà in futuro?
Viviamo in un’era fatta di interconnessioni tra mezzi di comunicazione, transmedialità e crossmedialità, che sempre più sono presenti in qualsiasi ambito. Tutto questo, da un certo punto di vista può essere potenziante ma quanto è importante preservare la nostra sfera individuale? Questa continua interconnessione, a un certo punto, diventa limitante perché ci fa vivere tutto in una sorta di appiattimento tale per cui l’individualità non vince più, ma si diventa vittime delle grandi major, in una sorta di omologazione globale. Per concludere, credo che sia fondamentale preservare la nostra individualità, le nostre peculiarità e ciò che più ci contraddistingue, avvalendoci, comunque, delle potenzialità che i mezzi tecnologici oggi ci offrono.