Fu l’amica Elena Croce, figlia di Benedetto, a suggerirle di costruire, in un Paese pieno di bellezza esposta al degrado e alla speculazione, qualcosa di simile al National Trust inglese: la potente organizzazione benefica del Regno Unito – proprietaria persino del Vallo di Adriano e del paesaggio di Stonehenge – aveva messo a terra un modello inedito di tutela del patrimonio naturale, culturale e artistico, acquisendolo e gestendolo per renderlo accessibile alle generazioni presenti e future.
All’inizio Maria Giulia Crespi, che nel tempo avrebbe effettivamente rivoluzionato l’attitudine della società civile italiana verso la protezione del patrimonio, non ci credeva proprio: “Ma lassù c’è il porridge e noi mangiamo gli spaghetti. Vedo poche analogie!”. E, invece, il 28 aprile 1975, insieme agli amici Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli firmò l’atto costitutivo e lo statuto del FAI, il Fondo per l’Ambiente Italiano, dotandolo dei primi 500 milioni di lire, che donò lei stessa. La prima prova fu, nel 1977, una minuscola spiaggia di Panarea racchiusa ad anfiteatro tra alte pareti rocciose, Cala Junco, che venne affidata ai FAI dal proprietario per metterla in salvo per sempre da aggressioni speculative. Se Cala Junco fu il primo bene donato, il Monastero medievale di Torba, in provincia di Varese, fu il primo bene restaurato: un lungo lavoro, durato otto anni e culminato nel 1986 che ha fatto affiorare le mura romane e gli affreschi longobardi.
Un’imprenditrice visionaria e pragmatica
Maria Giulia Crespi fu un’imprenditrice visionaria, pragmatica e dai risultati netti, come la sua personalità, decisa e preminente in modo assoluto: oltre a portare in Italia un modello di intervento privato nella tutela del patrimonio nutrito dalla passione civile, si dimostrò capace di creare un’organizzazione solida, capillare, straordinariamente efficiente e seppe far fruttare il suo enorme motore di contatti e di influenza per attrarre fondi e nuovi beni da proteggere. E non si accontentò di portare al successo singoli progetti, ma sviluppò programmi di lungo periodo, capaci di dare un impatto duraturo alla salvaguardia della bellezza italiana. Oggi il FAI è un colosso culturale che dà lavoro a 300 dipendenti, conta su 16.000 volontari in tutto il Paese, ha 300.000 iscritti. Possiede 72 beni straordinari, avuti in eredità, in donazione o gestione, beni che erano in preda al degrado e alla dimenticanza e di cui il FAI si è preso cura. Di questi, 56 sono al momento godibili da tutti: si tratta di castelli, ville, abbazie, ma anche di riserve marine, alpeggi, paesaggi boschivi, antiche botteghe iconiche, saline, giardini storici, collezioni d’arte. Nel 2024 più di un milione 100.000 persone li ha visitati.
Negli anni Ottanta, Maria Giulia Crespi intuì la drammatica svolta climatica – “vedrete, il clima cambierà, non ci sarà più acqua, spariranno tutte le api” -, connettendola con il modello di sviluppo insostenibile dell’occidente. Ambientalista della prima generazione dell’ambientalismo italiano, amava il nuovo e il diverso, così come le persone che sapevano andare contro: di Greta Thunberg la intrigavano gli occhi, “il suo tono, il suo calmissimo furore”. Lo storico dell’arte Marco Magnifico, che fu compagno di lavoro per 35 anni anni al FAI e che oggi lo presiede, sul Giornale dell’arte la ricorda come una donna “che era uno strano miscuglio di calvinismo, illuminismo e regalità, tre cose che insieme fanno fatica a convivere. Però in lei convivevano. Il calvinismo veniva dalle sue radici lombarde, soprattutto da suo padre, uomo immensamente ricco, ma parco e morigerato, al contrario di sua madre, che adorava il lusso e la corte… La madre l’aveva educata a essere regina e, anche se ha rifiutato un po’ sua madre, lei regina era”.

Quanto all’illuminismo, “le veniva dalla straordinaria educazione che ha avuto studiando in casa con Fernanda Wittgens, la leggendaria direttrice di Brera, che è stata fondamentale nella sua vita”. E ancora: “È stata una grande cittadina e ha sempre combattuto per i diritti di tutti. Ha sempre ritenuto, infatti, che i suoi diritti fossero i diritti di ognuno: il diritto di respirare bene, di vedere un luogo pulito, di godere della natura, della bellezza e dell’educazione. In questo era molto illuminista e democratica, anche se i suoi metodi erano da regina, tanto che chiamava tutti per cognome”.
Il Corriere della Sera e la biodinamica
Nata a Merate nel 1923, nel cuore della Brianza lecchese, da una influentissima famiglia di imprenditori cotonieri proprietari del Corriere della Sera, nel 1961 Giulia Maria Crespi entrò in prima persona al Corriere. Nominò direttore Piero Ottone; Pier Paolo Pasolini debuttò sulle pagine culturali e Antonio Cederna cominciò a pubblicare famose inchieste di avanguardia sull’ambiente. Fu appena pochi mesi dopo esserne uscita che si mise a disegnare l’avventura ancora più grande del FAI.
Ha avuto sei volte il cancro, la fondatrice del Fondo per l’ambiente italiano. Fu per curare la sua malattia la prima volta, nel 1968, che si avvicinò alla filosofia di Rudolf Steiner, fu imparando a mangiare in maniera sana che capì che anche l’ambiente doveva rigorosamente esserlo. Si dedicò personalmente e in maniera pionieristica per l’Italia all’agricoltura biologica e poi a quella biodinamica nelle sue Cascine Orsine, nel Pavese, dove, dopo aver studiato agraria in Germania, mise in atto un processo di riconversione biodinamico totale dei terreni. Il processo fu complesso, ma anche in questo caso riuscì a trovare persone che credettero nel progetto. A 96 anni, un anno prima di spegnersi, confidò al quotidiano La Repubblica: “Sono stanca, ma non di lottare”.