Per il nostro long form domenicale la manager bolognese, Head of Business Development del Financial Times, affronta a tutto tondo il tema dell’evoluzione dei media: “Ben vengano le startup in grado di portare nuove tecnologie e spronare le testate a innovarsi”
Una premessa: la carta stampata non morirà. Il digitale e le sue possibilità hanno cambiato il rapporto fra le testate e il pubblico che, immerso in un oceano sconfinato di canali di informazione, è diventato più attento a cercare e selezionare i contenuti di suo interesse. Eppure, ne è sicura Virginia Stagni, dal 2018 al Financial Times e da un anno e mezzo a capo dello sviluppo commerciale del quotidiano londinese, il giornale fisico non è destinato a scomparire.
“La verticalizzazione dei contenuti porta il giornalista a diventare l’influencer”
“Cambierà il modo in cui interagiamo con il cartaceo. Da momento quotidiano, diventerà un’esperienza per alcuni momenti specifici della nostra vita. Sono in volo, non ho la connessione, leggo”, dice Stagni a StartupItalia a margine di Next Communication, primo evento di Storyword, un progetto editoriale digitale ideato da Carlo Castorina, che sfrutta un algoritmo proprietario per selezionare e sintetizzare ogni settimana le novità e i migliori approfondimenti giornalistici sul mondo della comunicazione politica e aziendale, oltre a organizzare appuntamenti con esperti del settore.
Lo stato dell’informazione italiana
Intanto, però, l’editoria giornalistica italiana, in particolare modo quella relativa ai quotidiani, arranca. L’impietosa fotografia arriva dai dati dell’ultimo osservatorio sulle comunicazioni dell’Agcom, pubblicato a fine dicembre e relativo ai primi nove mesi dello scorso anno. Il confronto con lo stesso periodo del 2021 mostra un calo medio delle vendite del 9,4%, percentuale che raggiunge il 32,5% se si prende in riferimento il periodo gennaio-settembre del 2018. Tradotto, nei primi tre trimestri del 2022 sono state vendute 1,57 milioni di copie.
La forbice si allarga se si prende in considerazione soltanto il cartaceo, le cui vendite nei primi nove mesi dello scorso anno si sono ridotte del 9,9% rispetto allo stesso periodo del 2021 – del 10,9% se si considerano i primi cinque quotidiani generalisti italiani: Avvenire, Corriere della Sera, Il Messaggero, La Repubblica e La Stampa – e del 36,5% sul 2018. Al declino del formato fisico del giornale non si associa un decollo del digitale, con 210mila copie giornaliere nei mesi gennaio-settembre 2022, in diminuzione del 5,7% sul corrispondente lasso di tempo del 2021, seppur in crescita del 12,5% rispetto al 2018.
“Nonostante il forte calo delle vendite, Gedi è ancora il maggiore gruppo editoriale italiano, seguito da Rcs, poco distante. Staccati Caltagirone Editore e Monrif”
Secondo il rapporto di Agcom, basato sui dati Ads – l’associazione Accertamenti diffusione stampa -, società che divulga i dati relativi alla tiratura e alla distribuzione dei giornali italiani, i maggiori gruppi editoriali per copie vendute nei primi nove mesi del 2022 vedono Gedi, in testa con il 20,3% del totale e Rcs, al 18,1%. A seguire, Caltagirone Editore con l’8,7% e Monrif, all’8,3%. Andando a focalizzarsi sulla variazione rispetto al corrispondente periodo del 2021, si nota però un quadro in evoluzione. Il protagonista, questa volta in negativo, rimane il gruppo Gedi, che fa segnare un calo del 15,1% delle vendite dei propri quotidiani rispetto a gennaio-settembre 2021, mentre l’andamento di Rcs è rimasto stabile (-0,7%).
Quotidiani editi da Gedi che nella giornata di ieri, sabato 18 febbraio, non sono usciti in edicola a seguito di uno sciopero indetto dai comitati di redazione per la giornata di venerdì. Come scritto nel comunicato, la decisione è stata presa a seguito di un incontro tenuto il 15 febbraio tra il coordinamento dei cdr e l’Ad del gruppo, Maurizio Scanavino, il quale, si legge, ha comunicato la disponibilità a cedere alcune testate della compagnia. A cambiare proprietà potrebbero essere i giornali del Nordest: Il Mattino di Padova, La Nuova di Venezia e Mestre, La Tribuna di Treviso, il Corriere delle Alpi, il Messaggero Veneto, Il Piccolo e la Gazzetta di Mantova.
Non si tratterebbe delle prime cessioni del gruppo, che negli ultimi tre anni ha già chiuso la rivista MicroMega – poi rilevata da una nuova società editrice controllata dallo storico direttore della rivista Paolo Flores d’Arcais – e venduto L’Espresso e alcuni quotidiani locali, fra cui la Nuova Sardegna, Il Tirreno, La Nuova Ferrara.
Immagine: Osservatorio sulle comunicazioni, Agcom
Da lettore a utente, da tradizione a innovazione
Crisi a parte, a trasformarsi, sottolinea Virginia Stagni, è l’approccio di chi usufruisce del prodotto giornalistico. Non più un lettore abitudinario, che ha nella mezz’ora dedicata al quotidiano un gesto automatico e quasi rituale, ma un utente attivo e propenso a dedicare il suo tempo a un’informazione mirata, utile per il suo lavoro o inerente alle sue passioni. Una delle conseguenze di questo processo è la ricerca di siti, pagine e canali sempre più settoriali, a volte a discapito dei grandi giornali e, in generale, delle testate propriamente dette.
“I giornali devono pagare di più i giornalisti, che non si troverebbero costretti a diversificare il proprio lavoro tra più testate e contenuti autonomi e metterebbero a disposizione la propria esperienza dentro la stessa azienda”
Rovesciando la prospettiva, come cambia il ruolo dei giornalisti con la diffusione di spazi così verticali e specifici?
La verticalizzazione dei contenuti porta il giornalista a diventare l’influencer. Questo passaggio, però, può avvenire solo nel momento in cui ha alle spalle il blasone di un brand, il giornale per cui ha lavorato, che gli conferisce credibilità nel parlare di un determinato argomento a un certo pubblico.
A pagarne le conseguenze sono le stesse testate.
C’è un’urgente necessità da parte del giornale di tornare ad appropriarsi del talento. Per farlo, i giornali devono pagare di più i giornalisti, che non si troverebbero quindi costretti a diversificare il proprio lavoro tra più testate e contenuti autonomi per ragioni economiche e metterebbero a disposizione la propria esperienza dentro la stessa azienda. In questo modo si può evitare l’atomizzazione dell’informazione e allo stesso tempo permettere ai giornali di arricchirsi di nuovi idee e progetti.
Idee che spesso provengono dai nuovi arrivati, startup e piattaforme. Quanto spazio c’è per loro nel mondo dell’informazione?
Ci sono ottime opportunità, ma c’è anche una dura selezione dovuta dalla scarsità di capitale nell’industria editoriale. Per questo, o vengono proposti prodotti e tecnologie sostanzialmente nuovi o in grado di cambiare la prospettiva all’interno del settore, altrimenti è più conveniente investire e perfezionare quello che già c’è.
Per di più, non è sempre semplice rinnovare ambiti molto tradizionali, come quello giornalistico.
Ecco perché l’ingresso delle nuove realtà nel mondo dell’informazione è un fatto positivo: ben vengano le startup in grado di portare nuove tecnologie e sfidare gli attori già presenti sul mercato, spronando le testate a innovarsi.
“Il caso di Storyword dimostra quanto sia prezioso poter avere a disposizione e consultare strumenti e contenuti di qualità, che rappresentano un importante capitale culturale e di business”
Un piccolo esempio da questo punto di vista può essere proprio quello di Storyword. Perché hai deciso di appoggiare il progetto?
Ormai da diverso tempo, siamo alle prese con la narrazione secondo cui il mestiere del giornalismo è morto e l’informazione ha perso il suo ruolo, rimpiazzata dai social. Il caso di Storyword dimostra l’opposto e, con il suo lavoro di approfondimento e di sintesi, mostra quanto sia prezioso poter avere a disposizione e consultare strumenti e contenuti di qualità, che rappresentano un importante capitale culturale e di business.
Oltre agli input esterni, lo sforzo per innovare passa dall’interno delle redazioni. Quale caratteristica, vista e appresa all’interno del Financial Times, porteresti in Italia?
La capacità di talenti provenienti da professioni e ambienti diversi di lavorare insieme, al solo scopo di migliorare i prodotti e i servizi offerti dal giornale. È necessaria una stretta collaborazione tra figure diverse, soprattutto sotto l’aspetto tecnologico, che non deve essere estraneo ai giornalisti, ma parte integrante del loro lavoro. In Italia, invece, c’è una mancanza di dialogo tra i vari profili che oggi fanno e vendono un giornale.
Cambiano i tempi, ma le vendite dei quotidiani continuano a scendere e l’ultima domanda sul giornalismo rimane la stessa: Virginia Stagni, la carta stampata scomparirà?
No. Sta cambiando e cambierà il modo in cui interagiamo con il cartaceo. Da un momento parte della routine quotidiana, diventerà un’ottima esperienza, anche sensoriale, per alcuni momenti specifici della nostra vita. Un esempio: sono in volo, non ho la connessione, leggo.