Se l’idrogeno è uno tra gli elementi sui quali si ripone grande fiducia a livello globale per far fronte alle sfide climatiche, allo stesso tempo riuscire a produrlo in modo sostenibile non è così semplice, poiché si tratta di un processo molto dispendioso dal punto di vista energetico. Martina Ilaria Fracchia, ricercatrice italiana e vincitrice della 21a edizione del Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”, un prestigioso riconoscimento che è stato assegnato ad alcune scienziate italiane capaci di contraddistinguersi per l’alto potenziale delle proprie innovazioni, da anni lavora allo scopo di ridurre il dispendio energetico per la produzione dell’idrogeno verde, l’unico davvero sostenibile. La abbiamo intervistata per farci raccontare più nel dettaglio come sta proseguendo la sua ricerca, quali sono gli ostacoli che sinora ha incontrato e come pensa di sviluppare la sua idea in futuro.
Leggi anche: «Con la stampa 3D provo a migliorare la cardiopatia grave nei neonati. Ma è dura senza finanziamenti»
Martina Ilaria, da quanto ti occupi di ricerca e cosa ti ha appassionato a questo ambito?
Mi occupo di ricerca dal 2016, anno in cui ho iniziato il dottorato all’Università di Pavia. La mia passione per la ricerca è nata durante la tesi magistrale ed è strettamente legata alla mia dedizione per la chimica dei materiali. Fare ricerca per me è un piacere quotidiano e provo ancora quell’entusiasmo quando una mia idea si rivela efficace o quando scopro qualcosa di nuovo che prima non sapevo. Mi permette, insomma, di mantenere viva quella luce negli occhi che avevo da studentessa, quando mi approcciavo a questi argomenti per la prima volta. Inoltre, mi consente di contribuire in prima persona all’avanzamento della conoscenza. Penso che la scienza si costruisca così, pezzo per pezzo, e mi piace pensare di poter dare il mio contributo, anche se con un piccolo e infinitesimo mattoncino.
A che cosa stai lavorando esattamente?
Il mio progetto si propone di impiegare ossidi ad alta entropia come materiali innovativi per la produzione sostenibile di idrogeno tramite l’elettrolisi dell’acqua. Si tratta di un processo molto dispendioso dal punto di vista energetico e per diventare competitivo a livello industriale richiede l’utilizzo di materiali (elettrocatalizzatori) che sviluppano idrogeno e ossigeno con una buona efficienza energetica. La mia proposta, appunto, è quella di utilizzare come elettrocatalizzatori gli ossidi ad alta entropia. Questi sono stati scoperti per la prima volta nel 2015 e si stanno rivelando molto promettenti per svariate applicazioni nel campo dell’energetica. Mi aspetto, quindi, che abbiano buone performance anche per la produzione di idrogeno.
Tu sei una delle vincitrici del Premio L’Oréal – UNESCO “Per le Donne e la Scienza”. Cosa ti ha spronato a candidarti?
Indubbiamente il prestigio del premio. Era da molti anni che ne sentivo parlare e l’idea di poterlo vincere è sempre stata un piccolo sogno nel cassetto. Sono molto grata e onorata di averci potuto provare e di esserci riuscita perché ritengo che la mission del premio abbia un nobile valore: quello di dare spazio e risalto a scienziate donne e giovani che altrimenti avrebbero in termini minori. E spero davvero che questo premio sia di ispirazione per molte giovani scienziate, come lo è stato per me.
Che cosa ti porti a casa da questa vittoria?
Un’enorme soddisfazione e una “botta” di autostima. Il mondo della ricerca non è sempre facile, tra precarietà e alti livelli di competizione. È facile avere momenti di sconforto e penso che tutti i ricercatori si ritrovino a soffrire ogni tanto della “sindrome dell’impostore” (ndr una condizione psicologica legata a una bassa autostima per cui una persona dubita delle proprie competenze e non riesce a riconoscere i propri meriti). Vincere questo premio mi dà la spinta per andare avanti e mi ricorda che ce la posso fare e che sono sulla strada giusta.
Quali altri progetti hai in cantiere?
Ne ho tanti, sempre legati al mondo degli ossidi ad alta entropia e alle potenzialità che offre. Sono materiali affascinanti e sinora poco studiati. Ci sono ancora molti aspetti da investigare e, assieme ai colleghi, in questa fase ci stiamo occupando sia di comprenderne meglio le proprietà chimiche che di ideare nuove possibili composizioni. Oltre che per la produzione di idrogeno, in collaborazione con vari gruppi di ricerca, li stiamo utilizzando anche per altre applicazioni energetiche, come per la catalisi o come elettrodi per batterie al litio e al sodio. Cerchiamo di capirne il loro meccanismo di funzionamento utilizzando tecniche avanzate a raggi X e stiamo pensando di applicare tecniche statistiche e chemiometriche per ottimizzarne le performance.