Una donna anziana siede sotto gli alberi nella Piazza del Cinema al Lido di Venezia. Da lì può vedere il mare, senza ostacoli, e fermarsi a parlare con le amiche. Una panchina, una zona d’ombra, il verde: piccoli accorgimenti restituiscono il senso di un’architettura che non è solo forma e funzione, ma è anche responsabilità. È lo strumento con cui possiamo costruire comunità inclusive, creare luoghi per tutti. In questa direzione lavora da anni Maria Alessandra Segantini, architetta, Ceo e co-founder dello studio C+S Architects. Insieme a Carlo Cappai, progetta città al femminile, pensate anche per i più fragili, e scuole circolari, smontabili come Lego. «Se costruiamo pensando a bambini e anziani, le città saranno migliori per tutti».

Città al femminile

«Credo che oggi la sfida dell’urban design sia legata più al tempo che allo spazio. La città moderna è progettata come una macchina veloce sul modello del typical male commuter: casa-ufficio-casa. Ma la società è cambiata. Serve un design con un DNA femminile, che si prenda cura delle persone», spiega Segantini. Prima donna iscritta ad honorem all’Albo d’Oro di San Marino e miglior architetto d’Italia nel 2022, è tra le voci scelte dal Ministero della Cultura per il progetto Ti racconto in italiano. Gestisce progetti in Europa, Africa, Medio Oriente.

Per Segantini, serve equilibrio tra le infrastrutture veloci e una città lenta, fatta di relazioni, spazi pubblici, digitalizzazione inclusiva. «Dobbiamo fare come i lupi che non lasciano indietro i più deboli, ma li mettono in testa al branco per proteggerli». Lo spazio pubblico deve essere allora connesso, accessibile, sostenibile, durevole: uno spazio per tutti. «È triste vedere marciapiedi pieni di buche dove una carrozzina non può passare o piazze vuote, senza ombra, dove puoi sostare solo se consumi».

Un esempio virtuoso è la piazza realizzata nel 2018 per la Mostra del Cinema di Venezia. Accessibile a ipovedenti e persone con mobilità ridotta, è rivestita in pietra (un materiale durevole) e dotata di un’infrastruttura invisibile che consente l’allestimento di eventi, senza essere d’intralcio nel quotidiano.  

Spazio pubblico come spina dorsale

Al centro di ogni progetto c’è la visione di spazio pubblico come bene collettivo. «È la spina dorsale dei nostri interventi. Non costruiamo prima l’edificio e poi risolviamo il verde, percorsi, panchine, lampioni, cestini come se fossero oggetti appoggiati su uno spazio residuo. L’intervento urbano si fonda sullo spazio pubblico. Gli edifici costruiscono la scena per le relazioni tra le persone e con il paesaggio».

Così a Tervuren, in Belgio, C+S ha trasformato un’ex area militare interclusa attraverso un’importante opera di rigenerazione. «Abbiamo dato priorità al parco e agli spazi tra gli edifici: uffici, residenze, hospitality». L’hotel ospita servizi accessibili a tutti, l’edilizia sociale è integrata nei complessi di lusso. «La forza dello spazio pubblico è ciò che dà valore al progetto». Anche riappropriarsi delle strade è importante per costruire comunità. «A Lovanio, d’estate, alcune vie vengono chiuse a rotazione: i bambini giocano, gli abitanti cenano fuori tutti insieme. Oggi abbiamo molte piazze virtuali, ma ritrovarsi online non è come incontrarsi di persona».

Lo stesso approccio ha guidato il progetto delle due torri a Milano: «Abbiamo ripensato l’area con uno spazio aperto, non una gated community. Perché la città deve essere un luogo di connessione, e non una somma di lotti chiusi».

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Maria Alessandra Segantini e Carlo Cappai
Photo credit per le immagini di questo articolo: © C+S Architects

Costruire con la natura

Per Segantini, negli ultimi 50 anni abbiamo consumato molto suolo e trascurato il costruito esistente. Da questa consapevolezza nasce la TranslationArchitecture, che cerca un nuovo equilibrio tra architettura e ambiente. «Dobbiamo prenderci cura del costruito, come insegna Venezia, una città senza acqua potabile, progettata come una macchina fatta di cisterne sotto i campi, che funzionava solo grazie alla manutenzione costante».

In questa visione il verde è parte integrante del sistema urbano, non decorazione. «In alcuni casi lo abbiamo mantenuto, in altri potenziato. Serve a creare ombra, abbassare la temperatura, favorire la biodiversità». E a salvaguardare altre specie. «Non siamo gli unici abitanti del Pianeta. Tanti piccoli animali vivono con noi in città: uccelli, api, insetti, scoiattoli. Perché non pensare anche a loro?». Come nella nuova piazza davanti al GAMeC di Bergamo: «Abbiamo creato un giardino inaccessibile all’uomo, con piante perenni belle tutto l’anno. Un controcanto naturale al monolite in pietra del museo, che per noi è un piccolo manifesto».

Il progetto di Peccioli, in Toscana, incarna la stessa visione: ruderi agricoli trasformati in case popolari e pixel farming per ripensare il rapporto con la terra. «L’agricoltura estensiva si è rivelata dannosa. Serve un cambio di paradigma».

Scuole circolari

Nelle città pensate da Segantini, le scuole hanno un ruolo centrale. Diventano spazi civici, culturali e sociali aperti alla comunità. «Nel 1998, con il primo progetto a Caprino Veronese, abbiamo iniziato a lavorare sull’idea che, eccetto l’aula – unico spazio privato del bambino – tutti gli altri ambienti potessero essere condivisi». È il caso della primaria di Ponzano, un edificio sostenibile con aree accessibili a tutti nel doposcuola e spazi organizzati attorno a una piazza centrale. «Il MIUR ha riconosciuto il valore di questi principi e li ha trasformati in linee guida per l’edilizia scolastica».

L’evoluzione più recente è la scuola circolare, che può essere smontata e riciclata a fine vita. «Abbiamo sviluppato un modello per ogni ciclo scolastico: infanzia, primaria, secondaria». A Venaria Reale, le nuove materne avranno ampi spazi luminosi in continuità con il giardino. A Conegliano, la scuola primaria ha una copertura che ospita gli impianti lasciando libero il piano terra, con pareti semitrasparenti e lucernari alti. «Volevamo evocare il tema della scoperta». Anche la scuola secondaria di Cervignano ruoterà attorno a una grande piazza, pensata per essere vissuta oltre l’orario scolastico. «In un contesto urbano frammentato, dove lo spazio pubblico è spesso assente o debole, la scuola diventa uno spazio centrale per la socialità. Per questo le chiamiamo le “piazze delle periferie”». 

Una costruzione collettiva

Alla base di ogni progetto, il dialogo. «Con gli open tables coinvolgiamo clienti, enti, tecnici. Costruiamo un piccolo viaggio insieme fin dal primo giorno». Il coinvolgimento riguarda anche le comunità, con diverse iniziative di condivisione e partecipazione attiva. A Ponzano, il progetto della scuola è stato raccontato ai bambini con una favola illustrata. A Chiarano, è stato messo in scena uno spettacolo teatrale. «Un nuovo edificio è un evento nella vita della comunità, ecco perché è importante costruirlo insieme».