Per la rubrica “Unstoppable Women” intervista a Chiara Corazza, Rappresentante per la Francia nell’ambito dell’Empower Alliance del G20 e membro del Consiglio consultivo per l’uguaglianza di genere del G7: «La vera pari opportunità è poter scegliere, è libertà»
«Quando ero piccola le bambine volevano fare le infermiere o le maestre, prendersi cura degli altri. Oggi dobbiamo spiegare alle più giovani che se vogliono curare è meglio che studino per diventare scienziate e inventare il prossimo vaccino». Chiara Corazza è Rappresentante per la Francia nell’ambito dell’Empower Alliance del G20 e membro del Consiglio consultivo per l’uguaglianza di genere (GEAC) del G7. Nata a Parma, cresciuta a Roma, da quasi 40 anni vive a Parigi. Come Direttrice degli Affari Internazionali della Regione Grand Paris, negli anni ‘90 ha avviato progetti di cooperazione e sviluppo in diversi Paesi, inclusa una delle prime scuole di informatica in Vietnam. Lo scorso novembre ha partecipato alla prima edizione italiana del Women Economic Forum (WEF), un’occasione di confronto su uguaglianza di genere ed empowerment femminile.
Secondo i dati del World Economic Forum, ci vorranno 131 anni per colmare il gender gap a livello globale. Perché così tanti?
È prima di tutto una questione di mentalità e stereotipi che arrivano da lontano. L’aspetto positivo è che negli ultimi anni ci sono stati cambiamenti enormi. In occasione del WEF all’Università Luiss, mi sono trovata nei locali della mia vecchia scuola: era un istituto per sole donne, dove seguivamo corsi di economia domestica. Pensate a quanti progressi abbiamo fatto. Sono ottimista per il futuro. Sempre più capi di stato, politici e imprenditori si rendono conto che le pari opportunità servono a tutti.
Come possiamo accelerare il cambiamento?
Facciamo parlare i numeri. Oggi il tasso di occupazione femminile nel mondo è del 52,6% e le donne contribuiscono al PIL globale solo per il 34%. Se uomini e donne avessero lo stesso ruolo nella vita economica, il PIL potrebbe aumentare del 26% all’anno. Si potrebbero recuperare 28 trilioni di dollari (dati Ocse). Lasciare metà del Pianeta indietro non conviene. Il divario di genere non è solo questione di ineguaglianze ma anche di economia. Così, in India, il premier Modi ha lanciato un piano di finanziamenti per la formazione di 400.000 ingegnere all’anno, non perché sia il più grande femminista sulla Terra ma perché prevede che questo porterà a una crescita per il Paese del 7%. Le pari opportunità sono indispensabili per rispondere alle sfide del presente.
Qual è lo scenario attuale?
Siamo in una situazione di policrisi. Crisi demografica, economica, sociale. La discrepanza di natalità tra nord e sud del mondo è evidente. In Africa 100 milioni di giovani arriveranno sul mercato del lavoro nei prossimi anni. Solo il 30% degli Stati è democratico. C’è un’inflazione galoppante. A tutto questo si aggiungono i problemi di sicurezza: una guerra alle nostre porte, il conflitto a Gaza, che assume proporzioni geopolitiche incredibili. E poi l’urgenza climatica, che non possiamo ignorare. Al contempo stiamo vivendo una rivoluzione tecnologica che avrà grande impatto: l’85% dei lavori saranno inventati o reinventati nei prossimi 4-5 anni. L’unica certezza che abbiamo è che saranno legati alle STEM, campi in cui non ci sono abbastanza donne.
Cybersecurity, AI, coding?
Nel settore cybersecurity, dove si contano 5 milioni di posti di lavoro disponibili adesso, le donne sono appena l’11%. Le ingegnere sono il 20%. Gli uomini sono bravi, ma non bastano. Stesso problema con l’intelligenza artificiale. Le donne che ci lavorano sono il 22%. Gli algoritmi, creati generalmente da uomini, riproducono stereotipi e bias di genere. Una conseguenza? Abbiamo un’affidabilità di quasi il 99% nel riconoscimento facciale degli uomini bianchi e di appena il 34% delle donne di colore.
Come attirare più ragazze nei mestieri STEM?
Bisogna iniziare da famiglia e scuola. La competenza non ha genere e non c’è alcun motivo per cui il talento femminile non si possa esprimere. In questo l’Italia non è in ritardo: grazie alla sensibilizzazione sul tema, alle borse di studio dedicate, è aumentato il numero di iscritte ai corsi STEM. In altri Paesi c’è il cosiddetto “paradosso di genere”.
Che cos’è?
Faccio un esempio. In Iran, dove molti diritti sono negati, c’è un 65% di donne ingegnere. Le ragazze iraniane non possono diventare magistrate o avvocati, la loro libertà è limitata, studiare certe materie è l’unica strada per trovare lavoro e avere un’indipendenza. Per motivi simili in Malesia il 50% delle donne ha una formazione matematica.
Anche lei ha un progetto sulla formazione. Ce lo racconta?
Sto lavorando per creare un istituto per la leadership inclusiva in cui si insegni matematica, cybersecurity, management e finanza, per tutte le generazioni, dai 18 ai 100 anni, con corsi di formazione personalizzata, upskilling e cross-skilling. Sarà aperta a tutti perché la diversità è ricchezza.
Quali sono gli ostacoli alla leadership femminile?
Non credo esista una leadership femminile o maschile. La leadership è avere visione, sapere dove si va e portare gli altri con sé. Che tu sia donna o uomo. Il problema è che storicamente non abbiamo avuto la stessa educazione che ci dice che meritiamo tanto e possiamo arrivare ovunque. Agli uomini hanno insegnato fin dalle caverne che devono portare da mangiare a casa. Le donne scelgono una carriera più in funzione della purpose. Allora spieghiamo che sono le STEM che permettono di lavorare per la purpose, di avere pari opportunità, di diventare Ceo. In Francia, per esempio, ci sono tre donne a capo di tre aziende del CAC 40 (il principale indice della Borsa di Parigi), Orange, Veolia e Engie. Sono tutte laureate al Politecnico.
Qual è il ruolo delle istituzioni?
Gli Stati dovrebbero ripartire meglio i soldi pubblici. Sono una grande fautrice del gender lens investing adottato già da alcuni fondi sovrani, come il fondo norvegese che investe in imprese in funzione di quanto rispettano la parità di genere, e del gender lens negli appalti pubblici. La legge italiana è una delle più avanzate in materia. Pensiamo che nel mondo ci sono 247 milioni di imprenditrici e meno dell’1% accede ad appalti. Senza fare quote rosa, iniziamo però a escludere le imprese che non rispettano la legge, l’uguaglianza di salari e le pari opportunità, e diamo punti supplementari alle aziende virtuose. Abbiamo bisogno di leggi anche per la leadership.
Servono le quote rosa?
Sì. Nel mondo non c’è un solo Stato, neanche tra i più avanzati, in cui la percentuale di donne nei consigli di amministrazione sia superiore al 25% se non ci sono le quote. In futuro spariranno, ma intanto ci permettono di preparare quell’indispensabile vivaio di donne in seno alle imprese. Sono un acceleratore. È chiaro che devono corrispondere al merito, devono spingere le imprese a reclutare le donne in modo paritario, non perché donne ma perché competenti.
Qual è la vera pari opportunità?
È poter scegliere, è libertà. Oggi c’è una pressione sociale per cui se non lavori non sei emancipata o sei una fallita. Ognuno invece deve avere il diritto di scegliere, le stesse opportunità di fare o non fare.
C’è una donna che l’ha ispirata nella sua carriera?
Ho avuto la fortuna di lavorare con Christine Lagarde, una donna determinata, la prima a capo della Banca Centrale Europea. Ma sono tanti gli esempi che possono ispirare. Ho un’amica che è nata in un villaggio indiano, a 14 anni ha perso la madre, il padre voleva che si sposasse. Lei lo ha convinto a farle seguire un corso di Computer Science. Il risultato? Si è laureata, è diventata la numero uno di Facebook a Singapore e oggi è la Managing Director di Meta in India. Queste donne dimostrano che puoi farcela, qualsiasi sia la tua condizione di partenza. Se impari le cose giuste, puoi cambiare la tua vita e avere un impatto.