Scoprire una proprio foto intima on line, messa lì senza consenso, sta toccando a migliaia, migliaia di donne ignare di essere esposte su siti dove moltitudini di immagini di corpi femminili, il più delle volte nudi, sono frammentati in parti isolate, classificate, catalogate e commentate da parole sconce, umilianti, violente. Dentro quei cataloghi sono finite politiche di primissima linea, attrici, soubrette, dirigenti d’azienda, studentesse, mogli e fidanzate che non sapevano; a sfogliarli, centinaia di migliaia di uomini comuni (e, sì, anche qualche donna), colleghi, vicini, padri di, mariti di, che hanno offerto al gruppo persino foto delle compagne affinché suscitassero pulsioni e il gruppo ne godesse.
Il successo in rete di un tale campionario di orrori e simili ha ragioni che non è difficile trovare: è perché manca il consenso di chi si vuole guardare che guardare piace di più, è perchè si guarda insieme, in visione collettiva, che umiliare soddisfa così, ed è perché si è anonimi, irriconoscibili e perciò irresponsabili che si ripete all’infinito lo scempio – che in alcune condizioni è reato – con la leggerezza della goliardia.
La violenza non è meno grave se colpisce corpi digitali
Ma questa goliardia non è, è violenza. La violenza non è violenza o è meno grave se colpisce corpi digitali, anziché in carne e ossa. Anzi, è talmente capillare e potente, la violenza in rete, che il codice penale si è concentrato proprio qui, sui comportamenti aggressivi on line, e ha continuato ad aggiornare la normativa, per tutelare e proteggere vittime che l’evoluzione tecnologica mette sotto scacco attraverso opzioni sempre nuove e che la memoria eterna del web condanna a un’esposizione via via rilanciata e moltiplicata, che può non finire mai.
I costi della violenza sono veri, reali, enormi
I costi della violenza esercitata sulle donne attraverso la tecnologia sono veri, reali, enormi e finiscono per rendere impossibile la vita anche fuori da lì e persino – conosciamo i casi – per distruggerla. La dimensione digitale sta diventando la prateria di chi, coprendosi con l’anonimato del web, vendica sul web la frustrazione di perdere terreno rispetto a donne che non stanno più alle sue regole. È necessaria, è urgente una risposta forte, collettiva, perché le norme non bastano e perché si avverte, nel perdurare della violenza di genere – in tutte le forme in cui si esprime, compresa quella digitale – una silenziosa accettazione collettiva: ovvero la considerazione, inconscia o meno, che la violenza di genere sia la quota tollerabile di violenza che un sistema dove le donne si stanno assumendo autonomie, libertà, responsabilità prima negate deve, tutto sommato, prevedere.
Dietro l’inganno di chi si ritrova mostrata nuda sul web da una figura intima senza saperlo e volerlo – magari riconoscendosi dalle fattezze del comodino (è successo) -, muore ogni possibilità di relazione a due. Ma dentro i miserabili supermercati della carne on line, in cui si ripete il copione di chi caccia e di chi è preda e l’intimità femminile è degradata a spettacolo da condividere, rischia di morire, più in generale, l’idea che sia possibile che le relazioni tra uomini e donne prendano definitivamente la direzione dell’empatia e del rispetto.