Per molti anni ho voluto credere che la difformità fra i nostri comportamenti in Rete e quelli nella vita reale fosse superabile dentro un graduale adattamento. Il medium era importante e selvatico, andava cavalcato meglio, piano piano avremmo imparato. Ma questo è successo solo in parte, complice anche la nuova grande massa di utenti, con una cultura di rete ancora inferiore a quella dei vecchi neofiti, nel frattempo sopraggiunta. E per amore di complessità andrà sottolineato che nel medesimo periodo perfino l’educazione social nelle piazze e nei bar del mondo reale sembra essersi a sua volta contratta.
Ripeto sempre, fino a sgolarmi, che i commenti che leggiamo in Rete non sono il sentire comune, nemmeno delle persone che hanno letto quella medesima notizia. La maggioranza di questi lettori, semplicemente, non l’ha commentata: di loro poco sapremo. I miserabili che attaccano in Rete una madre dentro una tragedia gigantesca non sono “il popolo della rete”: sono una minoranza trascurabile e non rappresentativa di niente. Quella minoranza però racconta cose di tutti noi e sono cose spiacevoli e fastidiose.
Raccontare il miserabile e il fastidioso è da sempre uno dei tratti culturali di Internet. Il miserabile e il fastidioso, a scanso di equivoci, esistevano anche prima e sono parti di noi. Da quando esiste la Rete quelle parti hanno ottenuto un luogo di stabile residenza.