Tutto pronto per la quotazione, ma i Fondi hanno deciso di sfilarsi all’ultimo minuto. Perché?
La quotazione alla Borsa di Londra di Deliveroo non sarà eclatante come sperato per l’ex startup. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg e confermato un’ora fa dalla stessa Deliveroo, il prezzo iniziale che, come annunciato dalla stessa compagnia doveva godere di una forchetta compresa tra 3,9 e 4,6 sterline (tra 4,57 e 5,39 euro), si è ristretta ad un massimo di 3,90 euro, portando il livello massimo della capitalizzazione da 8,8 a 7,59 miliardi di sterline (da 10,32 a circa 9 miliardi di euro).
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In base a quanto indicato nel prospetto informativo dell’offerta pubblica, Amazon, titolare di azioni di classe A, ridurrà la propria quota dal 15,8 all’11,5%, con diritti di voto al 5,2%, mentre il fondatore Will Shu, unico titolare di azioni di classe B, salirà dal 6,1 al 6,3%, con diritti di voto al 57,5%.
Perché i Fondi scappano a pochi giorni dal salto in Borsa di Deliveroo?
Non è passato inosservato il fatto che asset manager del calibro di Legal & General Investment Management M&G Investments, Aberdeen Standard Investments e Aviva Investors siano rimasti a fischiettare sull’uscio, senza scommettere sul colosso della gig economy. Questo ha influito ovviamente sul prezzo di quotazione e potrebbe pure influenzare il debutto in Borsa di Deliveroo.
Ma perché i fondi non stanno credendo nell’operazione? Pare principalmente per motivi ‘etici’. Fa sorridere che proprio i Fondi di investimento tirino in ballo l’etica, ma anche loro tengono all’immagine, non a caso stanno aumentando gli investimenti nel green, distogliendoli da chi non si converte alla causa ambientalista. Allo stesso modo, opererebbero un “green washing” declinato in base ai diritti dei lavoratori, preferendo non investire in chi è tuttora al centro delle polemiche per come lavorano i rider.
Ma ci sarebbero anche motivi ben più pragmatici: in primis, non sfugge agli investitori che sempre più Paesi membri dell’Unione europea si muovono per tutelare i corrieri. Se dovranno essere assunti e inizieranno a godere di vari tipi di benefit, il modello di business proposto finora potrebbe iniziare a vacillare. Il secondo motivo riguarda la struttura dell’operazione: il Ceo Will Shu ha di fatti optato per un modello statunitense piuttosto mal visto in Europa (tanto che la Borsa di Londra le vietava, ha iniziato ad ammetterle soltanto ora per attrarre capitali post Brexit) che divide le azioni per classi, con differenza di peso in assemblea. Lui manterrà quelle di Classe B, che per i primi 3 anni daranno 20 voti a cedola, mentre quelle sul mercato, di Classe A, danno diritto a un voto ciascuna. Così Shu si è messo al riparo da scalate ostili e potrà mantenere il controllo della compagnia pur detenendo solo il 6,3% del capitale.