C’è una strada sola da seguire per le imprese e le startup che vogliono entrare nel futuro e trovare il proprio ruolo nel mondo: si chiama innovazione sostenibile ed è lastricata di tentativi coraggiosi, costante apprendimento di nuove competenze e riduzione delle emissioni climalteranti.
Per procedere spediti verso la destinazione, l’open innovation, i progetti di co-innovazione, la formazione, il trasferimento tecnologico e il supporto metodologico sono le coordinate più affidabili per orientarsi nella complessità. Le stesse coordinate seguite da Joule, la Scuola di Eni per l’impresa, per diffondere le attività di supporto imprenditoriale in tutto il mondo, creando nuove catene del valore solidali ed ecocompatibili.
Ne abbiamo parlato con Mattia Voltaggio – Head of Joule, la Scuola di Eni per l’impresa: strategia, direzione e give-back con il mondo delle startup. Ma anche una valutazione dell’ecosistema italiano dell’innovazione, tra conquiste realizzate e obiettivi da raggiungere.
Passato, presente e futuro: anni intensi e obiettivi chiari. Qual è la direzione di Joule?
È quella ribadita dal nostro Amministratore Delegato nel corso dell’ultimo Capital Market Day: obiettivo net zero per tutti i prodotti e processi al 2050. Le attività di Joule seguono questa linea: crediamo nella transizione energetica e siamo convinti che anche le startup possano collaborare con le grandi aziende per migliorare il futuro del Pianeta. Durante la pandemia abbiamo offerto il nostro contributo al sistema Paese e agli imprenditori sostenibili. Oggi siamo entrati in una fase nuova adottando una prospettiva in grado di portare maggiore valore ad Eni soprattutto in termini ESG. Ci siamo dotati di una struttura che si occupa di misurare e rendicontare dal punto di vista quantitativo l’impatto sociale e ambientale delle nostre attività.
Evoluzione che conduce a una definizione: come descriverebbe Joule, oggi?
Siamo un’unità di open innovation di Eni posizionata nell’area organizzativa che si occupa del capitale umano. Il lavoro di accelerazione delle startup che abbiamo realizzato fino ad oggi si integra con il concetto di intrapreunership che punta a trasferire ai 30mila dipendenti di Eni un mindset imprenditoriale che li stimoli a diventare abilitatori dei processi innovativi.
Qual è il vostro approccio di lavoro con le startup?
Rispetto alle altre anime di open innovation presenti in azienda e che si occupano di startup ad elevato tasso di maturità e che entrano in rapporto con Eni secondo un modello “venture client” – Joule ha nella propria mission quella di lavorare con startup early stage, a basso livello di maturazione tecnologica (TRL – Technology Readiness Level). Questo segmento è molto stimolante e offre considerevoli vantaggi in termini di compartecipazione alla fase di ricerca e sviluppo. Perciò abbiamo coinvolto i nostri colleghi della divisione Research and Development (R&D) di Eni nei processi di open innovation per aiutarci a trasferire tecnologie e competenze alle startup che selezioniamo.
E poi ci sono le contaminazioni virtuose delle competenze…
Esatto. Alfabetizzare all’innovazione significa estendere il perimetro di innovazione oltre le tecnologie e guardare anche alle persone. Abbiamo tante divisioni aziendali di business che chiedono di lavorare con le startup; ma questo percorso richiede molta agilità mentale. In tal senso l’open innovation ci aiuta favorendo lo scambio delle conoscenze e il confronto tra mindset differenti anche nelle famiglie professionali che meno colleghiamo al concetto di innovazione ma che giocano invece un ruolo decisivo. Penso agli avvocati, ai buyer, agli esperti di compliance aziendale che vengono in contatto con le nostre startup e si abituano ad esperire le loro competenze in contesti caratterizzati da grande incertezza. L’estensione temporale dei progetti è molto breve, il futuro è tutto da immaginare, sperimentare e costruire. Perciò i nostri professionisti trasferiscono competenze, ma al tempo stesso acquisiscono reattività e dinamismo, qualità non sempre diffuse all’interno di grandi aziende complesse.
In che modo Joule partecipa agli obiettivi di Eni inerenti alla neutralità carbonica?
La strategia di Eni verso Net Zero supportata da un piano di crescita e trasformazione industriale prevede nel 2050 l’azzeramento netto di tutte le emissioni e il raggiungimento degli scope GHG associati all’intera catena del valore. Joule è una delle leve strategiche dell’azienda e contribuisce a raggiungere questo obiettivo, realistico e ambizioso. Concretamente stiamo lavorando per fare in modo che i futuri fornitori di Eni e della supply chain energetica adottino modelli di business zero carbon. Li supportiamo nella trasformazione del loro modello imprenditoriale con effetti positivi per l’ambiente e la società. Un lavoro lungo, progressivo, difficile ma siamo sulla strada giusta.
Come immagina Joule nel futuro?
La nostra vocazione internazionale sarà sempre più spiccata. Stiamo attivando nuove filiere in diversi Paesi africani supportando l’imprenditoria locale per creare una nuova catena del valore e abbattere le emissioni nocive per l’ambiente. Basti pensare al contributo di Joule al lavoro di Eni negli agri-hub per la bioraffinazione. A tendere dovremmo presidiare diversi Paesi, attivare incubatori locali, favorire lo sviluppo degli ecosistemi innovativi e delle attività imprenditoriali. Inoltre, Joule si confermerà un importante abilitatore di tante funzioni che generalmente non vengono collegate al concetto di innovazione, ma possono contribuire a rendere innovativi i prodotti e i servizi.
Giovedì 13 luglio (ore 17) durante la LIVE sui canali social di StartupItalia parleremo dei progetti all’estero di Joule per supportare lo sviluppo degli ecosistemi innovativi e decarbonizzati
Dal mondo stringiamo il focus sull’Italia: come valuta l’ecosistema dell’innovazione del nostro Paese?
Molta strada è stata fatta ma ci sono delle aree dove è necessario migliorare. Nei Paesi più avanzati i volumi di investimenti sono molto più grandi dei nostri e la cultura dell’innovazione si tramanda da generazioni. In Italia siamo agli inizi, il Fondo nazionale innovazione è stato avviato solo nel 2019, perciò dovranno trascorre ancora alcuni anni prima di poter fare una valutazione matura dell’ecosistema italiano.
Come si deve intervenire?
L’open innovation classica deve necessariamente evolvere e le startup vanno messe in contatto non più solo con un’azienda, ma con tutte le filiere produttive di riferimento. Inoltre, dobbiamo lavorare sulle aggregazioni e connettere i diversi player dell’innovazione, facilitando l’incontro e il lavoro comune tra soggetti pubblici, privati e università. Anche l’eccessiva proliferazione territoriale dei centri dell’innovazione rappresenta un problema; dovremmo aggregare in grossi hub territoriali le attività, come succede in Silicon Valley, Israele, Berlino e Olanda. In Italia servirebbero tre grandi distretti, nord centro e sud. Da qui prevedere eventuali spoke territoriali.
Vi state attivando in tal senso?
Eni ha commissionato a Joule il Project Management Office del progetto ROAD – Rome Advanced District con l’obiettivo proprio di accorciare la distanza tra aziende, istituzioni, imprenditori e università. ROAD è uno spazio situato a Roma, aperto e inclusivo per favorire l’innovazione sostenibile tra player differenti. Un luogo per attrarre soggetti pubblici e privati in ottica di filiera, punto di riferimento per eventi e attività di education dove praticare sperimentazione creativa, trasferimento tecnologico e condivisione di idee.