È il Paese al mondo con la più alta densità di startup e la più alta percentuale di PIL per R&D. Ora che impatto avrà la guerra per uno degli ecosistemi più dinamici? Intervista al VC Jonathan Pacifici. «Nel Paese investiti 50 miliardi di euro negli ultimi tre anni»
«C’è una parola in ebraico che ben descrive il mondo startup israeliano: hutzpa. Potremmo definirla come una sorta di arroganza giustificata, senza complessi di inferiorità rispetto ai giganti». Jonathan Pacifici è un investitore e venture capitalist che vive a Gerusalemme dal 1997. Nato a Roma da famiglia di ebrei italiani, è sopravvissuto da bambino alla strage nella Sinagoga della Capitale nel 1982. In un momento drammatico per il Medioriente, dove l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso ha provocato la reazione bellica da parte di Israele, sui nostri canali cerchiamo di raccontare quel che accade in uno dei Paesi più innovativi al mondo, tenendo sempre conto delle conseguenze devastanti della guerra per le popolazioni civili. Mentre scriviamo la situazione nella Striscia di Gaza continua a peggiorare, con milioni di palestinesi che cercano di mettersi in fuga in attesa di una operazione di terra israeliana che, al momento, sembra meno probabile. Nelle scorse ore la strage all’ospedale di Gaza ha lasciato sgomenti per l’ennesima carneficina. Oggi, 18 ottobre, è attesa la visita in Israele del Presidente USA Joe Biden. Come vive il Paese questo momento storico e come si stanno comportando investitori, founder e imprenditori di fronte a quanto avvenuto? Lo abbiamo chiesto al general partner di Sixth Millennium, fondo di Venture Capital focalizzato su startup early stage.
Un Paese in guerra
«Quanto accaduto il 7 ottobre ci ha sorpresi non soltanto da un punto di vista militare – ha spiegato Pacifici -. Tutta Israele veniva da un lungo periodo di festa. Dopo un momento di iniziale sgomento devo dire che il Paese ha reagito come sa sempre fare. Le mie tre figlie stanno dando una mano come volontarie. C’è sicuramente aria di tensione, ma c’è anche grande fiducia». Su StartupItalia ci siamo più volte occupati di Israele, parlando di uno Stato divenuto centro di innovazione – dalla cybersecurity all’agritech – in un contesto geopolitico complesso. Se la Francia di Macron è la startup nation, Israele potrebbe essere definito come scaleup nation. Ma prima di analizzare numeri alla mano il contesto, ci siamo fatti raccontare da Pacifici anche un elemento sociale/culturale imprescindibile per cercare di afferrare il sentimento degli israeliani in questo momento.
Nel 1997 Jonathan Pacifici si è trasferito a Gerusalemme, e ha iniziato a studiare management proprio negli anni in cui iniziava a svilupparsi quel fenomeno startup. Nel corso dell’intervista ha confidato che da bambino, subito dopo essere scampato all’attentato del 1982 a Roma, all’Ospedale Bambin Gesù diceva che sarebbe andato in Israele. Almeno così gli hanno raccontato i suoi genitori. «Israele è sicuramente un posto di sicurezza anche psicologica per gli ebrei di tutto il mondo. Una garanzia che dopo la Shoah non ci sarà mai più lo sterminio del suo popolo». Inevitabile la domanda su quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, dove milioni di civili sono intrappolati, rischiando ogni istante di morire sotto le bombe israeliane. «Con un nemico che ti vuole sterminare e lo dice apertamente hai l’imperativo di difenderti. Israele sta dicendo a tutti i civili di spostarsi verso sud, ma i posti di blocco di Hamas impediscono loro di spostarsi. Di fronte al nazismo, gli alleati hanno raso al suolo Amburgo e Dresda con bombardamenti a tappeto. È uno scontro di civiltà».
Israele e l’innovazione
Non si poteva non citare queste considerazioni, soprattutto per la loro franchezza. Nella speranza però che le bombe cessino di cadere e i civili vengano messi al sicuro, spostiamo il nostro ragionamento sul presente e sul futuro di Israele, un Paese che sembra aver messo da parte le divisioni interne, anche per quanto riguarda i contrasti tra startup e governo. «Tutto è svanito dopo il 7 ottobre – ha spiegato Jonathan Pacifici -. Vedo compattezza in tutto l’ecosistema». Superate dunque – o sospese – le divisioni che hanno visto scendere in piazza diversi imprenditori nei mesi scorsi contro la riforma della giustizia voluta dal premier Netanyahu, come si presenta il comparto startup di un Paese in guerra? «Negli ultimi tre anni sono stati investiti 50 miliardi di dollari in società tech. Nel 2021 abbiamo cubato 84 miliardi di exit e sono nati circa cento unicorni. Parliamo comunque di un Paese con 9 milioni di abitanti».
Ma quali sono le ragioni che hanno reso possibile tutto questo? «La nostra legacy è la supremazia del valore dello studio, siamo un popolo per cui la conoscenza è sacra e rapporto con il divino. Abbiamo università avanzate ed estremamente pratiche». A questo proposito Jonathan Pacifici ha citato il caso di Mobileye, startup specializzata nella tecnologia della guida autonoma acquisita nel 2017 da Intel per oltre 15 miliardi di dollari. «In un altro contesto il professore dietro a quegli algoritmi probabilmente sarebbe rimasto a fare ricerca». C’è poi il collegamento tra startup, innovazione ed esercito, in uno Stato dove il servizio militare dura tre anni per gli uomini e due per le donne. «Parliamo di un esercito che fa della supremazia tecnologica uno dei suoi cardini. L’Iron Dome è il sistema antimissile che ci protegge da una carneficina, intercetta il 95% dei missili». L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha tuttavia mostrato anche tragiche lacune. «Sta infatti emergendo che probabilmente c’è stata un’eccessiva dipendenza dai sistemi informatici. E questo ha creato una falla o un’eccessiva confidenza rispetto alla tenuta del confine con Gaza. Negli ultimi giorni l’esercito ha però accelerato un sistema sperimentale che è il Laser Dome».
Jonathan Pacifici ha aggiunto che con l’esercito stanno collaborando anche diverse startup. Alla luce degli ultimi avvenimenti diverse aziende si sono messe a disposizione per ritrovare gli ostaggi catturati da Hamas sfruttando algoritmi e intelligenza artificiale. «Nella forma mentis il Paese è orientato al problem solving». Nel corso dei decenni Israele ha poi attirato i fondi VC più importanti al mondo. «E un altro elemento che mi sembra fondamentale è la prossimità all’exit: qui tutte le Big Tech sono in pianta stabile. Google e Microsoft hanno fatto decine di acquisizioni di aziende che hanno poi cementato nei propri laboratori».
La geografia delle startup israeliane
Nella startup nation di Israele la geografia vede senz’altro in Tel Aviv la sua capitale. «Ma parliamo comunque di un Paese piccolo. Gerusalemme dista 32 minuti in treno. Be’er Sheva, più a sud, è specializzata nella cybersecurity grazie alla presenza del Politecnico e alla partnership con l’esercito. E poi c’è Kiryat Gat, soprannominata Intel city. La multinazionale USA impiega 12mila persone e 50mila con l’indotto: è il primo datore di lavoro del Paese». Numeri peraltro destinati a crescere visto il piano di investimento da 25 miliardi di dollari annunciato in giugno.
Con numeri simili è evidente l’ordine di grandezza dell’ecosistema israeliano. Settore che non è disinteressato rispetto a quanto sta accadendo. Come abbiamo scritto su StartupItalia diversi imprenditori e investitori hanno deciso di boicottare il Web Summit di Lisbona (in calendario a novembre) dopo la serie di post su X del Ceo Paddy Cosgrave, nei quali accusava Israele di commettere crimini di guerra. «Si tratta di un modo per alienarsi una fetta consistente dell’ecosistema – ha commentato Jonathan Pacifici -. Credo sia possibile abbiano pesato le sponsorizzazioni dal Qatar in queste prese di posizione». Nel frattempo Cosgrave ha firmato un messaggio di scuse. Gli avvenimenti di queste ore e dei prossimi giorni potrebbero peggiorare la situazione geopolitica in Medioriente. Che speranze ci sono per il futuro? «Secondo me siamo di fronte a un fenomeno regionale, che non riguarda solo Israele e Gaza. Nel mondo arabo c’è un’ondata di innovazione e una grande voglia di occidente. Resto ottimista per il futuro di Israele, meno per i popoli arabi».