Il Mise ha trasmesso al Parlamento la relazione 2016 sull’ecosistema startup (e Pmi innovative). Stefano Firpo lo ha riassunto in 40 slide e illustrato a operatori e investitori. Sommate tutte insieme, le startup italiane fatturano poco meno di 600 milioni
C’è il primo rapporto ufficiale con tutti i numeri, reali, dell’ecosistema startup italiano. Quante sono le startup censite, quanto fatturano, quanti i posti di lavoro generati, quante quelle che riescono realmente a scalare. La “certificazione” arriva direttamente dal Ministero dello Sviluppo Economico, o meglio, dalla relazione (229 pagine, stilate incrociando i dati, tra gli altri, di Consob, Fondo Italiano d’Investimento, Infocamere, Agenzia Entrate, Cdp, Banca d’Italia, Istat, Invitalia Ventures) che il Ministro Carlo Calenda ha inviato al Parlamento. A illustrarne i contenuti, ospite di Luigi Capello nella nuova sede dell’acceleratore romano Luiss Enlabs, è Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale, la competitività e le Pmi del Mise.
2012-2016: lo startup dell’ecosistema startup
Sono trascorsi 4 anni dalla prima legge italiana sulle startup, il cosiddetto Dl Crescita 2.0, varato dall’allora Ministro allo Sviluppo economico Corrado Passera.
E’ quello che Firpo definisce lo “Startup Act”, infatti prima di allora molte delle misure che hanno contribuito a creare l’ecosistema non esistevano, o erano comunque poche e disomogenee. Startup Act perché ha rappresentato, idealmente, il tasto “On”, lo startup delle startup. Quattro anni. Come il ciclo di vita di una startup (anche se con l’Investment Compact la permanenza nella sezione speciale del registro è stata aumentata di un anno). Tempo quindi per il Mise di condividere risultati e aspettative con chi l’ecosistema ha contribuito e contribuisce a farlo crescere.
Quanto fatturano le startup (e quanto lavoro danno)
Secondo il rapporto del Mise, in Italia la somma della forza lavoro prodotta dalle startup è di 35mila addetti, una media di 3-5 persone per azienda. L’occupazione, tra soci e dipendenti, è cresciuta rispetto allo scorso anno del 44,8%.
C’è ancora da fare sul campo della policy. 50 milioni in 4 anni hanno generato un ecosistema che tutto insieme non raggiunge ancora il miliardo di fatturato, ma poco più della metà. Calcolato sul 60% delle startup iscritte al registro, infatti, il fatturato rispetto ai bilanci 2015 vede una produzione complessiva pari a 584 milioni, che è comunque, numero più numero meno, il doppio rispetto al 2014 (+260 milioni). In utile 4 startup su 10 (il 42,8%), e il capitale complessivo dell’ecosistema è pari a 351 milioni di euro.
“Sopravvive il 95% delle startup”. Anche se…
E un ragionamento a parte meriterebbe il cosiddetto “tasso di mortalità” delle startup. Per il Mise, il 95,1% delle startup costituite 3 anni fa sono ancora attive, mentre solo 160 sono quelle che sono cessate negli ultimi 18 mesi.
Anche se. Anche se, va detto, delle 6.745 startup registrate al 31 dicembre 2016 (il 31% in più del 2015, il 112% rispetto al 2014), è davvero difficile anche solo giornalisticamente (senza quindi entrare nel merito di reali valutazioni finanziarie e di mercato) poterne considerare degne di attenzione poche più di qualche centinaio. Ma tutto questo, dicevamo, merita un ragionamento a parte, che in parte su StartupItalia! abbiamo già contribuito a fare in chiusura dello scorso anno, intervistando diversi protafonisti dell’ecosistema italiano, e che contiamo di riprendere presto, anche con lo stesso Firpo.
La distribuzione delle startup regione per regione
Tornando ai numeri, anzi, alla geografia, il Nord detiene più della metà dell’offerta italiana. La regione con il maggior numero di startup è la Lombardia, dove operano il 21,7% delle startup italiane. Seguono l’Emilia Romagna (11,9%), il Lazio (10,1%) e il Veneto (7,5%). E sono 13 le province italiane con più di 100 startup distribuite all’interno del proprio territorio.
Cosa è stato fatto nel 2016
Nel corso del suo speech iniziale, Firpo ha elencato le novità introdotte nel corso dello scorso anno. Misure importanti, che contribuiranno certamente a ridisegnare e riorganizzare l’intero comparto startup. O comunque a favorirne la crescita. Dalla nuova modalità di costituzione online con l’esonero dell’imposta di bollo (180 nuove startup costituite online), agli incentivi per chi investe in startup, innalzati al 30%, all’introduzione della possibilità, per le startup, di cedere le perdite ad aziende quotate definite “sponsor”.
E poi le misure che potrebbero essere definite di “indotto”, ad esempio il super ammortamento e l’iper ammortamento previsti dal Piano per l’Industria 4.0, i Piani Individuali di Risparmio (Pir), il nuovo regolamento e le misure sull’equity crowdfunding, iniziative come il Fondo Itatech da 200 milioni del gruppo Cassa Depositi e Prestiti.
Il problema della domanda (leggi, le corporate e l’hype dell’open innovation)
«Ma c’è ancora di più da fare», ha ammesso il dg del Mise, che dopo aver passato in rassegna anche i “casi di successo”, le startup che stanno scalando di più (Talent Garden, MoneyFarm, Movendo Technology, Musement, tra le altre), lancia una provocazione diretta: «Non è un problema solo di “offerta” delle startup, che hanno comunque una crescita lenta. C’è un problema di domanda di innovazione».
Il convitato di pietra sono le corporate, sia in termini di corporate venture capital che, soprattutto, di open innovation. Grandi aziende grandi assenti nella partita dell’innovazione, dunque, il filo conduttore che ha accompagnato gli interventi del talk successivo alla presentazione di Firpo. A rispondere alle domande del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, c’erano l’Ad del Fondo Italiano d’Investimento, Carlo Mammola, il Ceo di Invitalia Ventures, Salvo Mizzi, il founder di Pi Campus, Marco Trombetti ed Ernesto Ciorra, direttore Innovazione e sostenibilità di Enel.
Mizzi: «Una cabina di regia sul venture capital»
«Sposo il “lodo Firpo”, bisogna parlarci chiaro. Il concetto italiano di open innovation è molto “esoterico”. Ci sono dei problemi, li stiamo mettendo in fila. Andiamo al punto e cerchiamo di risolverli rapidamente», ha detto Mizzi, proponendo anche «una cabina di regia (sui capitali di rischio, ndr) per rompere il silenzio».
Trombetti: «Servono incentivi per acquisire startup»
Marco Trombetti, proponendo la creazione di «incentivi per l’acquisizione di startup» chiede, provocatoriamente, agli oltre 100 partecipanti all’evento «quante tra le startup presenti valgono più di 100 milioni?». Nessuna mano alzata. «Quanti, allora, tra i presenti – chiede il Ceo di Translated – hanno lavorato o lavorano in società che valgono più di 100 milioni?», abbassando l’asticella delle pretese. Gli unici ad alzare la mano sono Ciorra e Mammola.
Ciorra: «Troppe parole sull’open innovation»
Il manager di Enel punta il dito dritto contro le corporate: «prenderei le prime cento aziende italiane e le porterei per una settimana negli Stati Uniti, così smetterebbero di parlare di open innovation e inizierebbero a fare». Anche solo sul fronte dei fornitori, dice Ciorra, «è più facile dare un milione a LVenture piuttosto che mille euro a una startup. Lavorare con le startup è come se fosse proibito».
Mammola: «Arriva il Fondo Caravella»
«Le corporate sono mentalmente ancora indietro, ma le startup non sono ancora abituate a pensare in grande, spesso hanno obiettivi per niente ambiziosi», dice l’Ad del Fondo Italiano d’Investimento, Carlo Mammola, annunciando pubblicamente la nascita di un nuovo fondo, Caravella: «Non abbiamo un mercato borsistico tecnologico e non c’è un operatore early stage. Vogliamo lanciare un nuovo fondo. Siamo pronti, lo annunceremo presto. E’ un’iniziativa di matching diretto con i business angels».