Thalita Malagò, Direttore Generale dell’Associazione di categoria: “Avevamo chiesto di più, ma è un buon inizio”. E conferma: “First Playable, l’evento B2B per le startup del videogame, diventa virtuale”
Il sospiro di sollievo, dalle parti dell’Italian Interactive Digital Entertainment Association (da qui in poi IIDEA), l’associazione di categoria che riunisce chi fa videogiochi italiani, lo hanno tirato solo quando ormai era l’alba. Quando cioè hanno potuto tenere tra le mani la copia della Gazzetta Ufficiale ancora calda di stampa e constatare che la promessa del Ministero dello Sviluppo Economico non s’è persa nelle pieghe delle bozze e nel teso passaggio con la Ragioneria dello Stato per la bollinatura. Il “First Playable Fund” annunciato la scorsa settimana, a seguito della conferenza stampa del premier Giuseppe Conte (ne avevamo parlato qui), esiste. Esiste sul serio.
Non è ancora operativo, appeso a uno dei 98 decreti attuativi che dovranno essere redatti in fretta per non fare da imbuto, ma c’è. Ed è già qualcosa, dato che siamo di fronte al primo aiuto che un governo italiano abbia mai dato alla categoria. E infatti a IIDEA stentano ancora a crederci: “È un risultato importante per ridurre un po’ il gap con gli altri Paesi, che sovvenzionano il comparto da anni”, racconta a StartupItalia Thalita Malagò, Direttore Generale dell’Italian Interactive Digital Entertainment Association.
Thalita Malagò, Direttore Generale IIDEA
Che cos’è il First Playable Fund
Ma andiamo con ordine e vediamo anzitutto di comprendere il tipo d’aiuto che arriva ai videogiochi italiani. Si tratta di un fondo di 4 milioni di euro per il 2020. “Speravamo di più”, non nasconde la numero 1 di IIDEA. “Abbiamo disegnato assieme al MISE la misura, suggerendo ciò che viene fatto altrove, nel resto d’Europa, per sostenere il comparto videoludico. In Germania, per esempio, il fondo è di circa 50 milioni di euro. Molto più capiente anche quello inglese”. “Tuttavia – specifica la dottoressa Malagò – conforta il fatto che in Francia sia più o meno delle medesime dimensioni. Pure il fondo europeo è una dotazione di circa 4 milioni di euro ma i requisiti per accedervi sono assai più stringenti”.
© IIDEA
A cosa serve il fondo a sostegno dei videogiochi italiani
Il First Playable Fund previsto con il decreto Rilancio è destinato a sostenere le fasi di concezione e pre-produzione dei videogiochi, necessarie alla realizzazione di prototipi, tramite l’erogazione di contributi a fondo perduto, riconosciuti nella misura del 50 per cento delle spese ammissibili, e per un importo compreso dai 10.000 euro e 200.000 euro per singolo prototipo.
Thalita Malagò e il suo team durante un evento europeo
Il prototipo di un videogioco rappresenta la prima versione giocabile dell’opera ed è lo strumento attraverso il quale gli sviluppatori presentano il loro progetto di sviluppo a editori e investitori per ottenere finanziamenti necessari per la successiva produzione del prodotto finale e per la sua distribuzione sul mercato internazionale. La realizzazione del prototipo, che di solito coincide con le fasi di concezione e pre-produzione, richiede un investimento rilevante in termini di risorse da parte delle imprese e solitamente avviene in regime di autofinanziamento da parte delle imprese stesse, senza poter contare su apporti finanziari di editori e/o investitori, che possono intervenire nelle successive fasi della produzione.
© IIDEA
IIDEA: “Ora aspettiamo il decreto attuativo”
C’è insomma di che festeggiare, ma la misura deve ancora essere messa a terra. Le modalità di erogazione dei contributi saranno definite infatti da un successivo decreto attuativo del Ministero dello Sviluppo Economico. IIDEA ha già un brutto precedente con i decreti attuativi. Nel 2016 il governo di Matteo Renzi varò, per l’anno successivo, la “legge Cinema” che avrebbe dovuto “rendere disponibili risorse certe per 400 milioni di euro l’anno e introduce sistemi automatici di finanziamento con forti incentivi per i giovani autori”.
Nell’ultimo periodo, IIDEA ha portato spesso il mondo della politica in visita alle software house italiane per illustrarne le potenzialità
Nell’ambiente la chiamano anche tax credit in quanto avrebbe dovuto “prevedere la possibilità di compensare debiti fiscali (Ires, Irap, Irpef, Iva, contributi previdenziali e assicurativi) con il credito maturato a seguito di un investimento nel settore cinematografico” esteso per la prima volta anche al comparto videoludico. Il pacchetto di norme, fortemente voluto dal ministro ai Beni culturali dell’epoca, Dario Franceschini, rimase però appeso a un paio di decreti attuativi che non si sono mai visti.
“Non siamo riconosciuti come cultura, ma siamo industria”
A più di tre anni da allora, nonostante Franceschini sia tornato, per pura combinazione, allo stesso dicastero, di quella misura si sono perse le tracce, come ci ha confermato stamattina la dottoressa Malagò: “Purtroppo non abbiamo più notizie da tempo. Anche noi abbiamo notato come in Italia sia più difficile far passare il messaggio che il videogioco possa essere una forma d’arte. Nel nostro Paese – spiega – il riconoscimento culturale è a favore delle forme tradizionali. Ma non ci siamo persi d’animo, perché se non possiamo essere riconosciuti come cultura dobbiamo essere considerati come industria, per di più strategica”.
Gli studi di Ubisoft Italia
“Siano soldi facili da raggiungere”
Una digressione forse noiosa ma fondamentale per ribadire il fatto che, in passato, qualunque governo si succedesse si dimenticava dei videogiochi italiani. “È il nostro risultato più grande mai ottenuto”, dice la general manager dell’Associazione. Anche per questo, il settore è ancora acerbo ma, nonostante le difficoltà, in crescita: conta oltre 120 startup innovative e anche qualche grande azienda, con imprenditori molto giovani (da 33 a 36 anni) e tante software house al debutto (il 54% delle imprese ha meno di tre anni, contro il 62% della rilevazione precedente).
© IIDEA
In totale, i videogiochi italiani danno lavoro ad almeno 1.100 persone (+10% rispetto al 2016), con il 35% delle realtà con un massimo di due addetti, mentre il 47% degli studi ha tra i 3 e le 10 figure e il 17% dà lavoro a oltre 11 professionisti. Imprese piccole, spesso piccolissime e proprio per questo, spiega la numero 1 di IIDEA che dà voce a tutte queste realtà, “sarà importante che il decreto attuativo faccia in modo che siano soldi facilmente raggiungibili: gli studi che sviluppano videogiochi italiani spesso si compongono di un numero assai ridotto di persone che certo non possono perdere tempo con procedure burocratiche farraginose”.
Così il Coronavirus ha investito le software house italiane
“Siamo in contatto diretto con i nostri associati e in questo periodo abbiamo provato a restare ancora più vicini per colmare le distanze”, racconta la dottoressa Malagò. “Dall’inizio dell’emergenza abbiamo avviato un canale Discord per fornire assistenza agli imprenditori italiani anche su temi burocratici, per esempio proprio come accedere ai fondi e alle agevolazioni previsti dal Governo. Ogni quindici giorni organizziamo anche lezioni virtuali su temi legati al business“.
Gli studi di Ubisoft Italia
“La maggior parte degli studi non ha riscontrato problemi nel lavorare in smart working, in più c’è la volontà di andare avanti: noi abbiamo consigliato di sfruttare il periodo per riordinare le idee. Certo è che sono saltati tutti i più importanti eventi B2B dell’anno in cui gli studi italiani avevano modo di incontrare finanziatori e distributori europei. Per questo possiamo già annunciare che il First Playable che organizziamo a Pisa si farà e sarà virtuale”.