L’Amministrazione Trump fa terra bruciata attorno al vendor cinese. Che reagisce puntando a creare il proprio ecosistema indipendente. La strategia del Presidente USA può funzionare?
Sarà la campagna elettorale per le Presidenziali che entra nel vivo, sarà che era ormai una settimana che non se ne parlava, dalla Casa Bianca hanno trovato il modo di farci tornare a scrivere di Huawei: con un nuovo atto formale, anzi due, stanno provando a fare definitivamente terra bruciata attorno all’azienda cinese, impedendole di operare come ha fatto fin qui sul mercato occidentale. Da parte sua, Huawei ribatte rilanciando il suo ecosistema: pronto a diventare una valida alternativa, stando a quanto dichiarato dai suoi manager, al duopolio oggi costituito da Android e iOS.
Wilbur Ross, Segretario al Commercio USA
© Gage Skidmore (Flickr)
Gli ultimi ordini di Donald
Se non fosse stato chiaro fin qui, ora gli Stati Uniti vogliono mettere tutto nero su bianco: in nessun modo Huawei potrà mettere le mani su qualsiasi prodotto anche solo parzialmente legato alla tecnologia made in USA. In altre parole, l’interpretazione dell’executive order emanato lo scorso maggio (che “rinnova” il ban del 2019) è stata chiarita dal Segretario al Commercio Wilbur Ross: all’emittente Fox Business ha detto che intendono impedire qualsiasi forma di aggiramento delle regole da loro imposte alle aziende per vietare il commercio con Huawei, interferendo di fatto con aziende di altre nazioni e di altre giurisdizioni (come la taiwanese TMSC) e impedendogli di fare affari con i cinesi se non sono interessati a finire pure loro nella lista dei cattivi. Gli USA giocano insomma una carta molto importante: quella del portafoglio, perché perdere i rapporti con i propri clienti statunitensi potrebbe essere molto complicato per alcune aziende (basti pensare all’indotto generato da Qualcomm e Apple, da sole).
L’aspetto paradossale della intera vicenda è che Huawei Consumer Business Group, la divisione dell’azienda che per prima verrà colpita da questa ulteriore restrizione visto che si vedrà penalizzata nella costruzione e la commercializzazione degli smartphone, è poco o nulla interessata al mercato statunitense: hanno provato un paio di volte a lanciarsi in Nordamerica, senza particolare successo, dunque ciò che la Casa Bianca prova a fare è impedirle di competere con altre aziende (tutte straniere, se teniamo fuori Apple da questa contesa) per ragioni che sono perlopiù squisitamente politiche. Ancora, altro aspetto significativo da sottolineare è che per irrobustire la propria posizione contro Huawei gli USA hanno anche cancellato tutte le eccezioni che avevano posto al ban: quindi niente più rapporti tra Huawei e i cosiddetti “operatori rurali” (i piccoli operatori telefonici che operano nelle aree non urbane degli USA), e pure zero possibilità di continuare a collaborare con Google per la manutenzione ordinaria degli smartphone.
Una possibile conseguenza di quest’ultima manovra potrebbe essere il rallentamento degli aggiornamenti degli smartphone, ivi compresi quelli come il P30 Pro che sono ancora in commercio, sono ancora molto validi, e vengono venduti con tutti i servizi Google a bordo. Non significa che saranno impediti gli update delle app, quelli arrivano tramite Play Store che non può essere rimosso: significa semmai che gli aggiornamenti di sicurezza del firmware arriveranno con qualche ritardo, un paio di mesi circa è la stima a naso che possiamo fare oggi, visto che Huawei non potrà collaborare direttamente con Google e dovrà limitarsi a prendere il codice delle patch di Android e adattarlo ai suoi smartphone.
Huawei ha una missione
Come Huawei intende controbattere a quest’ultima novità, è presto detto: continuando a spingere sui suoi HMS (Huawei Mobile Services) per costruire un terzo polo del mobile che possa tenere testa ad Android e iOS. Questo significa non solo mettere in piedi servizi del tutto analoghi al cloud di Apple e Google, per lo storage e la distribuzione delle app o delle notifiche, ma pure convincere gli sviluppatori dei best seller degli altri marketplace sulle altre piattaforme a sobbarcarsi la gestione di un terzo concorrente.
Per riuscirci c’è bisogno di due fattori: un investimento significativo in tecnologia, e su questo non dovrebbero esserci problemi visto che da sempre Huawei punta forte su R&D (e non ha azionisti da soddisfare, non è quotata in Borsa), e un seguito significativo di clienti che giustifichino lo sforzo da parte degli sviluppatori. Interpellati sull’argomento, i manager cinesi sottolineano vari aspetti: il primato dello scorso trimestre, raggiunto a livello planetario, nella vendita di smartphone – che tuttavia non è garanzia automatica di successo futuro – e ancora il lavoro che stanno svolgendo sugli HMS che, a detta loro, hanno addirittura superato le capacità degli equivalenti Google.
Insomma, Huawei è bella agguerrita e vuole vendere cara la pelle: deve però misurarsi contro una superpotenza mondiale, gli Stati Uniti, e per quanto sia sostenuta dal Governo cinese deve fare in conti con le pressioni morali ed economiche che gli USA possono esercitare sui propri alleati (l’Europa per il momento continua a restare piuttosto passiva tra i due contendenti) e sui fornitori per complicarle la vita. Manca ancora un motivo comprovato, a parte le accuse generiche mosse dalla Casa Bianca, sul motivo di tanta ostilità: ma ciò poco conta nella pratica. Lo stesso, poi, la Casa Bianca sta provando a farlo con Tiktok: mettendo addirittura in dubbio un evento di più di tre anni fa, l’acquisizione da parte di ByteDance di Musical.ly che ha dato vita proprio a TikTok come lo conosciamo oggi, nel tentativo di trovare un modo di indebolire l’unico social media capace di iniziare a dare filo da torcere agli over-the-top a stelle strisce fin qui. La prossima della lista, poi, potrebbe essere Alibaba: lo ha detto lo stesso Trump, e a questo punto è facile pronosticare che voglia usare questi temi come argomenti per convincere gli elettori USA a dargli 4 anni alla Casa Bianca.