In orbita è possibile validare tecnologie e innovazioni. Ce l’ha spiegato l’amministratore delegato dell’azienda prossima alla quotazione al Nasdaq
«Abbiamo sempre avuto chiara la nostra missione: creare una connessione tra Marte, una fascia di asteroidi, la Terra e la Luna. Lungo queste rotte vogliamo costruire un’infrastruttura per trasportare cose e persone. Sembra fantascienza, lo so. Per arrivarci dobbiamo sviluppare mercati ancora vergini». StartupItalia ha intervistato Luca Rossettini, Ceo dell’ex startup italiana D-Orbit, a pochi giorni da una notizia di rilievo per l’ecosistema dell’innovazione nazionale. Ve ne abbiamo parlato anche noi: grazie alla fusione con la società di acquisizione Breeze Holdings, che dovrebbe concludersi nel terzo trimestre dell’anno, D-Orbit si quoterà al Nasdaq attraverso quella che viene definita una SPAC (Special Purpose Acquisition Company). La valutazione dell’azienda con sede a Como e oltre 160 dipendenti tra Italia, Regno Unito, Portogallo e presto anche USA è di 1,3 miliardi di dollari. Scoprite di più nella nostra intervista all’amministratore delegato di D-Orbit.
D-Orbit: cosa fa in orbita?
D-Orbit è stata tra le finaliste allo StartupItalia Open Summit Winter Edition in collaborazione con Università Bocconi. A pochi giorni dall’annuncio della quotazione abbiamo chiesto al suo amministratore delegato di spiegarci come un’azienda fondata nel 2011 vicino al Lago di Como sia riuscita a crescere e a operare su quattro continenti. Ma, prima di tutto, quali sono i suoi business? «Ci focalizziamo su tre macro aree: la prima produce fatturato è riguarda il trasporto di satelliti. Prendiamo i satelliti dei clienti, in genere operatori del settore, e li andiamo a posizionare in orbita là dove servono. Negli ultimi 15 mesi abbiamo portato in orbita quasi 70 payload».
Il secondo ambito di attività di D-Orbit riguarda invece il tema dell’innovazione e della validazione tecnologica delle startup. Tutto, per fare chiarezza, senza personale a bordo. «Una volta che il nostro veicolo spaziale rilascia i satelliti è vuoto. Un cargo, in quelle condizioni, diventa un ambiente ideale per effettuare test per conto dei clienti. Oggi è ancora molto difficile testare nello Spazio. Noi, appoggiandoci a lanciatori come SpaceX, stiamo lavorando anche per aprire il settore spaziale ad aziende che non vi operano. Per ora». Da oltre vent’anni realtà private, come la già citata azienda aerospaziale di Elon Musk o la Blue Origin di Jeff Bezos, hanno fatto da apripista per una visione meno tradizionale e più commerciale della space economy. «Puntiamo anche a creare un’infrastruttura cloud direttamente in orbita».
In-Orbit Servicing. Il futuro della space economy
Infine c’è la terza area di business che, stando a quanto ci ha spiegato il Ceo di D-Orbit, ancora deve pienamente esprimersi, ma che potrebbe diventare cruciale in ottica di mercato, di efficienza e di sicurezza globale. «È un ramo ancora vergine, ma è considerato uno dei mercati più grossi del settore Spazio. Mi riferisco al In-Orbit Servicing». Ovvero? «Si tratta di offrire servizi a satelliti che sono già in orbita. Magari alcuni potrebbero essere a fine vita. A quel punto, con un’infrastruttura adeguata, puoi rifornirli di carburante, li puoi spostare o rimuovere prima che diventino rischiosi». Se ne parla sempre di più: la new space economy deve infatti fare i conti con l’affollamento di satelliti e con il rischio di potenziali collisioni.
«La sostenibilità in questo settore è necessaria – ha precisato Rossettini -. Talmente necessaria che se non viene applicata avrà un impatto molto forte. Ci stiamo lavorando in concerto con tantissime altre aziende. Facciamo proposte congiunte anche a organi regolatori. L’obiettivo è operare in un ecosistema pulito che non minacci il business e la sicurezza». D-Orbit ha dialogato con lanciatori di vario tipo, da Arianespace fino a SpaceX, che con i loro razzi trasportano i cargo in orbita.
Marte, lo scenario
Citata più volte nel corso della nostra intervista, SpaceX è una azienda che ha rivoluzionato il mercato aerospaziale nel giro di appena due decenni. I suoi razzi riutilizzabili sono una realtà che ha abbattuto i costi del settore. In merito ai piani visionari per Marte, invece, c’è ancora poca chiarezza sulle tempistiche. «Noi diamo per scontato che accadrà: l’uomo andrà su Marte. È talmente logico pensare che accadrà. La differenza tra il settore tradizionale spaziale e quello commerciale è che il primo ha visto simili scenari traslati molto in là nel futuro. Non andremo fisicamente su Marte tra 20 anni. Penso siano possibili basi stabili sul pianeta rosso entro un decennio. Per questo ci stiamo preparando a sviluppare la tecnologia che servirà un domani, anche se oggi non c’è domanda».
Space economy: un settore che si allarga
Per terminare la nostra intervista al Ceo di D-Orbit, gli abbiamo chiesto che ruolo ha la space economy per l’innovazione terrestre. «Il settore non guiderà da solo l’innovazione tecnologica, credo che però si stia affermando come abilitatore e utilizzatore di innovazione. Il mercato new space fa un grande utilizzo di tecnologia terrestre. In prospettiva aziende che operano in settori diversi potrebbero entrare nel mercato spaziale».