Dalla startup Novagenit la soluzione alle infezioni post-operatorie, che ogni anno costano ai sistemi sanitari nazionali europei 800 milioni di euro.
Il sistema sanitario italiano è caratterizzato da una serie di problematiche che ne riducono portata e valore gravando sui contribuenti, ma questo non dipende sempre da sprechi e inefficienze di cui tutti siamo un po’ consapevoli. Semplicemente la sanità costa e per dare adeguata assistenza sanitaria a tutti una strada da percorrere è quella dell’innovazione tecnologica, come ha deciso di fare una piccola azienda trentina, la Novagenit, che ha inventato un metodo unico per ridurre i costi post-operatori e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Individuare un problema (e risolverlo)
Alla Novagenit di Trento sono partiti da un problema diffuso: in ambito ortopedico i pazienti che subiscono un intervento chirurgico devono spesso affrontare un’infezione post-operatoria e talvolta un secondo intervento. Una percentuale che arriva al 30% per i pazienti a rischio, come diabetici e pazienti oncologici. I trentini sono quindi approdati a una soluzione: un idrogel a base di acido ialuronico, che si applica sulla protesi al momento dell’impianto e che con precisione veicola gli antibiotici nel sito d’interesse, formando una barriera contro i batteri.
Questo idrogel si chiama DAC e lo ha creato il team di Novagenit, startup trentina che dal 2005 lavora nell’ambito dei dispositivi medici innovativi.
DAC (Defensive Antibacterial Coating) ha visto la luce nel Business Innovation Centre di Mezzolombardo, dopo tre anni di studi in collaborazione con 11 partner europei tra centri di ricerca, aziende e università e un investimento di circa quattro milioni di euro nel progetto IDAC (per il 75% finanziato dalla Commissione Europea, all’interno della ricerca scientifica del 7° programma quadro). La stessa Provincia Autonoma di Trento, con un occhio di riguardo per le attività di ricerca e sviluppo, ha finanziato con due milioni di euro le attività di ricerca di Novagenit.
Ridurre i costi per il sistema sanitario
Oltre che per i pazienti, le infezioni post-operatorie e quello che comportano (pesanti terapie antibiotiche, degenza) nella Comunità Europea sono un dolore anche per i sistemi sanitari nazionali, che in base alle stime vi spendono ogni anno, solo in ambito ortopedico, oltre 800 milioni di euro. Se un’operazione all’anca costa in media 9mila euro, la cifra in caso di infezioni lievita anche di tre, quattro volte.
Un terapia tutta nuova
“Così il nostro team ha iniziato ad ampliarsi”, racconta Cremascoli, che lavora fianco a fianco con il fratello Davide Cremascoli, il direttore operativo Ioachim Meraner e il chimico Davide Bellini, direttore della ricerca scientifica. “Normalmente per gli interventi si usa una terapia antibiotica generica, che viene rilasciata nel sangue. DAC invece viene ‘caricato’ con uno o più antibiotici specifici, e protegge la protesi dai batteri in modo molto più efficace, in loco”. L’effetto è praticamente immediato, e nei giorni dopo l’intervento l’idrogel viene degradato e continua a rilasciare l’antibiotico, dando agli anticorpi il tempo di avviare la risposta fisiologica. E proteggendo, nel frattempo, il paziente dalle infezioni.
“A beneficiare di più dell’utilizzo di DAC sono i pazienti immunodepressi, quelli al loro secondo intervento, diabetici, sotto chemioterapia per un tumore osseo, oppure chi ha abusato di tabacco e alcol”, spiega Cremascoli.
Se normalmente le percentuali di infezione sono basse, nel loro caso l’organismo è molto meno attivo nel difendersi dai batteri.
Uno strumento di questo tipo potrebbe trovare ampio impiego anche in ambiti come l’odontoiatria e la veterinaria, dove le infezioni sono estremamente comuni, e per interventi come l’applicazione di pacemaker.
Il finanziamento di Horizon 2020
Mentre si chiude il primo trial clinico, i cui dati preliminari confermano l’efficacia di DAC, anche l’Unione Europea ha creduto in Novagenit premiandola con un finanziamento SME Instrument nell’ambito del programma Horizon 2020.
Un sostegno economico che andrà a coprire la ricerca per il nuovo progetto dell’azienda, Adhesion. “Ora lavoreremo su un dispositivo medico per prevenire l’insorgenza di adesioni, dei fenomeni chirurgici di cicatrizzazione molto diffusi, che si verificano quando il nostro corpo reagisce a un elemento estraneo”, spiega Cremascoli. “Le donne che hanno partorito con il cesareo conoscono bene questo problema, che oggi si può alleviare solo con manipolazioni molto energiche o un intervento, senza garanzia di successo”.
Novagenit, che al momento conta 12 dipendenti e un giro d’affari annuo di due milioni di euro, non si ferma e continua a guardare avanti per ritagliarsi la sua fetta di mercato: se oggi una confezione di DAC costa all’ospedale 500 euro, l’obiettivo è arrivare ad almeno 50.
Una riduzione che richiede il passaggio a un processo di produzione industrializzato, ed è per questo che l’azienda sta pensando a espandersi ulteriormente nel BIC di Mezzolombardo, dove Trentino Sviluppo insedia le “sue” aziende con un contributo su affitto e servizi. Il core business di Novagenit, a fianco del nuovo progetto Adhesion, rimarrà comunque lo stesso: dispositivi medici innovativi, in grado di stimolare e favorire la rigenerazione dei tessuti grazie alla sinergia tra biomateriali riassorbibili e cellule, per ricostruire ossa e cartilagine.
@Eleonoraseeing