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Il femminicidio di una ragazza di quattordici anni costringe a fare i conti con una violenza ancora più sconvolgente, indicibile, straziante. “Non ha voluto darmi un abbraccio, l’ho uccisa”, ha detto il fidanzato, diciannovenne, con cui lei non voleva più stare. Ogni violenza è inumana, ma questa lo è di più. 

Mentre ci ritroviamo impreparati a leggere una violenza di genere che si fa sempre più giovane, una proposta di legge ha appena introdotto il reato di femminicidio, punendo chi lo commette con l’ergastolo. Si può contare di fermare la violenza degli uomini sulle donne aumentando le pene? Ottanta docenti universitarie giuriste hanno appena firmato un appello per dire che no, non si può far desistere dal crimine chi non ha interiorizzato l’idea della libertà femminile e il principio del rispetto della persona e che, perciò, occorre una riflessione più ampia, un pensiero largo che tenga conto di quanto è complesso e articolato il fenomeno della violenza.  

I femminicidi, e tutte le forme di violenza degli uomini sulle donne, sono fertilizzati dalle disuguaglianze, dalle discriminazioni, dagli sbilanciamenti di potere, da quell’humus culturale che per secoli ha strutturato le società su condizioni diverse e diseguali a partire dal genere di appartenenza, maschile o femminile. Non lo dicono le femministe: lo dice la Convenzione di Istanbul, il testo giuridico internazionale più completo sulla violenza di genere, che fa da riferimento agli Stati, Italia compresa, indicando loro come prevenirla, come proteggere le vittime, come punire i colpevoli. Non c’è niente di occasionale, improvviso, episodico nella violenza che un uomo fa a una donna: il trattato stesso riconosce che la violenza di genere è strutturale nelle società diseguali e pone il suo sradicamento nella prospettiva del raggiungimento della parità di genere.

Educare al rispetto reciproco e alla parità nelle relazioni

Insegnare ai bambini e alle bambine, quando ancora i modelli comportamentali non si sono saldati, il rispetto reciproco, la parità nelle relazioni, una visione del mondo sminata dagli stereotipi di genere, il rifiuto di ogni forma di violenza è il passo necessario per costruire quel cambiamento culturale senza il quale il cerchio della violenza continuerà a rigenerarsi: è con l’educazione relazionale a scuola, attraverso figure specializzate, che si può prevenire il saldarsi di quell’idea di possesso, di controllo, di potere sul corpo e la vita di una donna che scatena la vendetta di un uomo quando lei non lo vuole più. L’Italia resta tra i pochissimi Paesi europei, insieme a Lituania, Bulgaria, Polonia, Romania, Ungheria, che non prevedono l’educazione obbligatoria alla sessualità, alla relazioni, alle emozioni a scuola, e non se ne capisce il perché. 

Serve una rivoluzione culturale

Non possiamo aspettare che sia il tempo a dirci se la pena massima per il reato di femminicidio potrà o no scoraggiare gli uomini che puniscono attraverso la violenza colei che si sfila dal loro potere tossico. È già il presente a suggerirci che qualunque strategia repressiva, se non è accompagnata da una vera e propria rivoluzione culturale che affermi, per prima cosa, il valore assoluto della parità tra i generi, arriverà sempre quando è già troppo tardi. La violenza non comincia con i pugni: la violenza si genera molto, molto prima, quando si nega la parità. Urge un cambio di passo assoluto, un ribaltamento dei valori, in famiglia, a scuola, nella società in direzione dell’uguaglianza, un’uguaglianza vera, di fatto, se vogliamo che si smetta di punire con il sangue il diritto di scegliere, di autodeterminarsi, di essere persone libere.