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Mentre a livello internazionale si parla di cambiamento climatico e perdita della biodiversità, la bioeconomia si presenta come un meta-settore ricco di soluzioni. Sta alla politica lasciare il giusto spazio
Sebbene la bioeconomia si sia da sempre presentata come un settore capace di introdurre sostenibilità nei processi economici e produttivi, solo oggi possiamo dire che ci sia stato un riconoscimento ufficiale a livello internazionale.
In questo periodo dell’anno ci troviamo a cavallo tra la COP27, su temi energetici e di mitigazione del cambiamento climatico e la COP15 che ragionerà sulla necessità di preservare la biodiversità. Per il primo anno, durante un incontro sul clima c’è stata occasione di parlare anche di bioeconomia. Invitato dal United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), il World BioEconomy Forum ha preso parte a un incontro tutto dedicato a questo tema.
La bioeconomia, intesa come quel meta-settore capace di assicurare la produzione, l’uso, la conservazione e la rigenerazione delle risorse biologiche per fornire soluzioni sostenibili in tutti i settori dell’economia, era già stata riconosciuta come un settore chiave quando si parla di clima. In particolare, il sesto rapporto di valutazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) evidenzia il valore e l’importanza delle politiche internazionali intersettoriali di bioeconomia nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici.
“L’evento specifico dedicato alla bioeconomia durante la COP27 rappresenta un importante riconoscimento del ruolo della bioeconomia come pilastro della transizione ecologica e della lotta al cambiamento climatico”, commenta Mario Bonaccorso, direttore di Cluster Spring, il cluster italiano della Bioeconomia circolare.
“Quindi, la COP27 è da leggere in modo positivo se consideriamo questa opportunità offerta agli stakeholder mondiali della bioeconomia”.
Bioeconomia, per un’azione sempre più internazionale
La bioeconomia sta assumendo una grande importanza a livello globale. Esistono già oltre 60 biostrategie nazionali in tutto il mondo e il numero è in costante aumento. Il valore delle economie globali è di circa 100 bilioni di dollari. È stato stimato che il valore della bioeconomia rappresenterà 30 bilioni di dollari entro il 2030.
“Un mercato enorme che in Italia vale circa il 10% del del valore della produzione nazionale e all’interno del quale le biotecnologie sono sicuramente un importantissimo tassello. Le biotecnologie rappresentano, infatti, un motore di innovazione straordinario per tanti processi e prodotti che caratterizzano questo vasto meta settore”, spiega Elena Sgaravatti, Vice Presidente Federchimica Assobiotec. “La bioeconomia circolare è oggi una strada sulla quale bisogna puntare per rispondere a tante urgenti sfide globali e in primis quella di una crescita economica che sia anche sostenibile.”
È risaputo che i bioprodotti sostituiscono i prodotti a base fossile, riducendo così la dipendenza dalle fonti non rinnovabili Nel settore già oggi si parla di sicurezza, protezione, catene di approvvigionamento, disponibilità di materie prime. Al contempo, le applicazioni offerte dalla bioeconomia sono utili anche a contrastare la perdita della biodiversità, la difesa e il recupero dei suoli e delle foreste.
“Le biotecnologie applicate alla bioeconomia permettono di avere prodotti ad alto valore aggiunto e con una maggiore efficienza in termini di costi e di sostenibilità ambientale. Ma consentono anche soluzioni facilmente biodegradabili, che richiedono un minor consumo di acqua e fonti fossili, creando meno rifiuti durante il proprio ciclo produttivo”, prosegue Sgaravatti. “L’applicazione di queste tecniche può permettere di innovare settori maturi come quelli delle materie prime, della produzione di energia e intermedi, aderendo ai principi di sostenibilità ambientale, economica e sociale che sono propri della bioeconomia”.
Quindi, la bioeconomia si sta sviluppando e per questo dovrebbe diventare terreno comune di confronto a livello globale. È un settore su cui puntare, anche da un punto di vista economico, come dimostra il New Nature Economy Report del World Economic Forum. Ad esempio, la gestione sostenibile delle foreste può creare 230 miliardi di dollari di opportunità commerciali e 16 milioni di posti di lavoro entro il 2030. Spostare il sistema socioeconomico, energetico ed estrattivo verso modelli circolari ed efficienti sotto il profilo delle risorse può portare a 2,3 trilioni di dollari di opportunità di business e 30 milioni di posti di lavoro entro il 2030, e lavorare con la natura nel sistema delle infrastrutture e dell’ambiente costruito può generare un totale di 3 trilioni di dollari di opportunità di business e 117 milioni di posti di lavoro entro il 2030.
Raggiungere gli obiettivi
Perché possa avvenire il cambiamento verso un’economia più circolare e sostenibile, ci devono essere alcuni requisiti. Per esempio, un importante tema della COP27 era la riduzione delle emissioni, accanto alla necessità di trovare nuove soluzioni per la produzione di energia. “Con la COP27 non vedo un passo avanti significativo nella riduzione dell’uso dei combustibili fossili”, commenta Bonaccorso. “Non possiamo sostituire il fossile con il biologico dall’oggi al domani. Ma se vogliamo decarbonizzare e adoperarci per mitigare gli effetti del cambiamento climatico rispetto agli obiettivi della COP di Parigi, è importante avere una strategia che possa realizzare una visione chiara con azioni concrete”.
Oggi viviamo tra la necessità di ridurre l’emissione di anidride carbonica e l’urgenza di affrontare una crisi energetica, esacerbata dalla guerra in Ucraina. Già l’8° rapporto sulla Bioeconomia in Italia 2022, realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Cluster Spring e Federchimica Assobiotec, dimostra come la produzione diffusa di energia elettrica da fonti rinnovabili, ma anche e soprattutto il riutilizzo delle materie prime seconde in un’ottica circolare e locale, sia un potenziale su cui accelerare per far fronte a tali problemi.
“Come dimostrano alcuni impianti già presenti in Europa, grazie all’impiego di biotecnologie è possibile avere processi industriali più sostenibili sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista economico”.
Servono però politiche che forniscano un percorso strategico verso lo sviluppo sostenibile e rigenerativo. “Senza una politica che sostiene la ricerca e l’innovazione che si muove verso una direzione più sostenibile, è complicato avere ricadute pratiche che consentano di avere bioprodotti sul mercato e sistemi industriali solidi”.
La bioeconomia, un investimento globale?
Possiamo guardare alla bioeconomia come a una risorsa globale, da esportare anche nei paesi più poveri. La COP27 ha inserito per la prima volta in agenda la necessità di creare uno specifico fondo “perdite e danni” per i paesi vulnerabili colpiti duramente dai disastri climatici.
La bioeconomia, dal lato suo può costituire una risorsa per questi paesi? Di fatto la bioeconomia è un fenomeno planetario, che vede numerosi investimenti indirizzarsi verso l’Asia o il Sud America. Paesi come la Thailandia e il Brasile ospitano impianti commerciali unici al mondo per la produzione di bioplastiche o di bioenergie.
“L’Italia deve essere capace di intercettare parte di questi investimenti, attraendo sul proprio territorio alcuni impianti flagship così come stanno facendo molto bene in questo momento la Francia o i Paesi Bassi”, risponde Bonaccorso. “Al Sud ci sono aree dismesse che potrebbero diventare siti importanti per creare bioraffinerie. Inoltre, ci sono diverse regioni che hanno individuato la bioeconomia come settore su cui puntare nel loro aggiornamento della strategia di specializzazione intelligente. Ciò significa che c’è un contesto sociale, economico e anche istituzionale idoneo”.
Certo è che l’Italia ha un suo ruolo di leadership nel contesto della bioeconomia e una posizione geografica privilegiata. “Nel 2017, la prima strategia italiana per la bioeconomia sottolineava il ruolo di leadership che l’Italia poteva assumere nell’area del Mediterraneo per favorire politiche di sviluppo sostenibile basate sull’impiego di risorse biologiche rinnovabili”. Quindi, la bioeconomia potrebbe essere un’opportunità anche per altri paesi, sempre rimanendo legata alla missione di rigenerare i territori e usare al meglio le risorse locali. “La bioeconomia, nei vincoli della strategia europea, deve sempre rimanere sostenibile. Ossia trovare le materie prime localmente, evitando lunghi trasporti per ridurre le emissioni di CO2 e assicurandosi materie prime certificate come sostenibili”.
“Occorre ripensare il modo in cui si crea valore”, conclude Sgaravatti, “e adottare con urgenza quanto, in questa nuova economia, le biotecnologie industriali e quelle applicate all’agricoltura rendono disponibile. È necessario però uno sforzo comune, da parte di tutta l’intera filiera: dai produttori al cittadino, ma anche da parte delle istituzioni locali e nazionali. Solo attraverso una maggiore consapevolezza collettiva del valore aggiunto così generato e il contributo di tutte le parti coinvolte, si potrà contribuire alla costruzione di un’economia di valore e sostenibile anche per le generazioni future.”
La strategia italiana
La presenza della bioeconomia alla COP27 si è conclusa con una richiesta specifica che proviene tanto dal World Bioeconomic Forum quanto dall’ International Advisory Council on Global Bioeconomy (IACGB).
Occorre prendere in considerazione obiettivi quantitativi: come la quota della bioeconomia nel PIL. Ciò servirà a facilitare la decisione di elaborare politiche per la transizione verso società globali sostenibili per il clima e la natura.
In Italia, la bioeconomia ha raggiunto 364,3 miliardi di euro di output, secondo l’8° Rapporto sulla Bioeconomia italiana. Inoltre, l’occupazione resta stabile a 2 milioni di persone coinvolte nel settore.
“Nel nostro paese, la bioeconomia è una realtà consolidata, ma abbiamo bisogno di un cambio di mentalità e di approccio”, ha detto Bonaccorso. “Non è tanto un problema di aggiornamento della strategia, anche se la bioeconomia è un concetto dinamico e quindi che va costantemente rivisto. Per l’Italia, ora è il momento di agire implementando politiche che riconoscano il valore della bioeconomia nel quadro della lotta al cambiamento climatico, di sviluppo sostenibile, di creazione di posti di lavoro altamente qualificati e di rigenerazione territoriale”.
L’Italia ha una strategia per la bioeconomia aggiornata al 2019 e un Implementation action plan sviluppato con il Coordinamento sulla bioeconomia, organizzato in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui Cluster Spring fa parte.
Alcune realtà italiane sono già testimoni di questa trasformazione. “Alcuni impianti petrolchimici dismessi sono stati trasformati in bioraffinerie integrate nel territorio. Ciò ci ha consentito di avere un impatto minore sull’ambiente e creare posti di lavoro. Ha rotto la logica per cui lo sviluppo industriale sembrava contrapposto alla salute umana e dell’ambiente”.
Dal punto di vista attuativo, però, mancano ancora alcuni aspetti pratici per poter applicare la strategia. “Mancano i codici ATECO per identificare i prodotti della bioeconomia. Servono strumenti per riconoscere il settore, un nuovo sistema di Life Cycle Assestment. In poche parole serve un “level playing field”, pari opportunità tra i prodotti fossili e quelli biobased anche attraverso la creazione di un nuovo mercato e iniziative capaci di dare uno slancio a tale comparto industriale”.
È una logica che punta a trasformare quella che fino a oggi è in gran parte ricerca e innovazione in una vera risorsa economica, produttiva e industriale.
“Ora occorre accostarsi alla bioeconomia con un approccio olistico, perché la bioeconomia è un meta-settore in cui hanno un ruolo importante tanti settori. Occorre superare i singoli piani e piuttosto coordinare le strategie”.