Sono diverse le novità apportate al Next Generation Eu per ottenere l’approvazione dell’Olanda e dell’intero gruppo dei Frugali
Abbiamo parlato più volte di cosa sia il Recovery Fund e di perché è cruciale per l’Italia. Tenendo ferma la seconda parte della frase, è mutata invece la consistenza del fondo per la ricostruzione post pandemica. Il compromesso strappato in sede di Consiglio europeo per ottenere l’assenso dei Frugal Four ha infatti mutato la composizione del pacchetto che arriverà da Bruxelles. Ecco allora le novità.
Com’è il nuovo Recovery Fund
Partiamo dalle buone notizie: il livello globale del Fondo per la ripresa (Recovery Fund o, se vogliamo usare il nome ufficiale, Next generation EU) resta confermato a quota 750 miliardi di euro a prezzi 2018, come nella proposta iniziale della Commissione europea e nella prima proposta di compromesso del presidente del Consiglio Charles Michel.
Recovery Fund, cos’è cambiato?
Viene però modificata la composizione: ridotte fortemente le sovvenzioni (da 500 a 390 miliardi di euro, scese dunque anche sotto la soglia psicologica dei 400 miliardi) a favore dei prestiti che invece sono aumentati dai 250 miliardi indicati da von der Leyen a 360 miliardi di euro. Di conseguenza, risultano diminuiti gli stanziamenti inizialmente ipotizzati a favore, tra gli altri, dei programmi Orizzonte Europa, per lo sviluppo rurale ed InvestEU.
Il premier Giuseppe Conte e l’omologo olandese Mark Rutte
E infatti la presidente della BCE Christine Lagarde ha ammesso che avrebbe preferito un piano maggiormente ambizioso, più in linea con quello originario, varato dalla Commissione. Sono state aumentate da 560 a 672,5 miliardi di euro (312,5 da destinare a sovvenzioni e 360 a prestiti) le risorse destinate al Dispositivo per la ripresa e la resilienza, per la cui governance è stato coinvolto il Consiglio dell’Unione. I Piani per la ripresa e la resilienza saranno infatti approvati a maggioranza qualificata dal Consiglio, la cui decisione dovrebbe intervenire entro il termine di quattro settimane.
Cosa resta del freno d’emergenza
Chi ha seguito assieme a noi la maratona europea saprà bene che il premier olandese Mark Rutte ha insistito nell’introdurre il meccanismo del freno d’emergenza che di fatto dava a un singolo Paese il potere di bloccare gli aiuti comunitari. La proposta non è passata nella sua interezza ma ha subito sostanziali modifiche: se, in fase di pagamento, uno o più Stati membri ritengano che vi siano stati seri scostamenti dall’adempimento soddisfacente di target e obiettivi, entro tre giorni una nazione comunitaria può chiedere di deferire la questione al successivo Consiglio europeo. Nessuna decisione potrà essere assunta finché il Consiglio europeo o l’Ecofin (vertice dei ministri delle Finanze dei Ventisette), non abbia discusso la questione “in maniera esaustiva”. Per tale procedura si prevede, “di regola”, una durata non superiore a tre mesi. La procedura sarà comunque in linea con gli articoli 17 del TUE e 317 del TFUE che sanciscono il ruolo della Commissione europea quale responsabile dell’esecuzione del bilancio dell’UE.