Questo è solo l’inizio: non c’è solo Apple nell’occhio del ciclone, visto che Congresso e Unione Europea sono entrambe interessate alla concorrenza nel settore della tecnologia. E sullo sfondo c’è anche la tensione Stati Uniti – Cina
Come riportato da The Verge, il popolarissimo gioco Fortnite che conta oltre 250 milioni di giocatori nel mondo non è più scaricabile dall’Apple Store in quanto l’azienda di Cupertino l’ha rimosso per violazione delle sue policy. Epic Game, la casa che lo produce, aveva infatti implementato un metodo per aggirare la tassa del 30% che Apple chiede a tutti gli sviluppatori delle app offerti tramite il suo marketplace, ivi compresi eventuali acquisti in-app. Il business model di Fortnite è molto particolare: il videogame è infatti gratuito, tuttavia si possono comprare accessori, armi o vestiti per personalizzare il proprio personaggio. Questo modello freemium è ciò che ha reso Fortnite un successo planetario: portando la sua casa madre a guadagnare oltre 4 miliardi di dollari dal suo lancio nel 2018.
Epic Game si è difesa denunciando come la tassa del 30% non sia giustificata e che la scelta di aggirarla sia stata dettata dalla volontà di offrire i suoi servizi a un prezzo inferiore per i suoi giocatori. Dopo il ritiro dall’App Store la società ha lanciato la campagna #FreeFortnite il cui video-lancio è una rivisitazione, in modo rovesciato, della storica campagna a tema 1984 di Orwell, risalente a quando Apple lanciò il primo Macintosh.
Apple ha sostenuto la sua decisione semplicemente dicendo che nulla può giustificare un trattamento diverso tra gli sviluppatori. Al momento quindi l’app funziona ancora sui device di chi l’aveva scaricata. gli stessi che possono approfittare anche dello sconto offerto dal sistema di pagamento di Epic Games: ma nessun aggiornamento sarà possibile finché Apple non la riporterà sull’App Store.
Apple sotto lo scrutinio del Congresso Americano e dell’Europa
Il 29 luglio il CEO di Apple Tim Cook, assieme ai colleghi di Amazon, Facebook e Google (GAFA), è stato ascoltato al Congresso USA per un’indagine che l’antitrust sta conducendo su come le big tech starebbero minando le basi della concorrenza a danno delle altre aziende. Per Apple l’indagine riguarda proprio le sue politiche per l’app store e il rapporto con gli sviluppatori. A detta di Cook la fee del 30% non è mai cambiata a partire dal lancio nel luglio del 2008 e serve a garantire alti standard di sicurezza per le sue app.
Tuttavia questa percentuale ha un effetto particolare per quei servizi che sono in diretta concorrenza con altri offerti da Apple: Spotify infatti ha denunciato alla Commissione Europea come il pagamento del 30% costituisca per Apple un vantaggio economico enorme per la sua app Apple Music, che offre lo stesso servizio di Spotify ma senza dover pagare la fee. Considerando che Spotify deve anche pagare le royalties agli artisti, quello che resta in cassa è davvero poco: da un lato dunque deve avere molti più utenti rispetto ad Apple per poter ottenere gli stessi ricavi e dall’altro non può aumentare i prezzi perché questo porterebbe gli utenti verso Apple Music. Allo stesso tempo Apple Music potrebbe anche scegliere di offrire il suo servizio al 30% in meno rispetto a Spotify. In seguito alla segnalazione di Spotify la Commissione Europea ha aperto un’inchiesta.
Tornando negli Stati Uniti, invece, durante l’audizione al Congresso è stato chiesto a Cook come mai delle applicazioni che servivano a monitorare il tempo di utilizzazione dei device da parte dei minori fossero state rimosse dall’App Store quando Apple introdusse quella stessa opzione nativamente su iOS. Cook si è difeso dicendo che quelle app raccoglievano dati sui minori non rispettandone la privacy. Benché l’attenzione di Apple per la privacy sia un suo cavallo di battaglia, è anche vero che quella giustificazione poteva reggere solo se quelle stesse applicazioni fossero state rimosse da subito: e non solo dopo che iOS aveva iniziato a fare lo stesso.
Un gioco sempre più complesso
Non che sia rilevante in questa faccenda, ma è bene ricordare che nell’assetto societario di Epic Games c’è TenCent: la società d’investimenti cinese proprietaria tra le altre di WeChat. WeChat – l’app che i cinesi usano per tutto: dalla chat agli acquisti, dalle prenotazioni ai pagamenti – rischia di essere bandita assieme a TikTok dagli Stati Uniti a partire da metà settembre su ordine diretto di Trump. Nulla esclude quindi che Pechino possa vedere questa scelta di escludere un’altra app di successo dagli Stati Uniti come una mossa geopolitica.
Una cosa è certa: alla luce delle inchieste sulle Big Four sui due lati dell’Atlantico e della guerra di Trump a tutto quello che proviene dalla Cina, l’Internet che conosciamo subirà dei cambiamenti interessanti nei prossimi anni.