Passa la proposta francese con il placet della Germania. L’Olanda costretta a cedere. Ma adesso i falchi del Nord pretendono di dettare le condizioni di accesso al credito
Parigi ha salvato l’Europa del Sud. Diciamolo chiaramente. Perché sua è stata l’idea del Recovery Fund che, alla fine, è stato sostenuto anche da Roma, stante l’impossibilità di fare approvare la nostra proposta degli Eurobond (non c’era la volontà politica, ma nemmeno il tempo per predisporli). Adesso, però, non crediamo che la partita tra Italia e Olanda, partita che va avanti dall’inizio della pandemia, si sia conclusa e i giocatori possano rilassarsi negli spogliatoi: vinta di misura e in zona Cesarini (o forse dovremmo dire Macron) l’andata, bisognerà giocare il ritorno.
It was a promising #EUCO. We all agreed on a common framework and to work both on a 7-year #MFF & on a Recovery Fund. We will now work on the modalities.
I’m optimistic. Even if there are different sensitivities, there is a very strong political will to work together & succeed. pic.twitter.com/77g7ZWQP8m
— Charles Michel (@eucopresident) April 23, 2020
Recovery Fund, cosa succede ora
La nuova data da cerchiare in rosso sul calendario sarà il 6 maggio. Per allora la Commissione europea di Ursula von der Leyen dovrà trovare una posizione di sintesi sulla proposta francese, che è passata, certo, ma solo perché la Germania ha imposto ai Paesi del Nord, su tutti all’Aia, di non spaccare l’Unione europea.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il primo ministro Mark Rutte
Le differenze rimangono e sono significative. Per questo i 12 giorni cui tutto è stato rinviato non sembrano nemmeno una gran perdita di tempo, anche se siamo nel pieno di emergenze sanitarie ed economiche che non hanno pari. Lo stesso presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, solitamente enfatico, si è limitato a dire: “Sono ottimista. Anche se esistono diverse sensibilità, esiste una forte volontà politica di lavorare insieme e avere successo”. Insomma, siamo ancora molto lontani dal sospiro di sollievo.
#EUCO: De impact van corona is in de hele EU enorm, ook economisch. Het eurogroep-pakket voorkomt acute financiële problemen. We gaan op basis van voorstellen Europese Commissie constructief werken aan gezamenlijke strategie voor herstelfase, gekoppeld aan de meerjarenbegroting.
— Mark Rutte (@MinPres) April 23, 2020
Il Recovery Fund secondo l’Olanda
Ieri Mark Rutte, primo ministro olandese, finito il vertice si è limitato a twittare: “L’impatto del Coronavirus in tutta l’UE è enorme, anche economico. Il pacchetto approntato dall’Eurogruppo previene gravi problemi finanziari. Sulla base delle proposte della Commissione europea, lavoreremo in modo costruttivo su una strategia comune per la fase di ripresa, collegata al bilancio pluriennale”. Non sono le parole di uno sconfitto o di chi è intenzionato a gettare la spugna. Semmai sono dichiarazioni che lasciano presagire che l’Olanda intende sfruttare tutto il tempo a sua disposizione per ribaltare il risultato. I rigoristi, usciti dal Consiglio europeo con più di un diavolo per capello, non vogliono che i finanziamenti del Recovery Fund siano a fondo perduto. Li concepiscono come prestiti, insomma.
#EUCO agreed to work towards establishing a #COVID19 recovery fund, which is needed and urgent.
This fund shall be of a sufficient magnitude, targeted towards sectors and geographical parts of Europe most affected, and be dedicated to dealing with this unprecedented crisis. pic.twitter.com/fU0jfTKRet
— Charles Michel (@eucopresident) April 23, 2020
Recovery Fund, cosa chiedono le nazioni mediterranee
I Paesi del Sud, guidati dall’Italia e spalleggiati dalla Spagna, che aveva avanzato una proposta ancora più ardita, non chiedono solo che il Fondo per la Ricostruzione (recovery fund) sia sostenuto da soldi pubblici e privati attraverso obbligazioni comuni (quindi con la tripla A di Bruxelles), ma vogliono anche che i debiti contratti pescando da tale cassaforte non pesino sui bilanci nazionali andando ad aumentare fardelli già elevati e destinati a esplodere ulteriormente. Gli stati del Sud Europa, insomma, intendono i soldi del Recovery Fund (a proposito: nulla è stato ancora deciso su quanti saranno e quanto a lungo durerà la linea di credito, perché invece la ricostruzione post pandemica potrebbe richiedere anni) come trasferimenti o sussidi.
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Il debito pubblico italiano esploderà, lo dice il Governo…
Abbiamo parlato di debito pubblico. Il nostro è mostruoso e presto sarà persino irriconoscibile. Tra poche ore, esattamente alle 10, dovrebbe finalmente tenersi la riunione del Consiglio dei ministri (prevista inizialmente lunedì, quindi slittata a ieri mattina, poi a ieri sera) per il varo del Documento di economia e finanza (DEF). Con quel documento Governo e Parlamento apporranno, obtorto collo, la firma a un progetto di bilancio disastroso, ma inevitabile, considerata la situazione attuale. Secondo la bozza, si metterà nero su bianco che nel 2020 il PIL sprofonderà a -8% mentre il rapporto col deficit arriverà al 10,4% “tenuto conto dell’impatto finanziario del Decreto con le misure urgenti di rilancio economico”. “Lo stock del debito pubblico – dovremmo trovar scritto – è previsto pari al 155,7 per cento del PIL a fine 2020 e al 152,7 per cento a fine 2021”. Alla luce di questi numeri, appare scontata la pretesa di Roma di non aggiungere al debito altro debito. Almeno non contabilizzarlo…
I rischi che corriamo
Con simili flessioni del prodotto interno lordo – che potrebbero essere ottimistiche, dato che per l’FMI il tracollo supererà il 9% mentre alcuni istituti di rating ci danno già condannati alla doppia cifra – e una tale esplosione del debito pubblico (anche in quel caso, sì, potremmo trovarci di fronte a una stima favorevole: Goldman Sachs prevede per esempio il 161%), il rischio numero 1 per l’Italia è veder crollare i propri titoli di Stato a livello di spazzatura. Già oggi il giudizio assegnato ai nostri BTp non è dei più lusinghieri: “BBB” con outlook negativo da parte di S&P e Fitch, cioè a due gradini dal “junk” e “Baa3” con outlook negativo per Moody’s, per la quale la spazzatura è solo a un passo.
© Wopke Hoekstra, Twitter
Ma cosa succederebbe invece se i nostri titoli di Stato iniziassero a essere valutati come carta straccia? Che diverremmo terreno per gli speculatori, nel vero senso della parola. Investire in BTp nostrani sarebbe troppo rischioso e dunque vietato da statuto per banche e fondi privati che devono anzitutto tutelare i propri clienti evitando di mettere in cassaforte titoli ad alto potenziale cancerogeno. Senza parlare ovviamente del fuggi-fuggi degli investitori che si avrebbe nei giorni immediatamente precedenti e successivi, fuggi-fuggi che innescherebbe una spirale infernale da cui non è facile riemergere.
Sergio Mattarella, Mario Draghi e Christine Lagarde
© Quirinale
Dovremo in quel caso ricorrere alla BCE, la Banca centrale europea che, in vista di quel momento (o quantomeno per non farsi trovare impreparata) ha già annunciato che accetterà, come garanzia a fronte della liquidità fornita alle banche, titoli che a seguito di un downgrade non avessero più il rating d’investimento, fino ad oggi prerequisito essenziale. La decisione al momento coprirà investimenti solo fino a settembre 2021 ma l’istituto guidato da Christine Lagarde ha annunciato che “può decidere, se necessario, ulteriori misure per continuare ad assicurare la trasmissione della politica monetaria in tutti i Paesi dell’Eurozona”.
Le stime di Moody’s
Una certezza la abbiamo: l’Italia ha bisogno dei soldi del Recovery Fund e i 540 miliardi dell’Eurogruppo tra BEI, MES e SURE non saranno sufficienti. Si va verso periodi di una gravità estrema: l’agenzia Moody’s prevede una “severa contrazione” dell’economia italiana “nella prima metà del 2020, seguita da una ripresa nel terzo trimestre con un forte rimbalzo nel 2021”. Insomma, una volta tanto, sia i barometri privati, sia quelli del Ministero dell’Economia vanno d’accordo e segnano un tempo da tregenda. La partita con l’Olanda, dunque, si giocherà in campo avversario e sotto la pioggia, ma quello che ci spaventa non è tanto l’incontro, quanto ciò che accadrà dopo.