A rischio c’è la libertà d’espressione: proprio quella che Elon Musk dice di voler difendere comprandosi una piattaforma social
Se siete tra quelli che stanno festeggiando per la notizia di Elon Musk che compra Twitter, vorrei condividere con voi alcune riflessioni: soprattutto in materia di “free speech”, di libertà di espressione, concetto richiamato da Musk stesso nell’annuncio della chiusura dell’operazione. Se vi sembra che un multimiliardario che compra una piattaforma social di comunicazione sia il modo migliore di difendere la libertà di espressione, forse è il caso che facciamo un piccolo passo indietro: così da inquadrare al meglio chi è Elon Musk, e soprattutto cosa intende quando parla di “free speech”. Potreste rimanere sorpresi.
Cosa ha detto Elon Musk
Traduciamo la dichiarazione rilasciata da Elon Musk nel comunicato che annuncia l’operazione di acquisto di Twitter: parola per parola, nel modo più letterale possibile.
“Free speech is the bedrock of a functioning democracy, and Twitter is the digital town square where matters vital to the future of humanity are debated. I also want to make Twitter better than ever by enhancing the product with new features, making the algorithms open source to increase trust, defeating the spam bots, and authenticating all humans. Twitter has tremendous potential – I look forward to working with the company and the community of users to unlock it.”
“La libertà di espressione è il fondamento di una democrazia sana, e Twitter è la piazza della città digitale dove le questioni importanti per il futuro dell’umanità vengono discusse. Voglio anche rendere Twitter migliore che mai migliorando il prodotto con nuove funzioni, rendere gli algoritmi open source per incrementare la fiducia, sconfiggere gli spam-bot, e autenticare tutti gli esseri umani. Twitter ha un potenziale incredibile: non vedo l’ora di lavorare con l’azienda e la comunità degli utenti per liberare tale potenziale”.
C’è un particolare che balza all’occhio a un vecchio frequentatore di Internet, quale ahimè io sono: nella stessa dichiarazione vengono accostati il concetto di libertà di espressione e di fine dell’anonimato in Rete. Due concetti che cozzano profondamente, visto che in molte occasioni è proprio l’anonimato a garantire la libertà d’espressione: pensate, in via teorica (ma neanche tanto: vedi alla voce Primavera Araba), a un Paese nel quale non vi sia il rispetto dei diritti umani perché controllato da un regime totalitario. In quel luogo, costringere a identificarsi chi posta informazioni su un social equivale a impedire la libertà d’espressione: il regime potrebbe rintracciare chi scrive qualsiasi cosa non gradito al dittatore di turno e metterlo a tacere, in qualunque modo ritenga opportuno farlo.
Ma pensate anche a quanto abbiamo scoperto grazie al contributo di Chelsea Manning, di Wikileaks, di Edward Snowden: senza l’anonimato che speravano di mantenere non avrebbero divulgato moltissime informazioni altrimenti tenute segrete, informazioni che in alcuni casi hanno dimostrato come alcuni governi occidentali abbiano perpetrato violazioni sistematiche della privacy dei cittadini dei loro stessi Paesi; senza contare quanto abbiamo scoperto sui cosiddetti “danni collaterali” delle guerre in Iraq e Afghanistan portate avanti da una coalizione di Paesi occidentali; senza contare quanto emerso sulle pratiche portate avanti dagli USA a Guantanamo Bay. Fatti che oggi ci fanno vedere in modo differente, in retrospettiva, altri avvenimenti di quegli anni: e così come nel celeberrimo Scandalo Watergate, senza l’anonimato non avremmo mai saputo come stavano realmente le cose.
L’eliminazione dell’anonimato è poi un concetto del tutto utopistico: forse che i social non sono già pieni di utenti fantasma o dichiaratamente fake? E chi controllerà l’autenticità di milioni di credenziali richieste e fornite per poter entrare o restare sulla piattaforma? Se la risposta è che ci penserà una macchina, magari grazie un complesso algoritmo di intelligenza artificiale, permettetemi di dubitare: raggirare un essere umano può essere più o meno complesso, tanto quanto lo sarebbe raggirare una macchina, ma è sempre possibile. A oggi non esiste un software che non possa essere bucato, aggirato, crackato: Twitter non farebbe eccezione.
Cosa ha fatto Elon Musk
Fermiamoci un attimo a riflettere su un altro aspetto della vicenda: Elon Musk ha appena siglato un’offerta da 44 miliardi di dollari per acquisire il controllo completo di Twitter. Un singolo individuo, in altre parole, controllerà un’intera piattaforma di comunicazione che negli ultimi anni ha anche svolto il ruolo di fonte per dichiarazioni e notizie in alcuni contesti. Stiamo assistendo a un’operazione commerciale: un miliardario compra un’azienda, Elon Musk è senz’altro un imprenditore dedito al profitto (non lo dico con tono accusatorio: è un fatto, giusto o sbagliato che sia, che chi fa l’imprenditore persegua un guadagno economico), pertanto vorrà far fruttare il suo investimento. E questo poco si sposa con l’idea che possa diventare un paladino per la libertà d’espressione.
Come far fruttare questo investimento, beh, è un bel problema sul piano pratico: come riporta un’analisi di Fortune, Twitter non è un’azienda che produca margini in crescita, e nonostante non perda denaro non è un bocconcino particolarmente invitante. Per far sì che diventi un investimento vincente, Musk dovrà senz’altro operare dei cambiamenti: difficilmente saranno cambiamenti in grado di far felice il pubblico, che magari si potrà esaltare per l’arrivo di un tasto “modifica” per i tweet ma che dovrà anche, necessariamente, misurarsi col fatto che ci saranno anche altre novità che probabilmente incontreranno meno i loro interessi e preferenze. E poi ci sono anche i dipendenti da convincere: senza il loro appoggio, il percorso sarebbe parecchio accidentato.
Sempre poi, aggiungerei, che un tasto “modifica” la riteniate una buona mossa: curioso che nell’epoca dell’immanenza dei dati custoditi in una blockchain si osanni l’idea di poter modificare i contenuti di un post, magari alterando il significato di una conversazione a posteriori (che poi è forse il motivo principale per cui Jack Dorsey, uno dei founder di Twitter e a lungo suo CEO, si è sempre opposto a questa idea). Anche questo mi pare c’entri poco con la libertà di espressione, ma certo potrei sbagliarmi: però continuo a pensare che, se c’è bisogno di cambiare idea, basti scrivere “mi ero sbagliato quella volta: ecco come la penso adesso”. Non è che forse Elon Musk s’è giocato la carta populista?
Cosa pensa Elon Musk
A questo punto forse è opportuno anche ricordare un paio di avvenimenti della storia di Elon Musk, così da far comprendere meglio perché non credo sia il garante del “free speech” che qualcuno si affretta a definire tale. Giusto per ricordare il fatto più eclatante, nel 2018 Musk si è beccato una strigliata e una multa salata (20 milioni di dollari) da parte della Security Exchange Commission (SEC) per aver di fatto fornito al pubblico a mezzo Twitter un’informazione non corretta, finendo per alterare le dinamiche di mercato: aveva annunciato di aver completato un’operazione finanziaria per conto di Tesla, fatto non ancora avvenuto invece, e di conseguenza in Borsa le azioni della sua azienda avevano subito un contraccolpo. La SEC aveva anche imposto per 3 anni a Musk di abbandonare il ruolo di presidente di Tesla, e imposto altresì che tutti i suoi tweet sull’azienda da quel momento in poi venissero valutati dai rappresentanti legali di Tesla prima di essere pubblicati.
Una decisione che non è mai piaciuta a Musk, che pure aveva deciso di accordarsi con la SEC di fatto ammettendo di aver sbagliato: a più riprese ha cercato di far cancellare questo verdetto. Per quanto lo riguarda, qualsiasi limitazione a ciò che vuole scrivere su Twitter è una violazione dei suoi diritti costituzionali: ma come dimostra quanto accaduto nel 2018, le regole che sono in vigore servono proprio a impedire a chi ha una voce autorevole come quella di Elon Musk di creare situazioni nelle quali altri ne facciano loro malgrado le spese. Rispettare i canali e le procedure definite per legge per effettuare comunicazioni su un’azienda quotata non è un capriccio pensato per bloccare l’esuberanza verbale di Musk, bensì per evitare che qualcuno possa fare dichiarazioni temerarie che generino una speculazione. Magari inguaiando i conti di un’azienda, o raggirando piccoli investitori.
Ma la lista potrebbe continuare: Musk si è espresso in modo controverso sulla sindacalizzazione dei dipendenti Tesla, sul Covid-19, su una criptovaluta chiamata Dogecoin (causando una forte oscillazione nella sua valutazione). Qui si dovrebbe aprire una lunga disquisizione sul concetto di libertà di espressione, sui diritti garantiti dal Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, ma è un tema lungo e complesso: basti dire che in un certo senso Musk è un talebano del Primo Emendamento, sostiene cioè che tutto sia consentito nell’ambito del diritto alla libera espressione che quel particolare articolo gli garantirebbe. Non è una posizione condivisa da tutti: né in politica, né tra gli addetti ai lavori.
Il caso Trump
Infine, c’è l’elefante nella stanza: che va ovviamente affrontato. Cosa succederà a chi della piattaforma Twitter ha abusato per mesi, per anni, così da influenzare l’opinione pubblica facendo affermazioni spesso poco veritiere e finendo persino per ispirare una rivolta violenta in quel della capitale di uno stato sovrano? Donald Trump si è visto tagliato fuori da tutti i principali social media per averne violato sistematicamente le policy e i regolamenti, ne ha persino lanciato uno suo per cercare di far fronte alla situazione (con successo decisamente scarso): ora Elon Musk lo riammetterà, in nome della libertà di espressione? E cosa impedirà a Donald Trump di ricominciare a sostenere le proprie tesi politiche, fondate o infondate che siano?
Un altro aspetto da considerare quando si parla di libertà d’espressione è proprio la differenza tra censura e rispetto delle regole: perseguire il free speech senza alcuna limitazione significa altresì che sulla piattaforma dovrebbe essere consentito a chiunque di esprimere idee razziste, omofobe, di sostenere esecrabili posizioni a favore di crimini e criminali (pensate allo sfruttamento dei minori), di portare avanti campagne denigratorie ai danni di qualcuno senza alcuna limitazione, o di fare disinformazione in materia di scienza e salute. Volendo si torna alla questione del Primo Emendamento, ma di nuovo: non è questo il luogo dove sviscerare questa faccenda. E non tiriamo in ballo la sedicente cancel culture: l’ha fatto lo stesso Musk in un tweet, ma mi pare evidente che se ne parla non ci sia alcuna cancel culture in azione.
Comunque la si veda, in definitiva, siamo davanti a un uomo ricco e potente che sta prendendo il controllo di uno strumento che contribuisce a fare informazione: questo dovrebbe spingerci a riflettere sulla portata di quanto sta accadendo, più che esaltarci per l’ennesima vittoria del capitalismo. Le decisioni che verranno prese nei prossimi mesi, non appena le formalità di rito saranno espletate, condizioneranno il quadro generale dell’informazione planetaria: un’azienda che al momento è pubblica, dunque soggetta allo scrutinio di enti e investitori, non lo sarà più con tutto ciò che questo comporta. Per Elon Musk, per Donald Trump o per chiunque altro già oggi vanti un peso mediatico significativo non sarà mai davvero complesso farsi ascoltare da milioni di persone attraverso i mezzi di comunicazione: mentre per noi altri, che abbiamo una voce meno squillante, potrebbe diventare decisamente più difficile riuscire a farci sentire.