Molte scoperte nel campo scientifico e dell’innovazione avvengono per serendipità. A volte, si arriva a scoprire ciò che si stava cercando per buona sorte. A volte, il caso ti porta quello che vuole, non necessariamente quello che stavi cercando. Nel libro Serendipità. L’inatteso nella scienza, Telmo Pievani distingue tra 4 tipi di serendipità in base al grado di accidentalità di una scoperta.

La scoperta causale nella quale l’accidentalità è massima si manifesta quando si erra senza uno scopo preciso. Questa forma di vagabondaggio esplorativo e iniziatico conduce a scoperte fortuite, molte delle quali non sempre utili.
Si definisce serendipità in senso forte quando le scoperte avvengono senza alcuna intenzionalità, grazie al caso e alla sagacia. Sia il cosa cercare che il come e il quando sono accidentali. Si definisce serendipità in senso debole o pseudo serendipità il caso in cui la natura dell’oggetto da scoprire è nota, ma il come e il quando è inaspettato. Si scopre qualcosa che si stava cercando o si risolve un problema pregresso ma il modo in cui avviene la scoperta è casuale e inatteso.
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Se il problema è noto e la soluzione si trova analizzando gli indizi e interpretando i segni, come fa Sherlock Holmes, allora il grado di accidentalità è zero. La scienza dei materiali è ricca di storie di serendipità in senso forte, come le due storie che sto per raccontare.

L’inizio di un’idea di in-successo
Spencer Silver è uno scienziato senior che lavora nell’Office Supplies Division della Minnesota Mining and Manufacturing. Fa parte di un team di 5 specialisti impegnati nello sviluppo di adesivi sensibili alla pressione. L’obiettivo assegnato al team è quello di creare soluzioni a base di copolimeri acrilici più durevoli di quelli in commercio. E’ il 1968 e Silver è a lavoro nel Central Research Lab per realizzare un adesivo super forte destinato specificamente all’ industria aerospaziale.
In un’intervista pubblicata sul Financial Times nel 2010, Silver raccontò l’esperimento: «Ho aggiunto una quantità di reagente chimico che causa la polimerizzazione delle molecole superiore a quella raccomandata. Il risultato è stato davvero sorprendente. Invece di dissolversi, le piccole particelle prodotte si sono disperse nei solventi. Scintillavano alla luce». Le microsfere formatesi nel suo esperimento impedivano però all’adesivo di aderire saldamente. La colla era low-tack. «La mia scoperta era una soluzione, in attesa di un problema da risolvere», dirà lo stesso. Rispetto all’obiettivo iniziale, il risultato ottenuto fu considerato un flop.
Silver passò i successivi 5 anni a proporre la sua soluzione in giro per l’azienda. Sperava che qualcuno trovasse un’applicazione pratica per quella sua idea serendipitosa. Scriveva sui forum tecnici della 3M per parlare del suo insolito prodotto agli altri dipendenti. Ma l’accoglienza non fu quella attesa. La maggior parte delle persone avrebbe trovato scoraggiante i feedback negativi e le non risposte, ma non lui. Silver non si arrese. Prese un po’ di colla, riempì alcuni piccoli tubetti, bussò alla porta dei colleghi chiedendo loro di ragionare su possibili utilizzi di un’invenzione che non risolveva, almeno fino a quel momento, nessun problema pratico.
Aha moment
Cinque anni dopo la scoperta iniziale di Silver, una domenica del 1973, Art Fry sta scaldando le sue corde vocali. Nel tempo libero canta nel coro della sua chiesa. Ogni mercoledì, durante le prove, utilizza dei piccoli pezzi di carta come segnapagina per contrassegnare la posizione dei canti che avrebbe dovuto cantare durante la messa. Ma quella domenica, quando aprì il libro, tutti i pezzetti caddero per terra.
«La mia mente iniziò a divagare durante il sermone», confessò Fry. In quel momento il ricercatore ha un Aha moment. «In 3M non buttiamo mai via un’idea perché non sai mai quando qualcun altro potrebbe averne bisogno. Ho pensato così all’adesivo di Spencer».
Fry lavorava nella divisione nastri della 3M che ospitava alcuni dei prodotti più importanti dell’azienda. Fry, descritto come «un pasticcione e un risolutore di problemi», già da bambino amava smontare e costruire oggetti. Suo padre, esasperato dalla sua curiosità, era solito portarlo alla discarica per trovare nuovi oggetti con cui giocare.
Il lunedì successivo, Fry ordinò un campione della colla di Silver. «La colla di Spencer era estremamente utile per far aderire la carta a molte altre superfici. Non era così appiccicosa da danneggiare quelle superfici quando veniva rimossa». Comprese però che se le microsfere della colla «si avvicinavano tra loro erano molto appiccicose, se si allontanavano erano meno appiccicose: avrei dovuto riuscire a trovare una spaziatura magica che fosse perfetta per la carta». E così, modificando la formulazione, ottenne il giusto equilibrio tra adesività e aderenza alla carta. L’idea di Silver poteva essere usata per creare dei segnapagina più resistenti di quelli usati quella domenica in chiesa.

La storia dei Post-it
Dobbiamo però attendere un’altra svolta casuale per vedere la nascita del Post-it. Un giorno Frey stava scrivendo una relazione e voleva lasciare una nota al suo supervisore. Ritagliò un pezzetto di carta, scrisse sopra la sua domanda, aggiunse la colla e attaccò il piccolo foglio di carta sulla relazione. «Il mio supervisore scrisse la sua risposta sullo stesso foglio, lo riattaccò sul fronte e mi restituì il report. È stato un momento di illuminazione, di stupore. Riesco ancora a percepire l’emozione. Avevo il mio prodotto: un post-it». O meglio, una idea del prodotto.
Ci sono voluti 7 anni di sviluppo per realizzare i Post-It Note. La produzione fu segnata da problemi tecnici e la progettazione delle macchine ebbe diversi intoppi. «Era tutto nuovo. L’idea richiedeva nuovi metodi di produzione, nuove composizioni chimiche del materiale e nuovi metodi per immetterla sul mercato: tutto doveva essere sviluppato». Bob Molenda, capo di Fry, lo incoraggiò a procedere un passo alla volta.
I primi prototipi sono stati utilizzati solo internamente perché la direzione di 3M pensava che avessero pochissimo valore commerciale. Fry e Geoff Nicholson, allora direttore tecnico di Fry, distribuirono i Post-it assicurandosi che le segretarie dei dirigenti senior di 3M li ricevessero. Tennero anche un registro del loro utilizzo. «I dati indicavano che le persone utilizzavano dai 7 ai 20 blocchi all’anno». Convincere la dirigenza del potenziale di quella invenzione richiese 3 anni. Portare l’invenzione sul mercato ne avrebbe richiesti altri 3 perché il prodotto era così innovativo che la gente non ne capì l’utilità.
Solo nel 1977, 3M condusse test di mercato. Selezionarono 4 città in cui testare il prodotto con un nome diverso, Press’n Peel. Fu un fisco. Nessuno li voleva. Un dato che stonava rispetto all’entusiasmo interno alla 3M. Decisero allora di intervistare le persone e solo così scoprirono che il test veniva fatto non lasciando il prodotto da provare ma distribuendo volantini e materiale pubblicitario. I consumatori volevano testare il prodotto stesso non l’idea.
La tenacia di solito viene premiata. Così un anno dopo fecero un altro tentativo. Offrirono gratuitamente gli stick notes agli uffici situati nell’area metropolitana di Boise, la capitale dell’Idaho. Dopo averli provati, 9 aziende su 10 dissero che li avrebbero comprati. Un successo. Nel 1980, gli stick notes furono introdotti a livello nazionale.
È solo in questo momento che le note Press ‘n Peel sono rinominate Post-it Notes. Il colore giallo è frutto di un altro caso. L’unica carta disponibile per gli esperimenti iniziali era di colore giallo canarino. Un coloro perfetto per evitare che la nota si mimetizzasse col foglio bianco.
Nel 1981, 3M nominò i Post-it Notes Outstanding New Product. Per i loro sforzi, il team di ricerca fu insignito per ben due volte del Golden Step Award, il prestigioso premio interno che riconosce i team che sviluppano prodotti significativamente redditizi generando nuove importanti vendite per 3M. Negli anni Novanta sono stati venduti quindici miliardi di Post-it, e a oggi ne sono stati acquistati oltre mille miliardi. Universalmente riconosciuta come una delle invenzioni più importanti del XX secolo, i foglietti adesivi sono stati esposti al MoMA di New York.

La mentalità innovativa in azione
Gifford Pinchot è consulente di gestione e autore del libro Intrapreneuring: Why You Don’t Have to Leave the Corporation to Become an Entrepreneur. La parola intrapreneuring (intraprenditorialità) può essere tradotta come imprenditorialità interna. L’ intrapreneur è un professionista con un mindset imprenditoriale che lavora all’interno dell’azienda. In 3M ogni dipendente è un intrapreneur. Studiando l’azienda, il consulente ebbe modo di comprendere il perché in 3M il tasso di innovazione era particolarmente alto. Non è un caso che l’azienda abbia ricevuto il più alto riconoscimento del governo degli Stati Uniti per l’innovazione, la National Medal of Technology.
Secondo Pinchot, le persone innovative, come quelle presenti in 3M, sono motivate grazie alla libertà di sperimentare durante l’orario di ufficio, al supporto e all’incoraggiamento di tutti. L’approccio innovativo è favorito dalla regola del 30%. Il 30% dei ricavi di ogni divisione deve provenire da prodotti introdotti negli ultimi 4 anni. Gli intraprenditori di 3M hanno anche la libertà di mettere a disagio i middle manager e i supervisori, se pensano che la loro idea possa funzionare. «Se metti un recinto attorno alle persone, quello che ottieni è un branco di pecore. Bisogna lasciare alle persone lo spazio di cui hanno bisogno», ebbe a dire W. McKnight presidente di lungo corso di 3M e ideatore della regola del 15%.

Ai dipendenti viene concessa la possibilità di dedicare il 15% del loro tempo (mediamente 6 ore a settimana) ad approfondire ricerche su argomenti di loro interesse anche se queste non hanno una correlazione diretta con il lavoro principale. Fry utilizzò questo tempo per dedicarsi al suo progetto. E Molenda aiutò Fry ad ottenere un Genesis Grant, un finanziamento aziendale interno. Il finanziamento può essere chiesto al proprio dipartimento o ad altri dipartimenti dell’azienda.
Per favorire la circolazione delle idee e lo scambio di punti di vista, 3M crea forum e momenti di discussione in cui ciascun intrapreneur o team di intrapreneur presenta il proprio progetto. Fry partecipò a uno di questi incontri presso il Technical Council in cui Silver parlò del tentativo di sviluppare un adesivo super-forte da utilizzare nella costruzione di aerei.
Se l’idea è promettente, ogni innovatore può reclutare il proprio team. Prima di aderire, le reclute hanno la facoltà di consultare il curriculum dell’inventore. In caso di fallimento del prodotto, a ciascuno è assicurato il ritorno al proprio precedente lavoro. Secondo Pinchot, l’innovazione è generalmente un processo disordinato e il tasso di fallimento delle nuove idee è molto alto. Per questo le persone non dovrebbero temere per il loro posto di lavoro quando ciò accade.
L’altro pilastro della filosofia di McKnight è infatti la rimozione della paura del fallimento. Secondo McKnight «gli errori sono inevitabili. Il manager che critica in maniera distruttiva gli errori uccide l’iniziativa. Ed è essenziale per noi avere molte persone con iniziativa se vogliamo continuare a crescere». Filosofia confermata dai successivi presidenti. «Stimiamo che il 60% dei nostri programmi formali per nuovi prodotti non ce la faccia mai» ebbe a dire il Ceo Lewis Lehr. «Quando questo succede, l’importante è non punire le persone coinvolte».
3M ha inoltre creato sistemi di misurazione e ricompensa attraverso i quali incoraggiare il successo e tollerare sbagli e insuccessi. Si potrebbe dire che la tolleranza al fallimento fa parte del DNA dell’azienda. Il fallimento è infatti il seme su cui è nata, nel 1902, la stessa 3M. Ma questa è un’altra storia.