L’intervista a Francesco Seghezzi, presidente di ADAPT. Con la nostra survey stiamo indagando sull’ecosistema
Il tasso di occupazione in Italia non è mai stato così alto. Quel 60,8% ha aggiornato il picco da quando si compilano le serie storiche. Scossi dagli anni drammatici e al tempo stesso dinamici della pandemia, lavoratori e lavoratrici hanno alle spalle un passaggio epocale per certi versi, con un’adozione massiccia dello smart working, che spesso consente tanto ai giovani quanto alle famiglie una flessibilità vera, che non significa precarietà. «Oggi abbiamo tassi di occupazione giovanile, tra i 25 e i 34 anni, più alti rispetto al pre pandemia. E anche l’occupazione femminile è cresciuta. D’altra parte si è verificata una certa polarizzazione, tra fascia alta e fascia bassa. Per quest’ultima restano i soliti problemi: salari bassi, lavoro nero, instabilità». Francesco Seghezzi, presidente di ADAPT, l’Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni industriali, ci ha aiutato a fotografare la situazione attuale con un’analisi sui problemi storici e su quel che potrebbe attenderci.
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Il mercato del lavoro oggi
Con questa intervista continuiamo dunque ad occuparci di un tema, il lavoro, sempre attuale per il nostro magazine. StartupItalia ha lanciato una survey alla propria community per capire trend, paure e prospettive. «Siamo in una situazione macroeconomica abbastanza positiva – spiega Seghezzi -. Sono diminuiti i contratti temporanei e sono aumentati gli indeterminati». E a tal proposito, l’esperto ha un’ipotesi di lettura. «Credo che questo si spieghi col fatto che c’è maggiore propensione ad assumere subito per non farsi scappare i talenti. Questo vale soprattutto per i lavori medio-alti». Nel nostro Paese pesa tuttavia un fenomeno impossibile da invertire nel breve termine, di cui troppo spesso si parla con l’ideologia sullo fondo.
«Negli ultimi 20 anni i lavoratori tra i 50 e i 64 anni sono passati da 4 a 8 milioni. I giovani nel frattempo sono diminuiti e vengono penalizzati. Per forza hanno una volontà di riscatto». In questo non c’entra tanto il trend delle Grandi dimissioni, di cui anche Startupitalia si è occupata e su cui Seghezzi ha una propria opinione, bensì una situazione economica che ha eroso il potere d’acquisto. «Il salario medio di un giovane è molto più basso rispetto al passato e parallelamente i prezzi medi dei beni son cresciuti». La narrazione dominante – divenuta quasi genere letterario – presenta ristoratori o imprenditori che non troverebbero più giovani disposti a far fatica. Una generazione di sdraiati, così la chiamano. «Un conto sono la gavetta e la chiara prospettiva di crescita di carriera – ribatte Seghezzi -. Ma quando si utilizzano i tirocini dicendo già che non è prevista l’assunzione di cosa stiamo parlando?».
Donne e lavoro
E sulle donne? In questo caso la differenza è territoriale, anche occorre partire dall dato complessivo dell’occupazione femminile, di poco superiore al 50%. «Al nord le percentuali sono vicine alle medie europee, mentre in alcune regioni del sud l’occupazione femminile è intorno al 35%. Ovviamente pesa il lavoro nero, ma c’è anche il tema dei servizi. Resiste anche una cultura per cui le mansioni di cura vengono scaricate sulla componente femminile».
Torniamo sulle Grandi dimissioni, fenomeno accentuato mediaticamente durante la pandemia, quando senz’altro diverse persone hanno capito di volere fare altro nella vita, come cambiare lavoro o lanciare una propria startup. Seghezzi non vi riscontra tuttavia un trend particolare. «È una dinamica in corso, in parte simile a quella post crisi del 2008. C’è stato sì un grande turnover: sono principalmente dimissioni di persone che cambiano perché ne hanno trovato un altro. È una questione concorrenziale rispetto a proposte più interessanti». Dunque ci si licenzia, ma non per fare un salto nel vuoto.
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Ragionare di mercato del lavoro necessita infine di parlare della componente migratoria in un momento in cui la popolazione sta invecchiando. «È matematica: negli ultimi cinque anni abbiamo avuto 700mila nuovi nati in meno e ciò vuol dire che nei prossimi 18 anni avremo 700mila persone in meno nel mondo dell’occupazione». Esistono soluzioni praticabili? «Senz’altro ci saranno processi di automazione, ma occorrerà una gestione delle politiche migratorie per fare entrare forza lavoro negli ambiti in cui si verificano shortage importanti». Da mesi si parla di ChatGPT e dell’intelligenza artificiale come fattori che stravolgeranno il nostro quotidiano e migliaia di mansioni ripetitive. Ma è una lettura semplicistica a fronte di un paese che continua a invecchiare e non accenna a invertire la rotta. In fin dei conti, forse fa più paura pensare a un declino generato dalle persone e non dalla tecnologia. «Per quanto riguarda il futuro del lavoro, credo che prima dell’aspetto tecnologico venga prima quello demografico».