Un’idea che vuole colmare un’esigenza e donare speranza. Grazie a HI HERE i rifugiati non saranno più soli. E le associazioni che si occupano di loro potranno fare rete e organizzarsi insieme. Lo hanno creato due ragazze italiane: Martina Manara e Caterina Pedò
«Ci sono giorni difficili, ma pensare alle persone che abbiamo intervistato ci aiuta ad andare avanti». Colpiscono le parole di Martina Manara, ideatrice insieme a Caterina Pedò dell’app HI HERE, creata con l’intento di “connettere, informare, dare voce e supportare” i richiedenti asilo una volta arrivati in Italia.
Il loro progetto è nato infatti da esigenze che hanno potuto constatare direttamente: non immagini trasmesse dalla televisione, ma persone vere, ognuna con la propria storia da raccontare e un futuro ancora molto incerto. «Stavo lavorando alla mia tesi sulla pianificazione e distribuzione delle strutture di ricezione dei richiedenti asilo» spiega Martina, che nell’estate del 2015 era una studentessa del Master of Science in Regional and Urban Planning Studies alla London School of Economics. «Volevo capire perché alcune regioni sono organizzate diversamente da altre. Mi sono recata così a Foggia e Caterina è venuta per puro interesse personale, per capire come funzionano le cose al di là di quello che dicono i media, che spesso danno delle informazioni grossolane. Abbiamo intervistato oltre 70 rifugiati e ne abbiamo conosciuti più di 100: al di là dell’obiettivo della mia ricerca, ci siamo dette che valesse la pena impegnarsi per loro. Ci dedicavano tempo ed esperienze, anche dolorose, e si aspettavano in cambio un aiuto da parte nostra. Una pubblicazione non credo possa modificare sul breve periodo la loro permanenza, quindi abbiamo deciso di realizzare qualcosa che potesse aiutarli concretamente».
La grande maggioranza dei richiedenti asilo infatti investe i propri risparmi per acquistare uno smartphone, connettersi in un punto wi-fi e accedere ai social network e al web, così da rimanere in contatto con la famiglia e reperire informazioni.
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Un’app per “superare le barriere”
HI HERE vuole essere una risposta alle varie criticità dell’accoglienza: ma come funziona esattamente? Innanzitutto l’utente registra il proprio profilo e la mappa del proprio viaggio, in modo da poter cercare amici e familiari ed essere a sua volta contattato. «La mappa è molto importante» sottolinea Martina «perché alcuni non hanno una concezione spaziale precisa e in questo modo possono rendersi conto di dove sono e dove devono arrivare. Inoltre possono anche localizzare gli altri richiedenti asilo, vedere da dove vengono e se parlano la stessa lingua».
I rifugiati non hanno voce: anche questa è una problematica che l’app vuole risolvere. Tramite un tasto possono infatti valutare positivamente o negativamente i servizi ricevuti e segnalare eventuali abusi come, ad esempio, sull’applicazione del Regolamento di Dublino che stabilisce i criteri su quale stato membro debba occuparsi di una domanda di protezione internazionale.
«Siamo rimaste stupite dalla mancanza di spazi a loro disposizione per poter raccontare le esperienze vissute. Vogliamo avere dati statistici più o meno affidabili, per capire quantitativamente di quante persone stiamo parlando. Sappiamo che le denunce saranno basate su percezioni personali, e che quindi saranno più o meno attendibili, ma crediamo sia giusto avere la loro opinione sul sistema di accoglienza offerto».
L’accesso alle informazioni
Un’altra importante funzione di HI HERE riguarda l’accesso alle informazioni. Gli utenti possono trovare i dettagli di cui hanno bisogno, sia sulle ONG nelle loro vicinanze che in materia legislativa e burocratica, grazie a tutorial in cinque lingue: italiano, francese, inglese, farsi e arabo. Allo stesso tempo le ONG hanno la possibilità di postare annunci ed entrare in contatto con chi potrebbe aver bisogno della loro assistenza, oltre che utilizzare l’app per connettersi con altre associazioni.
In questo modo è più semplice sviluppare insieme progetti e ottimizzare le risorse a disposizione (distribuite tramite bandi.)
Ma non è finita qui: Martina tiene ad evidenziare un’ ulteriore opportunità offerta da HI HERE, quella di mappare gli avvocati che prestano servizio pro bono. «Molte domande di asilo vengono rigettate» spiega «Per evitare l’espulsione, è normale prassi fare ricorso: pagarlo spesso significa lavorare un’estate intera sotto il sole. Dieci ore al giorno per pochi euro. Una parte della loro vita e della loro forza, magari in balìa di chi dice loro di volerli aiutare ma poi non lo fa. Ci sono però degli avvocati che moralmente sanno cosa stanno facendo: sono tanti, davvero bravi e volenterosi. Quindi è importante che riusciamo a mettere i richiedenti asilo in contatto con loro».
Il crowdfunding per finanziare il progetto
La London School of Economics ha deciso di sostenere HI HERE e ha ospitato un evento di live crowdfunding che ha avuto luogo il 26 gennaio del 2016. Il progetto è stato presentato in anteprima e sono stati così raccolti dei fondi che hanno reso possibile avviarne la programmazione. Dal 26 marzo HI HERE è sulla piattaforma Indiegogo: a due settimane dalla chiusura della campagna, sono stati raccolti poco più di 2000 euro sui ventimila richiesti.
L’idea è stata accolta molto positivamente dagli “addetti ai lavori”, dalla stampa e dai politici, ma da parte dei cittadini ci sono ancora molte riserve.
«Ci stiamo rendendo conto nel pubblico italiano c’è molta diffidenza, sia nei confronti del crowdfunding in sé che della causa, ancora terreno di scontri politici ed ideologici molto accesi. Fortunatamente siamo riuscite ad avere contatti con alcune aziende per rivolgerci a un target diverso di donatori. Ci dispiace che la campagna, secondo noi un modo per coinvolgere un vasto numero di persone, non abbia dato i risultati sperati. Questo metodo per l’opinione pubblica è evidentemente ancora un po’ oscuro».
Il lancio dell’app è comunque previsto per fine giugno- inizi di luglio: verranno effettuati dei test nelle città di Parma e Trento- considerate buini esempi nel campo dell’accoglienza- e a Foggia, dove Martina e Caterina hanno realizzato le interviste.
Passione e motivazione per aiutare chi ha bisogno
HI HERE racchiude la voglia di aiutare tutte quelle persone che sono state costrette a lasciare il proprio paese e ora inseguono la possibilità di ricominciare altrove. Guerra, discriminazione sessuale, politica o religiosa, diatribe all’interno del proprio villaggio: le motivazioni per quel viaggio senza alcuna garanzia sono tra le più diverse e la sofferenza è ben visibile sui loro volti.
«L’intervista più difficile l’abbiamo realizzata con due ragazzi di circa 25 anni, quindi della nostra età» racconta Martina. «Il primo aveva studiato a Londra, poteva essere un mio compagno di università. È stato trovato con visto scaduto, l’hanno spedito in Italia da dove era entrato ed è stato chiuso in un centro di accoglienza. Da due anni aveva a malapena i soldi per chiamare a casa e nessuna assistenza legale. L’altro ragazzo è un suo amico: è in quel centro da così tanto tempo che non riesce a chiamare la sua famiglia perché si vergogna. Non c’è niente di peggio per una persona così giovane: non riesci più a immaginare la tua vita».
Parole forti, emozionate ed emozionanti.
«Ci sono alcuni richiedenti asilo che hanno vissuto il distacco da casa in maniera talmente traumatica che stanno bene in qualsiasi posto, basta che abbiano un lavoro per mantenersi. Alcune regioni però non sono in grado di fornirlo. Altri arrivano già con il presupposto che l’Italia sia un cancello per passare in altri paesi europei. La situazione è frustrante: per avere i documenti in regola la burocrazia è molto lunga. Per esempio a Foggia il centro e alcune strutture diffuse di accoglienza sono fuori città ed è difficile spostarsi. Quando arrivano in questura devono fare fila e a volte sono così tanti che li mandano via. Intanto il tempo passa e subentra lo sconforto più totale. Non possono rimanere in quelle regioni che non hanno la capacità istituzionale di prendersene cura».
Forse un’app non potrà cambiare il mondo intero, ma la vita di alcune persone probabilmente sì.
Martina e Caterina conservano l’entusiasmo che le ha spinte ad impegnarsi in un percorso non facile, ma sicuramente appagante. «Non vediamo l’ora di fare nuove interviste: conoscere le loro storie ci dà molta voglia di andare avanti. E a settembre abbiamo in programma un viaggio in Sicilia con tappa a Lampedusa. Vogliamo osservare la situazione attraverso i nostri occhi».
Mariangela Celiberti